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Mariana Castillo Deball – Figures don’t lie but liars can figure
mostra personale
Comunicato stampa
Segnala l'evento
MARIANA CASTILLO DEBALL
Figures don't lie, but liars can figure
Inaugurazione il 26 Febbraio 2011 ore 18.30
Comunicato stampa in forma di intervista (scroll for English version)
Pinksummer: Partiamo dal proverbio, attribuito tra gli altri a Mark Twain, che hai scelto come titolo per la mostra da pinksummer: Figures don't lie, but liars can figure.
Montaigne affermava che chiamiamo barbaro e selvaggio ciò che non è riconducibile ai nostri usi e costumi, e che riteniamo migliore ciò che di fatto alteriamo con manipolazioni e accomodazioni adeguate al piacere dei nostri gusti corrotti. Credi che il mondo abbia una sua esistenza "oggettiva", autonoma dalla nostra percezione/interpretazione?
Mariana Castillo Deball: Ho trovato il titolo della mostra, Figures don’t lie but liars can figure, nel libro di Roy Wagner Coyote Anthropology; una serie di conversazioni tra Wagner e Coyote, che ruotano intorno alla domanda su come il significato venga creato, un gioco a nascondino tra la percezione, la rappresentazione e la realtà. Secondo Coyote, “la percezione è una questione molto delicata”.
[Roy: “Quindi perchè la percezione è falsa?”
Coyote: “Vedy, Roy, noi non vediamo il mondo che vediamo, non sentiamo i suoni che sentiamo, non tocchiamo le cose che tocchiamo, o in nessun modo percepiamo quello che percepiamo, ma quel qualcos’altro che sta in mezzo.”
Coyote: “Certo. Come si suol dire: ‘Figures don’t lie but liars can figure’ (le cifre non mentono ma i bugiardi possono fare i conti).”
Roy : “I suoni e le forme alle quali sei stato allenato a reagire e a proiettare (cosicché ora questo è diventato completamente inconscio) formano il modello o il contenuto della realtà a prima vista. Gli spazi tra e intorno a quelle parole, o tra le parole e le cose che rappresentano, che noti solo di passaggio, formano lo sfondo della realtà al secondo sguardo.”]
P: Il problema filosofico in Grecia è nato per spiegare l'intero, la totalità delle cose, cambiando strutturalmente lo sviluppo della civiltà "occidentale" rispetto a ogni altra. La filosofia fin dalle origini ha avuto lo scopo di demitizzare. I miti antichi erano la poesia, la fantasia, l'immaginazione, ma di fatto la filosofia ha preparato il terreno per i nuovi miti della razionalità e della scienza tendenti a parcellizzare il reale. Misurandosi con la totalità del mondo la filosofia si è confrontata con la sua inarrestabile metamorfosi, il divenire, trovandosi costretta per amore di sapienza a classificarlo, catalogarlo per ripresentarlo cristallizzato dentro a cause e principi aureolati di assoluto.
Tempo fa, presentandoci il progetto per pinksummer, rifacendoti a Ovidio e alle sue Metamorfosi, affermasti che conoscere il mondo significa dissolvere la sua solidità. Il mondo di Ovidio, scrivesti, è al di là delle qualità degli attributi e delle forme che definiscono la varietà delle cose. Credi che sia possibile una "de-elenizzazione" del sapere?
MCD: [RM: Sai che cosa significa Mimolette?
MCD: Mimolette è un processo di fermentazione delle idee. Il processo consiste nel mantenere il respiro, specialmente in quei momenti in cui hai così tanti pensieri e idee che la tua testa sembra stia per esplodere. E’ in quel momento di “quasi esplosione” che l’effetto Mimolette funziona al meglio.
Agli Yanomamis non è permesso pronunciare i propri nomi. Se qualcuno si ammala, per esempio, e va dal dottore, deve essere accompagnato da un parente, così quando il dottore chiede “Come ti chiami?” l’altra persona può rispondere per lui. I nomi segreti sono più forti dei nomi pronunciati; alcune persone credono che ci sia una quantità limitata di nomi nell’universo, e se qualcosa o qualcuno rimane senza nome, diventa una tragedia.
Le idee, in questo processo di fermentazione, iniziano ad avere forme e modelli, marmi, cristalli, blu, rossi, viola, gialli, bianchi. Non ci sono colori che iniziano con M?]
Da: Forse Sì Forse No: Una conversazione tra Mariana Castillo Deball e Raimundas Malasauskas che è iniziata nel mezzo dell’alfabeto, è continuata sulle onde radio, ed è terminata intorno a mezzanotte.
P: A proposito degli uncomfortable objects su cui focalizza la mostra da pinksummer, è in corso a Genova una mostra dal titolo "Africa delle Meraviglie" curata da Giovanna Parodi da Passano (e Ivan Bargna con la collaborazione di Marc Augé), allestita dall'artista italiano Stefano Arienti. Al di là dei lavori presentati, non sapendo nulla di arte africana, ciò che ci ha incuriosito è il tentativo di sottrarre gli oggetti "esotici" dalla "violenza museale" della vetrina. In un articolo di un po' di tempo fa, Parodi da Passano additava il museo, in particolare quello etnografico dedicato a civiltà extraeuropee, con le sue “rappresentazioni competenti” e decontestualizzanti come “luogo principe di un'oggettivazione dell'alterità culturale che assimila e assorbe i manufatti per meglio votare all'oblio le culture che li hanno prodotti".
Spesso ti sei misurata con le "rappresentazioni competenti" per ottenere racconti del tutto finzionali, in questa mostra dal titolo che ci piace ripetere - le cifre non mentono, ma i bugiardi possono fare i conti - ci hai scritto di voler costruire una genealogia delle cose per osservarle come entità che sono state trasformate, mutate, piazzate in contesti differenti e contraddittori attraversando il tempo e lo spazio della Storia. Quello che tu definisci il non-umano, le cose scomode, hanno una possibilità di raccontarsi scontornandosi dal mondo che gli abbiamo costruito attorno?
