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Maria Grazia Sangregorio / Giuseppe Romio
I due artisti, accomunati dalla medesima propensione alla sperimentazione di nuove tecniche pittoriche, espongono trenta dipinti che con leggerezza riportano alle forme e alle composizioni delle correnti dell’astrattismo degli anni sessanta e settanta.
Comunicato stampa
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Dal 16 dicembre 2007 al 13 gennaio 2008 la galleria ARCH allestisce nelle sale del Momart Café la doppia personale di Maria Grazia Sangregorio e Giuseppe Romio. I due artisti, accomunati dalla medesima propensione alla sperimentazione di nuove tecniche pittoriche, espongono trenta meravigliosi dipinti che con leggerezza ci riportano alle forme e alle composizioni delle correnti dell’astrattismo degli anni sessanta e settanta.
Ho rubato la luna, Maria Grazia Sangregorio. A cura di Fulvio Chimento.
La fantasia di Maria Grazia Sangregorio da vita a mondi sospesi, orbitali e nuclei, molecole ed elettroni; spazia dalla pittura ad acquerello a quella ad acrilico e china. Nel mondo notturno e stellato della Sangregorio filiformi figure fluttuano nello spazio, grandi fuochi brillano in lontananza mentre, in gran silenzio, si consuma il furto di uno spicchio di luna.
Le pietre, che l’artista inserisce nelle sue tele, sono veri e propri colori di una tavolozza magica. La semplicità delle forme spinte fino all’astrattismo, i colori accecanti, i rossi, i blu ed i gialli, invitano l’osservatore ad una critica radicale alla propria razionalità cosciente e rimandano ai paradisi onirici immaginati da Mirò nella metà del secolo scorso.
La lucentezza delle gemme accende il ricordo delle emozioni vissute e rivela la estenuante ricerca di libertà e spensieratezza che caratterizza tutto il lavoro della Sangregorio: un’ aspirante artista stregata dal colore - come lei stessa ama definirsi.
Il critico Pasquale De Marco della Sangregorio ha scritto:
… un'alchimia, in sintonia con la sua professione, l'arte di Maria Grazia Sangregorio. Una miriade di colori, un alfabeto di segni, decorazioni, pietre.
… l'opulenza che traspare dalle opere della Sangregorio è in realtà apparenza. Sotto di essa, infatti, si nasconde la ricerca di un mondo semplice e sereno che trova la sua esplicazione negli azzurri dirompenti dei cieli e dei mari. E nelle coloratissime pietre.
Maria Grazia Sangregorio, artista autodidatta, nasce a Corigliano Calabro nel 1959. Si laurea in farmacia a Firenze ed è proprio nel capoluogo toscano che incontra Raffaella Marrazzo, orafa di professione, che le trasmette la passione per ogni forma d’arte e la introduce nel colorato mondo delle pietre semipreziose e della ceramica.
Maria Grazia ha già esposto i suoi quadri a Cosenza e Corigliano Calabro, riscuotendo ogni volta un incredibile successo di pubblico e critica.
Luce dei miei occhi, di Giuseppe Romio. A cura di Stefano Iatosti.
La ricerca artistica di Giuseppe Romio, gallerista avvicinatosi all’arte attraverso la frequentazione quotidiana di artisti e il confronto con le loro opere, può essere ricondotta nel grande solco dell’Informale materico. Si tratta di un’espressione al confine fra pittura e scultura, che utilizza, nel suo caso, materiali come gesso, stucco e argilla per le loro potenzialità plastiche e i pigmenti, in particolare l’oro, per le proprietà luministiche. Il contrasto fra le materie povere, con i loro volumi, arricciamenti, crepe e concrezioni e la doratura, che rammenta la paziente opera di restauro delle cornici antiche, attrae lo sguardo e sollecita la riflessione.
