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Maria Conserva – Il viaggio
E’ una pittura ancora giovane e in pieno divenire, suscettibile di nuovi sviluppi, forse oggi ora ancora imprevedibili, quella di Maria Conserva, dottoressa in pedagogia, artista e scrittrice per necessità interiore
Comunicato stampa
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Testo di Vittorio Sgarbi
E’ una pittura ancora giovane e in pieno divenire, suscettibile di nuovi sviluppi, forse oggi ora ancora imprevedibili, quella di Maria Conserva, dottoressa in pedagogia, artista e scrittrice per necessità interiore.
Una pittura che, come tutte le cose giovani, ha nella sua fisiologica contraddittorietà uno dei motivi di maggior fascino e attrazione. Da una parte – penso soprattutto a opere compiute come La notte e il giorno (2006) e in misura più moderata a Il gatto e la stella (2006)- è alla ricerca di una condizione “adulta” che faccia stabilizzare la cifra espressiva entro equilibri solidi e soddisfacenti, riconoscendo dei punti fermi nel proprio iter evolutivo, superando una volta per tutte le acerbità e gli eccessi tipici degli esordi; dall’altra – si pensi a opere come Origine (2005), segnata da un Astrattismo fra il primo Kandinskij e le elaborazioni surrealiste di Mirò, o le Scomposizioni (2006), interpretazioni delle griglie cromatiche di Paul Klee in chiave neocubista- non rinnega la possibilità di perpetuare una condizione di “gioventù” creativa che è ancora assai stimolante, disponibile alla sperimentazione, avida di esperienze emotive e intellettuali da cui ricavare il giusto viatico a nuove esplorazioni formali.
Ai nostri occhi, risulta ancora incerto se l’arte di Maria Conserva imboccherà l’una o l’altra strada, o se proverà a alternarle, aggiungendo questioni a questioni, trovando modo di stabilizzare una condizione che al proprio interno conterrebbe una componente endemica di instabilità permanente. Possiamo provare a prevederlo, ognuno con il proprio intuito, la propria sensibilità, la propria esperienza dell’arte e del mondo; possiamo addirittura scommettere sugli indirizzi futuri di questa arte, se ci sentiamo così sicuri da poterlo fare, e il gioco non manca certamente di intrigare. Ma al di là del cimento profetico, al di là delle sensazioni che l’arte di Maria Conserva può stimolarci individualmente, secondo una serie infinita di variabili, non c’è dubbio che il percorso finora da lei affrontato possieda caratteri distintivi che sono oggettivamente riscontrabili, determinati prevalentemente dal confronto che l’artista stabilisce fra il proprio ego e la storia dell’arte, in particolare con quella moderna.
C’è un obiettivo di partenza che identificherei nella meditazione e nell’acquisizione della lezione storica del Post-Impressionismo, interpretata evidentemente come base imprescindibile del linguaggio artistico moderno. C’è Cézanne a condizionare le esercitazioni sulla natura morta degli anni 2002-2004, con particolare evidenza in opere come Frutti (2003), Scale mele (2004), Pennelli e frutti (2004), Mele (2004), Tazze e mele (2005). C’è una forma concepita secondo uno spontaneo esprit de géometrie che deriva dalla semplice contemplazione della natura, ma anche la volontà di organizzare il dato sensoriale secondo una visione strettamente mentale, capace di sintetizzare lo spazio e le cose in esso contenute in un’unità coerente, capace soprattutto di oltrepassare il muro dell’apparenza per accedere al campo dei significati assoluti, dove la pittura si fa filosofia figurata, interpretazione del mondo per immagini.
L’influenza di Cézanne è ravvisabile anche nei paesaggi, specie in quelli che anticipano più da vicino le scomposizioni cubiste di Braque e Picasso (Tetti, 2004), ma in questo genere sono altre le ispirazioni storiche che maggiormente si rivelano. A bilanciare il geometrismo cerebrale di Cézanne, di cui ancora si avverte l’eco in opere piuttosto incerte come Paesaggio con palazzo (2005), abbinato a un senso primitivista della figurazione che si riscontra anche in molti soggetti floreali e che può ricordare le semplificazioni “neo-italiane” di Carrà o Rosai, ecco affiorare il vigore segnico e cromatico dell’Espressionismo, ripreso dalla Conserva sia per quanto viene elaborato nel versante francese (i Fauves e Matisse in primo luogo, chiaramente percepibili in opere come Colazione del 2005), sia, soprattutto, per quanto proviene dal versante nordico. C’è un’innegabile aria di Brucke e di Blaue Reiter, senz’altro del Kandinskij di Murnau, ma anche di Marc e di Nolde, nelle tonalità fredde e allucinate di Sottobosco (2005) come in quelle più equilibrate della Siepe (2005), dell’Abbraccio (2005) e di Terre (2005), quest’ultimo forse da considerare come il più felice fra i paesaggi della Conserva, depurato dalle ricercate divagazioni grafiche della Siepe o dalla tensione visionaria dell’Abraccio, segnato una trama di accordi cromatici e viluppi lineari che probabilmente denota un primo aggancio a Klee. Un’aria che finisce per riversarsi, inevitabilmente, anche sulla natura morta (Sola, 2005; Tazza e melagrane, 2005), mischiandosi con la componente cézanniana senza contraddirla nelle ragioni di fondo, ma anzi riuscendo a diventare una cosa unica con essa, aggiungendole elementi per sottrarne altri, facendola meno cerebrale e più emotiva.