MCD: Ultimamente, ho iniziato a collezionare dialoghi e fiabe tra non-umani, come le favole di Esopo, le Metamorfosi di Ovidio, i dialoghi di Lewis Carroll, le favole di Augusto Monterroso, Horacio Quiroga, Antonin Artaud, Sor Juana Ines de la Cruz, Mario de Andrade, Franz Kafka, e Montaigne.
All’inizio ho trovato questi dialoghi solo nei romanzi, ma successivamente ho iniziato a trovare esperimenti di questo tipo tra gli storici della scienza, filosofi, e antropologi. Credo che questo tentativo dipenda da una necessità di costruire una genealogia delle cose, per osservarle come entità che sono state trasformate, dismesse, mutate, e piazzate in diversi contesti contradditori nel corso della storia.
Che cosa hanno da dire i non-umani riguardo al mondo che abbiamo costruito intorno a loro, circa le nostre definizioni, manipolazioni e usi? Che cosa rimane degli oggetti dopo così tante manomissioni storiche e quale sarebbe la testimonianza di questi oggetti se potessero raccontarci la storia dalla loro prospettiva?
La società contemporanea è piena di oggetti scomodi, oggetti del desiderio, ricerca o immaginazione; essi rendono difficile la nostra concezione del mondo e ci inducono a prendere una posizione per cambiare completamente la nostra basilare comprensione dell’universo.
Gli oggetti scomodi vengono continuamente cancellati, rimpiazzati, neutralizzati, distrutti, per fare spazio a nuove cose, ma questa cancellazione non è mai completa, noi siamo sempre più circondati dalle cose, quasi-cose, frammenti, distorsioni e ibridi. Nel contempo c’è un contrasto tra le infinite possibilità e le risorse limitate. Il desiderio e il potere umano di trasformazione è forte e cieco, e ciò è manifesto nell’estinzione delle specie e nell’erosione delle risorse naturali.
P: Esistono oggetti confortevoli?
MCD: Penso che noi proviamo costantemente a produrre oggetti confortevoli o neutri, ma presto o tardi essi tornano a noi come detriti, fantasmi o congegni esigenti. Un oggetto confortevole è sempre relazionato ad un attore confortante.
P: Tu riconduci le due differenti attitudini cognitive al mito di Eco e Narciso, assimilando Eco alla modalità femminile e matriarcale, aperta all’ambiente e disponibile a farsi trasformare da esso. Narciso, cercando il riflesso di sé trasforma il mondo in uno specchio per affermare il suo individualismo. Tu colleghi Eco all’esperienza di riconoscere forme nelle concrezioni minerali di una grotta, dove identificare una forma richiede uno sforzo immaginativo. Narciso rappresenta la neutralità dello spazio espositivo, musei o gallerie dove le forme sono immediatamente riconoscibili. Ora, per la tua mostra, pinksummer sarà una galleria o una grotta?
MCD: La scorsa estate ho visitato la Chapada Diamantina, una regione del Brasile coperta da montagne, grotte, e altre formazioni minerali. Mentre visitavo alcune grotte accadeva spesso che la guida indicasse una particolare formazione chiedendo ai visitatori “cos’è?”. I visitatori invitati a fissare i muri astratti, tentavano di indovinare. Le figure potevano sembrare un delfino, una faccia, una sirena, una chitarra elettrica, un pezzo di pancetta. Ho trovato interessante un posto dove le figure erano apparentemente nascoste, quasi mimetizzate con l’ambiente, uno spazio dove non c’era differenza tra la figura e lo sfondo. Ho iniziato a pensare a come fossero diversi dall’esperienza della grotta i musei e le gallerie, dove lo spazio è lindo e bianco, e i lavori sono immediatamente riconoscibili. In termini di mitologia, ho pensato a Narciso come ad uno spazio espositivo, e a Eco come a una grotta. La pratica di trovare immagini all’interno dei muri e delle formazioni rocciose è vicina alla natura immaginativa di Eco, che prova a ripetere ciò che dice Narciso, ma la sua voce viene inevitabilmente distorta, diventando ogni volta altro. All’opposto, Narciso è un congegno ripetitivo, prova costantemente a confermare la sua immagine attraverso il suo riflesso nell’acqua. La conseguenza di questo gesto implica un completo rifiuto del mondo esterno, per confermare l’unicità di se stesso.
P: A proposito di Narciso e del suo egocentrismo, pensi che l’idea di progresso che ha portato a erodere le risorse limitate del nostro pianeta sia ancora un suo riflesso?
MCD: L’antropologo francese Claude Lévi-Strauss si è definito un viaggiatore, un archeologo nello spazio, cercando vanamente di ripristinare l’esotismo con l’uso di particelle e frammenti. Lévi-Strauss non è mai andato sulla Luna, ma attraverso l’esplorazione della natura umana nelle più remote parti del mondo, ci ha mostrato con la sua lente di ingrandimento la tendenza umana a raggiungere lo zero. La conoscenza umana cerca di dividere e frammentare la realtà per capirla, parole, concetti, mentalità e discipline collidono costantemente ognuna con l’altra creando particelle sempre più piccole, come polvere di luna.
Per Lévi-Strauss, l’umanità si è sempre opposta al decadimento universale. Essa appare come una macchina, forse più perfetta delle altre, che lavora nel disaggregare un ordine originario per far precipitare la materia organizzata nell’inerzia. Da quando ha iniziato a respirare e nutrirsi, fino all’invenzione dei primi strumenti termonucleari e atomici, l’uomo non ha fatto altro che dissociare allegramente milioni di strutture fino a ridurle ad uno stato in cui esse non sono più in grado di essere integrate.