L’oro viene utilizzato da Romio per la sua ambiguità di significante - oltre che per la sua peculiare capacità riflettente- in quanto simbolo antico di misticismo e irrealtà da un lato e richiamo alla preziosità intesa come mero valore monetario dall’altro. Una scelta, dunque, di valore simbolico, che si complica in alcune opere per l’inserimento di scritte incise in un corsivo volutamente infantile, anch’esse passibili di doppia lettura. Così abbiamo “Luce dei miei occhi”, “Ti adoro”, “Tu sei il mio sole”, presunte dichiarazioni d’amore, delle quali però non può sfuggire il sottofondo ironico di calembour o comunque il riferimento ambivalente alla superficie su cui sono tracciate. Una superficie spesso attraversata da solchi che le danno ritmo e movimento, oltre che chiaroscuro, e in altri casi segnata da figure stilizzate di alberi o ricondotta al ruolo di sfondo per il tracciato grafico di un nudo.
Rispetto al recupero della forma, resta tuttavia prevalente il gioco di esplorazione delle possibilità offerte della materia. La poetica dell’Informale non esclude che dalla manipolazione dei materiali, specie se poveri e inusuali, possa derivare un’organizzazione formale, ma nega che questa sia alla base del procedere, un progetto definito a priori. Il lavoro di Giuseppe Romio asseconda parzialmente questa istanza e ciò deriva, a mio parere, da una curiosità di fondo che lo spinge a muoversi in diverse direzioni, ora privilegiando l’aspetto irrazionale, la non intenzionalità delle linee e dei volumi, ora recuperando un equilibrio compositivo di fondo in un intento geometrizzante, ora ricorrendo, come si è visto, alla sovrapposizione fra due sistemi di segni, il visuale e il verbale. Tutto questo - con l’estremo del ricorso al figurativo- va ascritto a un’esigenza di comunicazione con il fruitore dell’opera, oltre la suggestione della luce o l’espressività della materia, di cui pure si concreta una ricerca sempre aperta a nuove esplorazioni.
Il critico Pasquale De Marco così definisce le realizzazioni di Stefano Romio:
… squarci polimaterici di luce, aurei arcobaleni e fantasiose geometrie che risentono dell’influenza culturale della mitica Sibari e della Magna Grecia.
Stefano Romio nasce a Corigliano Calabro il 9 dicembre del 1961. Da sempre appassionato d’arte, organizza mostre per conto dell’associazione culturale Amici dell’Arte e corsi di pittura per ragazzi. Insieme a sua moglie Maria, fonte inesauribile di ispirazione, gestisce a Corigliano la galleria d’arte contemporanea Idea Cornice.
Ho rubato la luna, Maria Grazia Sangregorio. A cura di Fulvio Chimento.
La fantasia di Maria Grazia Sangregorio da vita a mondi sospesi, orbitali e nuclei, molecole ed elettroni; spazia dalla pittura ad acquerello a quella ad acrilico e china. Nel mondo notturno e stellato della Sangregorio filiformi figure fluttuano nello spazio, grandi fuochi brillano in lontananza mentre, in gran silenzio, si consuma il furto di uno spicchio di luna.
Le pietre, che l’artista inserisce nelle sue tele, sono veri e propri colori di una tavolozza magica. La semplicità delle forme spinte fino all’astrattismo, i colori accecanti, i rossi, i blu ed i gialli, invitano l’osservatore ad una critica radicale alla propria razionalità cosciente e rimandano ai paradisi onirici immaginati da Mirò nella metà del secolo scorso.
La lucentezza delle gemme accende il ricordo delle emozioni vissute e rivela la estenuante ricerca di libertà e spensieratezza che caratterizza tutto il lavoro della Sangregorio: un’ aspirante artista stregata dal colore - come lei stessa ama definirsi.
Il critico Pasquale De Marco della Sangregorio ha scritto:
… un'alchimia, in sintonia con la sua professione, l'arte di Maria Grazia Sangregorio. Una miriade di colori, un alfabeto di segni, decorazioni, pietre.
… l'opulenza che traspare dalle opere della Sangregorio è in realtà apparenza. Sotto di essa, infatti, si nasconde la ricerca di un mondo semplice e sereno che trova la sua esplicazione negli azzurri dirompenti dei cieli e dei mari. E nelle coloratissime pietre.
Maria Grazia Sangregorio, artista autodidatta, nasce a Corigliano Calabro nel 1959. Si laurea in farmacia a Firenze ed è proprio nel capoluogo toscano che incontra Raffaella Marrazzo, orafa di professione, che le trasmette la passione per ogni forma d’arte e la introduce nel colorato mondo delle pietre semipreziose e della ceramica.