Sia che si rifaccia a Cézanne, sia che si rifaccia all’Espressionismo o al Primitivismo “neo-italiano”, nella pittura di Maria Conserva la presenza della figura umana rimane molto rara. Poche le eccezioni e non del tutto convincenti (Danza, 2005), come se la figura umana fosse un corpo estraneo, non solo non indispensabile, ma addirittura incongruo e invadente, rispetto a un repertorio visivo che sembrerebbe attestarsi attorno a altri punti di riferimento. In effetti, la poetica della Conserva è rigorosamente oggettuale, nei binari di una lezione artistica che è partita proprio da Cézanne e che si è consolidata in maniera definitiva con la Metafisica di De Chirico: per esprimere la propria interiorità, il proprio modo di leggere intellettualmente e poeticamente il mondo, l’uomo non ha bisogno di rappresentarsi. Anzi, tanto più si offre spazio espressivo a questa interiorità quanto più l’uomo riesce a manifestarsi attraverso le cose e la natura, che sono gli oggetti delle sue riflessioni. L’uomo, ovvero la sua anima, è il grande contenitore di queste immagini che lo rappresentano interiormente senza raffigurarne l’esteriorità, un contenitore invisibile, ma scontato.
Sugli ultimi, più incoraggianti indirizzi della pittura di Maria Conserva, fra stabilizzazione e sperimentazioni, fra Kandiskij e Mirò, fra Delaunay e Klee, si è fatto precedentemente accenno. Corrispondono a un momento in cui la Conserva avverte probabilmente la necessità di emanciparsi con più decisione dai maestri della modernità artistica e di individualizzare in modo spiccato il proprio discorso, da una parte conseguendo esiti di maturità come nel già citato La notte e il giorno (2006), dall’altra concentrandosi sull’esigenza lirica della propria pittura, sempre più ermetica, sempre più rarefatta nella ricerca di una corrispondenza fra intuizione, segno, colore, sentimento (La barca del tempo, 2006).
Siamo curiosi di attendere i prossimi sviluppi di questa avventura.
Note biografiche
Maria Conserva è nata nel 1961 ad Ostuni e vive a Carovigno, in provincia di Brindisi.
Ha svolto mostre in ambito regionale, ed è stata selezionata con l'opera "Foglie" al premio di pittura "La portella" nel 2004 a Carsoli (Aq).
Attualmente orienta i suoi studi verso la ricerca di armonie cromatiche e visioni oniriche nella realizzazione di composizioni e paesaggi.
La sua ultima personale dal titolo “Per sua natura - La bellezza silente", risale al mese di ottobre 2005 presso la galleria comunale Castello Aragonese di Taranto, con il Patrocinio del Comune di Taranto, presentazione e testo critico a cura di Giovanni Amodio.
La pittura è solo uno degli aspetti della sua personalità creativa.
L'arte pittorica si riversa anche nei componimenti poetici, quasi "haihu" che subito illuminano intorno ad un pensiero, un'immagine, un sogno.
Sue poesie sono pubblicate da Besa editrice, Quaderni dei poeti "La Vallisa".
Nel 2001 pubblica il romanzo "Ritratto a Matita " Palomar editore.
Il libro, che si avvale della prefazione di Raffaele Nigro, vince il premio letterario Ignazio Ciaia 2002.
Maria Conserva, Supervisore e Coordinatore del tirocinio presso la facoltà di Scienze della Formazione Primaria dell'Università degli Studi di Bari, ha pubblicato diversi saggi tra cui:
- Creatività a Scuola - La circolarità dei linguaggi (Pensa Multimedia editore, Lecce, 2002).
- Quaderni di Logopedia e didattica. Metacognizione, handicap, linguaggio. Osserva, rifletti, scrivi (Adriatica editrice, Bari, 2002).
- Psicologia dell' educazione. Qualità dell'insegnamento, competenza comunicativa, apprendimento (Adriatica editrice, Bari, 2004).