Senza dubbio l’uomo ha costruito città e coltivato campi; ma, se ci pensiamo, questi risultati sono macchine destinate a produrre inerzia con un ritmo e una proporzione infinitamente più elevati rispetto all’organizzazione che essi implicano. In questo modo la civilizzazione, presa nella sua interezza, può essere descritta come un meccanismo molto complesso occupato nel fabbricare quello che gli scienziati chiamano entropia, che significa inerzia.
Per Lévi-Strauss, invece di “antropologia”, dovremmo scrivere “entropologia”, un nome per una disciplina dedicata a studiare questo processo di disintegrazione nelle sue manifestazioni più complesse.
P: Cosa presenterai da pinksummer per la tua prima mostra personale in Italia?
MCD: La mostra comprende amici e parenti di Eco, personaggi che sono costantemente in dialogo con quello che sta loro attorno, stabilendo conversazioni che trasformano di continuo la loro forma.
La mostra consiste in una serie di sculture in cartapesta, una tecnica che m’interessa da molto tempo, a causa della sua flessibilità e semplicità, e anche per il collegamento con l’artigianato messicano, dove viene utilizzata per svariati scopi. Le sculture ricordano modelli matematici impazziti, e includono anche immagini.
Stiamo realizzando in galleria un murale con una tecnica per il finto-marmo, a cui stavo pensando da parecchio tempo, che si ricollega ai miei interessi per i modelli astratti-organici, le grotte e i minerali bellissimi.
La mostra è il punto di partenza di un progetto nuovo. Questo viaggio si evolverà in una serie di fiabe di oggetti scomodi, un ritratto della società contemporanea attraverso gli occhi dei non-umani. Una raccolta di storie brevi interpretate da animali, creature mitiche, piante, oggetti inanimati, macchine e forze della natura.
L’antropologo James Clifford dà un buon esempio di come una mostra di oggetti scomodi potrebbe essere: “Abbiamo bisogno di mostre che interroghino i confini tra l’arte e il mondo dell’arte, un afflusso di artefatti “estranei” davvero indigesti. Le relazioni di potere, dove una parte dell’umanità può selezionare, valutare e collezionare prodotti autentici dell’altra, devono essere necessariamente criticate e trasformate. Questo non è un lavoro da poco. Allo stesso tempo si possono perlomeno immaginare mostre che abbiano per soggetto le produzioni impure, produzioni “non autentiche” del passato e del presente: mostre radicalmente eterogenee nel loro mix globale di stili; mostre dislocate in specifiche congiunture multi-culturali; mostre dove la natura resti “innaturale”; mostre i cui principi di incorporazione siano apertamente discutibili.”[1]
Gli oggetti scomodi possono essere visti in modo straniante. Lo straniamento quindi diventa uno strumento integrante del processo creativo, implicando un’oscillazione tra la comprensione e la non comprensione. Tale alienazione, rendendoci consapevoli dei modi in cui creiamo narrazioni, discorsi e storie, ci avverte del contrasto tra la natura frammentaria della conoscenza e la sua naturale tendenza alla completezza.
La galleria è aperta dal martedì al sabato, dalle 15.00 alle 19.30.
Pinksummer Palazzo Ducale-Cortile Maggiore Piazza Matteotti 28r 16123 Genova Italy
t/f +39 010 2543762 info@pinksummer.com www.pinksummer.com
[1] James Clifford, The predicament of Culture, p. 213
MARIANA CASTILLO DEBALL
Figures don't lie, but liars can figure
Opening February 26th 2011, h 6.30 p.m.
Press release as interview
Pinksummer: Let's start from the proverb, attributed, among the others, to Mark Twain, that you have chosen as the title for the show at pinksummer: “Figures don't lie, but liars can figure”. Montaigne affirmed that we call barbarian and savage what is not referable to our uses and customs, and that we like best what we alter with manipulations and changes suitable to the pleasure of our corrupt tastes. Do you believe that the world has an "objective" existence, autonomous from our perception/interpretation?
Mariana Castillo Deball: I found he title for the exhibition, Figures don’t lie but liars can figure, in Roy Wagner's book, Coyote Anthropology; a series of conversations between Wagner and Coyote, spiraling around the question of how meaning is created, a game of hide and seek between perception, representation and reality. According to Coyote, “perception is a very tricky thing”.
Roy: “So why is perception a fake?”
Coyote: “See, Roy, we do not see the world we see, hear the sounds we hear, touch the things we touch, or in any way perceive what we perceive, but that something else comes in-between.”
Coyote: “Sure. As they say: ‘Figures don’t lie, but liars can Figure.’”
Roy: “The sounds and shapes that you have been trained to react to and project (so that by now it has become quite unconscious) form the pattern or content of first-attention reality. The spaces between and around those words, or between the words and the things they stand for, which you notice only in passing, form the backdrop of second-attention reality.”
P: The philosophical problem in Greece was created to explain the whole, the totality of the things, structurally changing the development of the "western" civilization in comparison with the others. Philosophy, since its origins, has had the purpose to demythologize. The ancient myths were poetry, fantasy, imagination, then philosophy has prepared the background for the new myths: rationality and science, that fragment reality. Measuring itself with the totality of the world, philosophy had to deal with its unstoppable metamorphosis, the becoming, finding itself, for love of wisdom, to classify it, to catalogue it and represent it crystallized into causes and principles of absolute.
Some time ago, introducing the project for pinksummer to us, recalling Ovid and his Metamorphoses, you affirmed that knowing the world means dissolving its solidity. The world of Ovid, you wrote, is beyond the qualities of the attributes and the forms that define the variety of the things. Do you believe that a "de-hellenization of knowledge is possible?
MCD: [RM: Do you know what Mimolette means?