Maria Grazia ha già esposto i suoi quadri a Cosenza e Corigliano Calabro, riscuotendo ogni volta un incredibile successo di pubblico e critica.
Luce dei miei occhi, di Giuseppe Romio. A cura di Stefano Iatosti.
La ricerca artistica di Giuseppe Romio, gallerista avvicinatosi all’arte attraverso la frequentazione quotidiana di artisti e il confronto con le loro opere, può essere ricondotta nel grande solco dell’Informale materico. Si tratta di un’espressione al confine fra pittura e scultura, che utilizza, nel suo caso, materiali come gesso, stucco e argilla per le loro potenzialità plastiche e i pigmenti, in particolare l’oro, per le proprietà luministiche. Il contrasto fra le materie povere, con i loro volumi, arricciamenti, crepe e concrezioni e la doratura, che rammenta la paziente opera di restauro delle cornici antiche, attrae lo sguardo e sollecita la riflessione.
L’oro viene utilizzato da Romio per la sua ambiguità di significante - oltre che per la sua peculiare capacità riflettente- in quanto simbolo antico di misticismo e irrealtà da un lato e richiamo alla preziosità intesa come mero valore monetario dall’altro. Una scelta, dunque, di valore simbolico, che si complica in alcune opere per l’inserimento di scritte incise in un corsivo volutamente infantile, anch’esse passibili di doppia lettura. Così abbiamo “Luce dei miei occhi”, “Ti adoro”, “Tu sei il mio sole”, presunte dichiarazioni d’amore, delle quali però non può sfuggire il sottofondo ironico di calembour o comunque il riferimento ambivalente alla superficie su cui sono tracciate. Una superficie spesso attraversata da solchi che le danno ritmo e movimento, oltre che chiaroscuro, e in altri casi segnata da figure stilizzate di alberi o ricondotta al ruolo di sfondo per il tracciato grafico di un nudo.
Rispetto al recupero della forma, resta tuttavia prevalente il gioco di esplorazione delle possibilità offerte della materia. La poetica dell’Informale non esclude che dalla manipolazione dei materiali, specie se poveri e inusuali, possa derivare un’organizzazione formale, ma nega che questa sia alla base del procedere, un progetto definito a priori. Il lavoro di Giuseppe Romio asseconda parzialmente questa istanza e ciò deriva, a mio parere, da una curiosità di fondo che lo spinge a muoversi in diverse direzioni, ora privilegiando l’aspetto irrazionale, la non intenzionalità delle linee e dei volumi, ora recuperando un equilibrio compositivo di fondo in un intento geometrizzante, ora ricorrendo, come si è visto, alla sovrapposizione fra due sistemi di segni, il visuale e il verbale. Tutto questo - con l’estremo del ricorso al figurativo- va ascritto a un’esigenza di comunicazione con il fruitore dell’opera, oltre la suggestione della luce o l’espressività della materia, di cui pure si concreta una ricerca sempre aperta a nuove esplorazioni.
Il critico Pasquale De Marco così definisce le realizzazioni di Stefano Romio:
… squarci polimaterici di luce, aurei arcobaleni e fantasiose geometrie che risentono dell’influenza culturale della mitica Sibari e della Magna Grecia.
Stefano Romio nasce a Corigliano Calabro il 9 dicembre del 1961. Da sempre appassionato d’arte, organizza mostre per conto dell’associazione culturale Amici dell’Arte e corsi di pittura per ragazzi. Insieme a sua moglie Maria, fonte inesauribile di ispirazione, gestisce a Corigliano la galleria d’arte contemporanea Idea Cornice.
16
dicembre 2007
Maria Grazia Sangregorio / Giuseppe Romio
Dal 16 dicembre 2007 al 13 gennaio 2008
arte contemporanea
Location
MOMART CAFE’
Roma, Viale 21 Aprile, 19, (Roma)
Roma, Viale 21 Aprile, 19, (Roma)
Orario di apertura
tutti i giorni 7:00 - 2:00
Vernissage
16 Dicembre 2007, ore 20:30
Autore
Curatore