E’ una pittura ancora giovane e in pieno divenire, suscettibile di nuovi sviluppi, forse oggi ora ancora imprevedibili, quella di Maria Conserva, dottoressa in pedagogia, artista e scrittrice per necessità interiore.
Una pittura che, come tutte le cose giovani, ha nella sua fisiologica contraddittorietà uno dei motivi di maggior fascino e attrazione. Da una parte – penso soprattutto a opere compiute come La notte e il giorno (2006) e in misura più moderata a Il gatto e la stella (2006)- è alla ricerca di una condizione “adulta” che faccia stabilizzare la cifra espressiva entro equilibri solidi e soddisfacenti, riconoscendo dei punti fermi nel proprio iter evolutivo, superando una volta per tutte le acerbità e gli eccessi tipici degli esordi; dall’altra – si pensi a opere come Origine (2005), segnata da un Astrattismo fra il primo Kandinskij e le elaborazioni surrealiste di Mirò, o le Scomposizioni (2006), interpretazioni delle griglie cromatiche di Paul Klee in chiave neocubista- non rinnega la possibilità di perpetuare una condizione di “gioventù” creativa che è ancora assai stimolante, disponibile alla sperimentazione, avida di esperienze emotive e intellettuali da cui ricavare il giusto viatico a nuove esplorazioni formali.
Ai nostri occhi, risulta ancora incerto se l’arte di Maria Conserva imboccherà l’una o l’altra strada, o se proverà a alternarle, aggiungendo questioni a questioni, trovando modo di stabilizzare una condizione che al proprio interno conterrebbe una componente endemica di instabilità permanente. Possiamo provare a prevederlo, ognuno con il proprio intuito, la propria sensibilità, la propria esperienza dell’arte e del mondo; possiamo addirittura scommettere sugli indirizzi futuri di questa arte, se ci sentiamo così sicuri da poterlo fare, e il gioco non manca certamente di intrigare. Ma al di là del cimento profetico, al di là delle sensazioni che l’arte di Maria Conserva può stimolarci individualmente, secondo una serie infinita di variabili, non c’è dubbio che il percorso finora da lei affrontato possieda caratteri distintivi che sono oggettivamente riscontrabili, determinati prevalentemente dal confronto che l’artista stabilisce fra il proprio ego e la storia dell’arte, in particolare con quella moderna.
C’è un obiettivo di partenza che identificherei nella meditazione e nell’acquisizione della lezione storica del Post-Impressionismo, interpretata evidentemente come base imprescindibile del linguaggio artistico moderno. C’è Cézanne a condizionare le esercitazioni sulla natura morta degli anni 2002-2004, con particolare evidenza in opere come Frutti (2003), Scale mele (2004), Pennelli e frutti (2004), Mele (2004), Tazze e mele (2005). C’è una forma concepita secondo uno spontaneo esprit de géometrie che deriva dalla semplice contemplazione della natura, ma anche la volontà di organizzare il dato sensoriale secondo una visione strettamente mentale, capace di sintetizzare lo spazio e le cose in esso contenute in un’unità coerente, capace soprattutto di oltrepassare il muro dell’apparenza per accedere al campo dei significati assoluti, dove la pittura si fa filosofia figurata, interpretazione del mondo per immagini.
L’influenza di Cézanne è ravvisabile anche nei paesaggi, specie in quelli che anticipano più da vicino le scomposizioni cubiste di Braque e Picasso (Tetti, 2004), ma in questo genere sono altre le ispirazioni storiche che maggiormente si rivelano. A bilanciare il geometrismo cerebrale di Cézanne, di cui ancora si avverte l’eco in opere piuttosto incerte come Paesaggio con palazzo (2005), abbinato a un senso primitivista della figurazione che si riscontra anche in molti soggetti floreali e che può ricordare le semplificazioni “neo-italiane” di Carrà o Rosai, ecco affiorare il vigore segnico e cromatico dell’Espressionismo, ripreso dalla Conserva sia per quanto viene elaborato nel versante francese (i Fauves e Matisse in primo luogo, chiaramente percepibili in opere come Colazione del 2005), sia, soprattutto, per quanto proviene dal versante nordico. C’è un’innegabile aria di Brucke e di Blaue Reiter, senz’altro del Kandinskij di Murnau, ma anche di Marc e di Nolde, nelle tonalità fredde e allucinate di Sottobosco (2005) come in quelle più equilibrate della Siepe (2005), dell’Abbraccio (2005) e di Terre (2005), quest’ultimo forse da considerare come il più felice fra i paesaggi della Conserva, depurato dalle ricercate divagazioni grafiche della Siepe o dalla tensione visionaria dell’Abraccio, segnato una trama di accordi cromatici e viluppi lineari che probabilmente denota un primo aggancio a Klee. Un’aria che finisce per riversarsi, inevitabilmente, anche sulla natura morta (Sola, 2005; Tazza e melagrane, 2005), mischiandosi con la componente cézanniana senza contraddirla nelle ragioni di fondo, ma anzi riuscendo a diventare una cosa unica con essa, aggiungendole elementi per sottrarne altri, facendola meno cerebrale e più emotiva.