MCD: Mimolette is a process of the fermentation of ideas. The process consists in holding one’s breath, especially in those moments when you have so many thoughts and ideas that your head is about to explode. It is that moment of “almost explosion” when the Mimolette effect has its best results.
The Yanomamis are not allowed to pronounce their own names. If someone gets ill, for example, and goes to the doctor, he needs to be accompanied by a relative, so when the doctor asks, “What’s your name?” the other person can answer the question for him.
Secret names are stronger than spoken names; some people believe there is a limited amount of names in the universe, and if something or someone stays nameless, it is a tragedy.
Ideas, in this process of fermentation, start to have strange shapes and patterns, marble, crystals, blue, red, purple, yellow, white. Are there no colors starting with M?]
From: Maybe So Maybe No: A conversation between Mariana Castillo Deball and Raimundas Malasauskas that started in the middle of the alphabet, continued on radio waves, and reached conclusions around midnight.
P: Speaking of the uncomfortable objects on which your exhibition at pinksummer focuses, there is now on show in Genoa an exhibition titled "Africa of the Wonder" curated by Giovanna Parodi da Passano and displayed by Italian artist Stefano Arienti. Beyond the single works, knowing nothing of African art, what has intrigued us is the attempt to subtract the "exotic" objects from the "museal violence" of the showcase. Some time ago, in an article, Parodi da Passano pointed out how museums, particularly the ethnographic one devoted to extra European civilization, with its competent and de-contextualised representations, is "the principal place of creation of an objectification of the cultural otherness that assimilates and absorbs the manufactured objects for better voting to oblivion the cultures that have produced them". You have often measured yourself with "competent representations" to create entirely fictional stories, in this show from the title that we like to repeat - the figures don't lie, but liars can figure - you have written that you want to build a genealogy of things to observe them as entities that have been transformed, changed, placed in different and contradictory contexts, crossing time and space in History. What you define not-human, the uncomfortable things, have a possibility to tell us about their selves, discarding the world that we have built around them.
MCD: Lately, I have been collecting dialogues and fables among non-humans, such as Aesop's fables, Ovid’s metamorphoses, Lewis Carroll’s dialogues, and fables by Augusto Monterroso, Horacio Quiroga, Antonin Artaud, Sor Juana Ines de la Cruz, Mario de Andrade, Franz Kafka, and Montaigne.
At the beginning I found these dialogues only in fiction literature, but afterwards I started to find experiments of that sort among historians of science, philosophers, and anthropologists. I believe that this attempt comes from a necessity to build up a genealogy of things, to observe them as entities which have been transformed, discarded, mutated, placed in diverse and contradictory contexts throughout history. What non-humans have to say about the world we constructed around them, about our definitions, manipulations and usages? What is left of the objects after so much historical maneuvering and what would be the testimony of these objects if they could tell us their story from their perspective? Our contemporary society is crowded with uncomfortable objects, products of desire, research or imagination; they trigger our conception of the world and compel us to take a position, to change completely our basic understanding of the universe. Uncomfortable objects are constantly being erased, replaced, neutralized and destroyed in order to give space to new things, but this erasure is never complete, we are surrounded more and more by things, quasi-things, fragments, distortions and hybrids. At the same time there is a contrast between infinite possibilities and limited resources. The human desire and power of transformation is strong and blind, resulting in the extinction of species and the erosion of essential natural resources.
P: Do comfortable objects exist?
MCD: I think we are constantly trying to produce comforting, neutral objects, but sooner or later they come back to us, as debris, ghosts or demanding devices. A comforting object is always related to a comforting actor.
P: You ascribe two different cognitive attitudes to the myth of Echo and Narcissus, assimilating Echo to a feminine and matriarchal modality, open to the surroundings and able to be transformed by it. Narcissus, while looking for his reflection, transforms the world into a mirror to affirm his individuality. You link Echo to the experience needed to recognize shapes in a mineral concretion of a cave, where an imaginative power is needed to draw out a shape. Narcissus represents the neutrality of common exhibition spaces, museums or galleries, where shapes are immediately identifiable. Now, for your solo show, will pinksummer be a gallery or a cave?
MCD: Last summer I made a visit to the Chapada Diamantina, a region in Brazil covered with mountains, caves and other mineral formations. While visiting some of the caves it happened very often that the guide would point out a particular formation and ask to the visitants, what is it? Visitors needed to stare to the abstract walls and guess. The figures ranged from a dolphin, a face, a mermaid, an electric guitar, and a piece of bacon.
I found interesting a space where figures are apparently hidden; almost blend with the environment, a space where there is no difference between figure and background. I started to think how different museums and galleries are from the cave experience, where the spaces are neat and white, where the works are immediately recognizable.
In terms of mythology, I thought of Narcissus as an exhibition space, and Echo as a cave. The practice of finding images in stains on the walls and rock formations is closer to the imaginative nature of Echo, who tries to repeat what Narcissus says, but her voice gets inevitably distorted, becoming something else all the time.
On the opposite way, Narcissus is a repetition device, trying constantly to confirm his image, through his reflection on the water. The consequences of this gesture imply a complete denial of the outside world, in order to confirm the uniqueness of the self.
P: Regarding Narcissus and his egocentrism, do you think that the idea of progress that has led to erode the limited resources of our planet still is his reflection?
MCD: French anthropologist Claude Lévi-Strauss defined himself as a traveler, an archeologist in space, vainly trying to restore exoticism with the use of particles and fragments. Lévi-Strauss never went to the Moon, but throughout his exploration of human nature in remote parts of the world, we could see with his magnifying glass the human tendency to reach zero. Human knowledge attempts to divide and fragment reality in order to understand it, words, concepts, mentalities, and disciplines constantly collide with each other creating smaller and smaller particles, like moon dust.
For Lévi-Strauss, mankind has been constantly opposing himself to universal decay. He appears as a machine, maybe more perfected than others, working on disaggregating an original order to precipitate organized matter into inertia. Since he started to breath and feed himself until the invention of the fist thermonuclear and atomic instruments, men has done nothing but happily dissociate millions of structures to reduce them to a state in which they are not susceptible of integration.
Without doubt he has build cities and cultivated fields; but when thinking about it, these achievements are machines destined to produce inertia with a rhythm and proportion infinitely more elevated than the organization they imply. So, civilization, taken as a whole, can be described as a very complex mechanism busy in fabricating what scientists call entropy, which means, inertia.
For Lévi-Strauss, instead of ‘anthropology’ we should write ‘entropology’, a name for a discipline dedicated to study this process of disintegration in its more complex manifestations.
P: What will you present at pinksummer for your first solo show in Italy?
MCD: The exhibition includes friends and relatives of Echo, characters who are in a constant dialogue with their surroundings, establishing conversations that transform their shape constantly.
The exhibition consists of a series of sculptures in papiér-mache, a technique that I have been interested for a long time, because of its flexibility and simplicity and also the link it has with Mexican crafts, where it is used for several purposes. The sculptures resemble mathematical models gone crazy, and they include also images. We are doing a mural with an Italian faux marble technique, that I wanted to do since a very long time, which connects my interests in abstract-organic patterns, caves and beautiful minerals.
The exhibition is the starting point of a new project. This journey will evolve on a series of fables of uncomfortable objects, a portrait of contemporary society through the eyes of non-humans. A compilation of succinct stories featured by animals, mythical creatures, plants, inanimate objects, machines and forces of nature.
The anthropologist James Clifford gives a good example of how an exhibition of uncomfortable beings would look like: “We need exhibitions that question the boundaries of art and of the art world, an influx of truly indigestible “outside” artifacts. The relations of power whereby one portion of humanity can select, value, and collect the pure products of others need to be criticized and transformed. This is no small task. In the meantime one can at least imagine shows that feature the impure, “inauthentic” productions of past and present life; exhibitions radically heterogeneous in their global mix of styles; exhibitions that locate themselves in specific multicultural junctures; exhibitions where nature remains “unnatural”; exhibitions whose principles of incorporation are openly questionable.”[1]
Uncomfortable objects can just be looked with estrangement. Estrangement thus becomes a tool that is part of the creative process, implying an oscillation between understanding and not understanding. Making us conscious of the way we create narratives, discourses and histories, it alerts us to the opposition between the fragmentary nature of knowledge and its inherent tendency toward completion.
The gallery is open from Tuesday to Saturday, 3.00 p.m.- 7.30 p.m.
Pinksummer Palazzo Ducale-Cortile Maggiore Piazza Matteotti 28r 16123 Genova Italy
t/f +39 010 2543762 info@pinksummer.com www.pinksummer.com
[1] James Clifford, The predicament of Culture, p. 213
Figures don't lie, but liars can figure
Inaugurazione il 26 Febbraio 2011 ore 18.30
Comunicato stampa in forma di intervista (scroll for English version)
Pinksummer: Partiamo dal proverbio, attribuito tra gli altri a Mark Twain, che hai scelto come titolo per la mostra da pinksummer: Figures don't lie, but liars can figure.
Montaigne affermava che chiamiamo barbaro e selvaggio ciò che non è riconducibile ai nostri usi e costumi, e che riteniamo migliore ciò che di fatto alteriamo con manipolazioni e accomodazioni adeguate al piacere dei nostri gusti corrotti. Credi che il mondo abbia una sua esistenza "oggettiva", autonoma dalla nostra percezione/interpretazione?
Mariana Castillo Deball: Ho trovato il titolo della mostra, Figures don’t lie but liars can figure, nel libro di Roy Wagner Coyote Anthropology; una serie di conversazioni tra Wagner e Coyote, che ruotano intorno alla domanda su come il significato venga creato, un gioco a nascondino tra la percezione, la rappresentazione e la realtà. Secondo Coyote, “la percezione è una questione molto delicata”.
[Roy: “Quindi perchè la percezione è falsa?”
Coyote: “Vedy, Roy, noi non vediamo il mondo che vediamo, non sentiamo i suoni che sentiamo, non tocchiamo le cose che tocchiamo, o in nessun modo percepiamo quello che percepiamo, ma quel qualcos’altro che sta in mezzo.”
Coyote: “Certo. Come si suol dire: ‘Figures don’t lie but liars can figure’ (le cifre non mentono ma i bugiardi possono fare i conti).”
Roy : “I suoni e le forme alle quali sei stato allenato a reagire e a proiettare (cosicché ora questo è diventato completamente inconscio) formano il modello o il contenuto della realtà a prima vista. Gli spazi tra e intorno a quelle parole, o tra le parole e le cose che rappresentano, che noti solo di passaggio, formano lo sfondo della realtà al secondo sguardo.”]
P: Il problema filosofico in Grecia è nato per spiegare l'intero, la totalità delle cose, cambiando strutturalmente lo sviluppo della civiltà "occidentale" rispetto a ogni altra. La filosofia fin dalle origini ha avuto lo scopo di demitizzare. I miti antichi erano la poesia, la fantasia, l'immaginazione, ma di fatto la filosofia ha preparato il terreno per i nuovi miti della razionalità e della scienza tendenti a parcellizzare il reale. Misurandosi con la totalità del mondo la filosofia si è confrontata con la sua inarrestabile metamorfosi, il divenire, trovandosi costretta per amore di sapienza a classificarlo, catalogarlo per ripresentarlo cristallizzato dentro a cause e principi aureolati di assoluto.
Tempo fa, presentandoci il progetto per pinksummer, rifacendoti a Ovidio e alle sue Metamorfosi, affermasti che conoscere il mondo significa dissolvere la sua solidità. Il mondo di Ovidio, scrivesti, è al di là delle qualità degli attributi e delle forme che definiscono la varietà delle cose. Credi che sia possibile una "de-elenizzazione" del sapere?