Sia che si rifaccia a Cézanne, sia che si rifaccia all’Espressionismo o al Primitivismo “neo-italiano”, nella pittura di Maria Conserva la presenza della figura umana rimane molto rara. Poche le eccezioni e non del tutto convincenti (Danza, 2005), come se la figura umana fosse un corpo estraneo, non solo non indispensabile, ma addirittura incongruo e invadente, rispetto a un repertorio visivo che sembrerebbe attestarsi attorno a altri punti di riferimento. In effetti, la poetica della Conserva è rigorosamente oggettuale, nei binari di una lezione artistica che è partita proprio da Cézanne e che si è consolidata in maniera definitiva con la Metafisica di De Chirico: per esprimere la propria interiorità, il proprio modo di leggere intellettualmente e poeticamente il mondo, l’uomo non ha bisogno di rappresentarsi. Anzi, tanto più si offre spazio espressivo a questa interiorità quanto più l’uomo riesce a manifestarsi attraverso le cose e la natura, che sono gli oggetti delle sue riflessioni. L’uomo, ovvero la sua anima, è il grande contenitore di queste immagini che lo rappresentano interiormente senza raffigurarne l’esteriorità, un contenitore invisibile, ma scontato.
Sugli ultimi, più incoraggianti indirizzi della pittura di Maria Conserva, fra stabilizzazione e sperimentazioni, fra Kandiskij e Mirò, fra Delaunay e Klee, si è fatto precedentemente accenno. Corrispondono a un momento in cui la Conserva avverte probabilmente la necessità di emanciparsi con più decisione dai maestri della modernità artistica e di individualizzare in modo spiccato il proprio discorso, da una parte conseguendo esiti di maturità come nel già citato La notte e il giorno (2006), dall’altra concentrandosi sull’esigenza lirica della propria pittura, sempre più ermetica, sempre più rarefatta nella ricerca di una corrispondenza fra intuizione, segno, colore, sentimento (La barca del tempo, 2006).
Siamo curiosi di attendere i prossimi sviluppi di questa avventura.
Note biografiche
Maria Conserva è nata nel 1961 ad Ostuni e vive a Carovigno, in provincia di Brindisi.
Ha svolto mostre in ambito regionale, ed è stata selezionata con l'opera "Foglie" al premio di pittura "La portella" nel 2004 a Carsoli (Aq).
Attualmente orienta i suoi studi verso la ricerca di armonie cromatiche e visioni oniriche nella realizzazione di composizioni e paesaggi.
La sua ultima personale dal titolo “Per sua natura - La bellezza silente", risale al mese di ottobre 2005 presso la galleria comunale Castello Aragonese di Taranto, con il Patrocinio del Comune di Taranto, presentazione e testo critico a cura di Giovanni Amodio.
La pittura è solo uno degli aspetti della sua personalità creativa.
L'arte pittorica si riversa anche nei componimenti poetici, quasi "haihu" che subito illuminano intorno ad un pensiero, un'immagine, un sogno.
Sue poesie sono pubblicate da Besa editrice, Quaderni dei poeti "La Vallisa".
Nel 2001 pubblica il romanzo "Ritratto a Matita " Palomar editore.
Il libro, che si avvale della prefazione di Raffaele Nigro, vince il premio letterario Ignazio Ciaia 2002.
Maria Conserva, Supervisore e Coordinatore del tirocinio presso la facoltà di Scienze della Formazione Primaria dell'Università degli Studi di Bari, ha pubblicato diversi saggi tra cui:
- Creatività a Scuola - La circolarità dei linguaggi (Pensa Multimedia editore, Lecce, 2002).
- Quaderni di Logopedia e didattica. Metacognizione, handicap, linguaggio. Osserva, rifletti, scrivi (Adriatica editrice, Bari, 2002).
- Psicologia dell' educazione. Qualità dell'insegnamento, competenza comunicativa, apprendimento (Adriatica editrice, Bari, 2004).
06
luglio 2006
Maria Conserva – Il viaggio
Dal 06 al 23 luglio 2006
arte contemporanea
Location
MINIACI ART GALLERY
Milano, Via Brera, 3, (Milano)
Milano, Via Brera, 3, (Milano)
Orario di apertura
tutti i giorni 11-19
Vernissage
6 Luglio 2006, ore 19
Ufficio stampa
CRISALIS ARTNETCOMMUNICATION
Autore