MCD: [RM: Sai che cosa significa Mimolette?
MCD: Mimolette è un processo di fermentazione delle idee. Il processo consiste nel mantenere il respiro, specialmente in quei momenti in cui hai così tanti pensieri e idee che la tua testa sembra stia per esplodere. E’ in quel momento di “quasi esplosione” che l’effetto Mimolette funziona al meglio.
Agli Yanomamis non è permesso pronunciare i propri nomi. Se qualcuno si ammala, per esempio, e va dal dottore, deve essere accompagnato da un parente, così quando il dottore chiede “Come ti chiami?” l’altra persona può rispondere per lui. I nomi segreti sono più forti dei nomi pronunciati; alcune persone credono che ci sia una quantità limitata di nomi nell’universo, e se qualcosa o qualcuno rimane senza nome, diventa una tragedia.
Le idee, in questo processo di fermentazione, iniziano ad avere forme e modelli, marmi, cristalli, blu, rossi, viola, gialli, bianchi. Non ci sono colori che iniziano con M?]
Da: Forse Sì Forse No: Una conversazione tra Mariana Castillo Deball e Raimundas Malasauskas che è iniziata nel mezzo dell’alfabeto, è continuata sulle onde radio, ed è terminata intorno a mezzanotte.
P: A proposito degli uncomfortable objects su cui focalizza la mostra da pinksummer, è in corso a Genova una mostra dal titolo "Africa delle Meraviglie" curata da Giovanna Parodi da Passano (e Ivan Bargna con la collaborazione di Marc Augé), allestita dall'artista italiano Stefano Arienti. Al di là dei lavori presentati, non sapendo nulla di arte africana, ciò che ci ha incuriosito è il tentativo di sottrarre gli oggetti "esotici" dalla "violenza museale" della vetrina. In un articolo di un po' di tempo fa, Parodi da Passano additava il museo, in particolare quello etnografico dedicato a civiltà extraeuropee, con le sue “rappresentazioni competenti” e decontestualizzanti come “luogo principe di un'oggettivazione dell'alterità culturale che assimila e assorbe i manufatti per meglio votare all'oblio le culture che li hanno prodotti".
Spesso ti sei misurata con le "rappresentazioni competenti" per ottenere racconti del tutto finzionali, in questa mostra dal titolo che ci piace ripetere - le cifre non mentono, ma i bugiardi possono fare i conti - ci hai scritto di voler costruire una genealogia delle cose per osservarle come entità che sono state trasformate, mutate, piazzate in contesti differenti e contraddittori attraversando il tempo e lo spazio della Storia. Quello che tu definisci il non-umano, le cose scomode, hanno una possibilità di raccontarsi scontornandosi dal mondo che gli abbiamo costruito attorno?
MCD: Ultimamente, ho iniziato a collezionare dialoghi e fiabe tra non-umani, come le favole di Esopo, le Metamorfosi di Ovidio, i dialoghi di Lewis Carroll, le favole di Augusto Monterroso, Horacio Quiroga, Antonin Artaud, Sor Juana Ines de la Cruz, Mario de Andrade, Franz Kafka, e Montaigne.
All’inizio ho trovato questi dialoghi solo nei romanzi, ma successivamente ho iniziato a trovare esperimenti di questo tipo tra gli storici della scienza, filosofi, e antropologi. Credo che questo tentativo dipenda da una necessità di costruire una genealogia delle cose, per osservarle come entità che sono state trasformate, dismesse, mutate, e piazzate in diversi contesti contradditori nel corso della storia.
Che cosa hanno da dire i non-umani riguardo al mondo che abbiamo costruito intorno a loro, circa le nostre definizioni, manipolazioni e usi? Che cosa rimane degli oggetti dopo così tante manomissioni storiche e quale sarebbe la testimonianza di questi oggetti se potessero raccontarci la storia dalla loro prospettiva?
La società contemporanea è piena di oggetti scomodi, oggetti del desiderio, ricerca o immaginazione; essi rendono difficile la nostra concezione del mondo e ci inducono a prendere una posizione per cambiare completamente la nostra basilare comprensione dell’universo.
Gli oggetti scomodi vengono continuamente cancellati, rimpiazzati, neutralizzati, distrutti, per fare spazio a nuove cose, ma questa cancellazione non è mai completa, noi siamo sempre più circondati dalle cose, quasi-cose, frammenti, distorsioni e ibridi. Nel contempo c’è un contrasto tra le infinite possibilità e le risorse limitate. Il desiderio e il potere umano di trasformazione è forte e cieco, e ciò è manifesto nell’estinzione delle specie e nell’erosione delle risorse naturali.
P: Esistono oggetti confortevoli?
MCD: Penso che noi proviamo costantemente a produrre oggetti confortevoli o neutri, ma presto o tardi essi tornano a noi come detriti, fantasmi o congegni esigenti. Un oggetto confortevole è sempre relazionato ad un attore confortante.
P: Tu riconduci le due differenti attitudini cognitive al mito di Eco e Narciso, assimilando Eco alla modalità femminile e matriarcale, aperta all’ambiente e disponibile a farsi trasformare da esso. Narciso, cercando il riflesso di sé trasforma il mondo in uno specchio per affermare il suo individualismo. Tu colleghi Eco all’esperienza di riconoscere forme nelle concrezioni minerali di una grotta, dove identificare una forma richiede uno sforzo immaginativo. Narciso rappresenta la neutralità dello spazio espositivo, musei o gallerie dove le forme sono immediatamente riconoscibili. Ora, per la tua mostra, pinksummer sarà una galleria o una grotta?
MCD: La scorsa estate ho visitato la Chapada Diamantina, una regione del Brasile coperta da montagne, grotte, e altre formazioni minerali. Mentre visitavo alcune grotte accadeva spesso che la guida indicasse una particolare formazione chiedendo ai visitatori “cos’è?”. I visitatori invitati a fissare i muri astratti, tentavano di indovinare. Le figure potevano sembrare un delfino, una faccia, una sirena, una chitarra elettrica, un pezzo di pancetta. Ho trovato interessante un posto dove le figure erano apparentemente nascoste, quasi mimetizzate con l’ambiente, uno spazio dove non c’era differenza tra la figura e lo sfondo. Ho iniziato a pensare a come fossero diversi dall’esperienza della grotta i musei e le gallerie, dove lo spazio è lindo e bianco, e i lavori sono immediatamente riconoscibili. In termini di mitologia, ho pensato a Narciso come ad uno spazio espositivo, e a Eco come a una grotta. La pratica di trovare immagini all’interno dei muri e delle formazioni rocciose è vicina alla natura immaginativa di Eco, che prova a ripetere ciò che dice Narciso, ma la sua voce viene inevitabilmente distorta, diventando ogni volta altro. All’opposto, Narciso è un congegno ripetitivo, prova costantemente a confermare la sua immagine attraverso il suo riflesso nell’acqua. La conseguenza di questo gesto implica un completo rifiuto del mondo esterno, per confermare l’unicità di se stesso.
P: A proposito di Narciso e del suo egocentrismo, pensi che l’idea di progresso che ha portato a erodere le risorse limitate del nostro pianeta sia ancora un suo riflesso?
MCD: L’antropologo francese Claude Lévi-Strauss si è definito un viaggiatore, un archeologo nello spazio, cercando vanamente di ripristinare l’esotismo con l’uso di particelle e frammenti. Lévi-Strauss non è mai andato sulla Luna, ma attraverso l’esplorazione della natura umana nelle più remote parti del mondo, ci ha mostrato con la sua lente di ingrandimento la tendenza umana a raggiungere lo zero. La conoscenza umana cerca di dividere e frammentare la realtà per capirla, parole, concetti, mentalità e discipline collidono costantemente ognuna con l’altra creando particelle sempre più piccole, come polvere di luna.
Per Lévi-Strauss, l’umanità si è sempre opposta al decadimento universale. Essa appare come una macchina, forse più perfetta delle altre, che lavora nel disaggregare un ordine originario per far precipitare la materia organizzata nell’inerzia. Da quando ha iniziato a respirare e nutrirsi, fino all’invenzione dei primi strumenti termonucleari e atomici, l’uomo non ha fatto altro che dissociare allegramente milioni di strutture fino a ridurle ad uno stato in cui esse non sono più in grado di essere integrate.
Senza dubbio l’uomo ha costruito città e coltivato campi; ma, se ci pensiamo, questi risultati sono macchine destinate a produrre inerzia con un ritmo e una proporzione infinitamente più elevati rispetto all’organizzazione che essi implicano. In questo modo la civilizzazione, presa nella sua interezza, può essere descritta come un meccanismo molto complesso occupato nel fabbricare quello che gli scienziati chiamano entropia, che significa inerzia.
Per Lévi-Strauss, invece di “antropologia”, dovremmo scrivere “entropologia”, un nome per una disciplina dedicata a studiare questo processo di disintegrazione nelle sue manifestazioni più complesse.
P: Cosa presenterai da pinksummer per la tua prima mostra personale in Italia?
MCD: La mostra comprende amici e parenti di Eco, personaggi che sono costantemente in dialogo con quello che sta loro attorno, stabilendo conversazioni che trasformano di continuo la loro forma.
La mostra consiste in una serie di sculture in cartapesta, una tecnica che m’interessa da molto tempo, a causa della sua flessibilità e semplicità, e anche per il collegamento con l’artigianato messicano, dove viene utilizzata per svariati scopi. Le sculture ricordano modelli matematici impazziti, e includono anche immagini.
Stiamo realizzando in galleria un murale con una tecnica per il finto-marmo, a cui stavo pensando da parecchio tempo, che si ricollega ai miei interessi per i modelli astratti-organici, le grotte e i minerali bellissimi.
La mostra è il punto di partenza di un progetto nuovo. Questo viaggio si evolverà in una serie di fiabe di oggetti scomodi, un ritratto della società contemporanea attraverso gli occhi dei non-umani. Una raccolta di storie brevi interpretate da animali, creature mitiche, piante, oggetti inanimati, macchine e forze della natura.
L’antropologo James Clifford dà un buon esempio di come una mostra di oggetti scomodi potrebbe essere: “Abbiamo bisogno di mostre che interroghino i confini tra l’arte e il mondo dell’arte, un afflusso di artefatti “estranei” davvero indigesti. Le relazioni di potere, dove una parte dell’umanità può selezionare, valutare e collezionare prodotti autentici dell’altra, devono essere necessariamente criticate e trasformate. Questo non è un lavoro da poco. Allo stesso tempo si possono perlomeno immaginare mostre che abbiano per soggetto le produzioni impure, produzioni “non autentiche” del passato e del presente: mostre radicalmente eterogenee nel loro mix globale di stili; mostre dislocate in specifiche congiunture multi-culturali; mostre dove la natura resti “innaturale”; mostre i cui principi di incorporazione siano apertamente discutibili.”[1]
Gli oggetti scomodi possono essere visti in modo straniante. Lo straniamento quindi diventa uno strumento integrante del processo creativo, implicando un’oscillazione tra la comprensione e la non comprensione. Tale alienazione, rendendoci consapevoli dei modi in cui creiamo narrazioni, discorsi e storie, ci avverte del contrasto tra la natura frammentaria della conoscenza e la sua naturale tendenza alla completezza.
La galleria è aperta dal martedì al sabato, dalle 15.00 alle 19.30.
Pinksummer Palazzo Ducale-Cortile Maggiore Piazza Matteotti 28r 16123 Genova Italy
t/f +39 010 2543762 info@pinksummer.com www.pinksummer.com
[1] James Clifford, The predicament of Culture, p. 213
MARIANA CASTILLO DEBALL
Figures don't lie, but liars can figure
Opening February 26th 2011, h 6.30 p.m.
Press release as interview
Pinksummer: Let's start from the proverb, attributed, among the others, to Mark Twain, that you have chosen as the title for the show at pinksummer: “Figures don't lie, but liars can figure”. Montaigne affirmed that we call barbarian and savage what is not referable to our uses and customs, and that we like best what we alter with manipulations and changes suitable to the pleasure of our corrupt tastes. Do you believe that the world has an "objective" existence, autonomous from our perception/interpretation?
Mariana Castillo Deball: I found he title for the exhibition, Figures don’t lie but liars can figure, in Roy Wagner's book, Coyote Anthropology; a series of conversations between Wagner and Coyote, spiraling around the question of how meaning is created, a game of hide and seek between perception, representation and reality. According to Coyote, “perception is a very tricky thing”.
Roy: “So why is perception a fake?”
Coyote: “See, Roy, we do not see the world we see, hear the sounds we hear, touch the things we touch, or in any way perceive what we perceive, but that something else comes in-between.”
Coyote: “Sure. As they say: ‘Figures don’t lie, but liars can Figure.’”
Roy: “The sounds and shapes that you have been trained to react to and project (so that by now it has become quite unconscious) form the pattern or content of first-attention reality. The spaces between and around those words, or between the words and the things they stand for, which you notice only in passing, form the backdrop of second-attention reality.”
P: The philosophical problem in Greece was created to explain the whole, the totality of the things, structurally changing the development of the "western" civilization in comparison with the others. Philosophy, since its origins, has had the purpose to demythologize. The ancient myths were poetry, fantasy, imagination, then philosophy has prepared the background for the new myths: rationality and science, that fragment reality. Measuring itself with the totality of the world, philosophy had to deal with its unstoppable metamorphosis, the becoming, finding itself, for love of wisdom, to classify it, to catalogue it and represent it crystallized into causes and principles of absolute.
Some time ago, introducing the project for pinksummer to us, recalling Ovid and his Metamorphoses, you affirmed that knowing the world means dissolving its solidity. The world of Ovid, you wrote, is beyond the qualities of the attributes and the forms that define the variety of the things. Do you believe that a "de-hellenization of knowledge is possible?
MCD: [RM: Do you know what Mimolette means?
MCD: Mimolette is a process of the fermentation of ideas. The process consists in holding one’s breath, especially in those moments when you have so many thoughts and ideas that your head is about to explode. It is that moment of “almost explosion” when the Mimolette effect has its best results.
The Yanomamis are not allowed to pronounce their own names. If someone gets ill, for example, and goes to the doctor, he needs to be accompanied by a relative, so when the doctor asks, “What’s your name?” the other person can answer the question for him.
Secret names are stronger than spoken names; some people believe there is a limited amount of names in the universe, and if something or someone stays nameless, it is a tragedy.
Ideas, in this process of fermentation, start to have strange shapes and patterns, marble, crystals, blue, red, purple, yellow, white. Are there no colors starting with M?]
From: Maybe So Maybe No: A conversation between Mariana Castillo Deball and Raimundas Malasauskas that started in the middle of the alphabet, continued on radio waves, and reached conclusions around midnight.
P: Speaking of the uncomfortable objects on which your exhibition at pinksummer focuses, there is now on show in Genoa an exhibition titled "Africa of the Wonder" curated by Giovanna Parodi da Passano and displayed by Italian artist Stefano Arienti. Beyond the single works, knowing nothing of African art, what has intrigued us is the attempt to subtract the "exotic" objects from the "museal violence" of the showcase. Some time ago, in an article, Parodi da Passano pointed out how museums, particularly the ethnographic one devoted to extra European civilization, with its competent and de-contextualised representations, is "the principal place of creation of an objectification of the cultural otherness that assimilates and absorbs the manufactured objects for better voting to oblivion the cultures that have produced them". You have often measured yourself with "competent representations" to create entirely fictional stories, in this show from the title that we like to repeat - the figures don't lie, but liars can figure - you have written that you want to build a genealogy of things to observe them as entities that have been transformed, changed, placed in different and contradictory contexts, crossing time and space in History. What you define not-human, the uncomfortable things, have a possibility to tell us about their selves, discarding the world that we have built around them.
MCD: Lately, I have been collecting dialogues and fables among non-humans, such as Aesop's fables, Ovid’s metamorphoses, Lewis Carroll’s dialogues, and fables by Augusto Monterroso, Horacio Quiroga, Antonin Artaud, Sor Juana Ines de la Cruz, Mario de Andrade, Franz Kafka, and Montaigne.
At the beginning I found these dialogues only in fiction literature, but afterwards I started to find experiments of that sort among historians of science, philosophers, and anthropologists. I believe that this attempt comes from a necessity to build up a genealogy of things, to observe them as entities which have been transformed, discarded, mutated, placed in diverse and contradictory contexts throughout history. What non-humans have to say about the world we constructed around them, about our definitions, manipulations and usages? What is left of the objects after so much historical maneuvering and what would be the testimony of these objects if they could tell us their story from their perspective? Our contemporary society is crowded with uncomfortable objects, products of desire, research or imagination; they trigger our conception of the world and compel us to take a position, to change completely our basic understanding of the universe. Uncomfortable objects are constantly being erased, replaced, neutralized and destroyed in order to give space to new things, but this erasure is never complete, we are surrounded more and more by things, quasi-things, fragments, distortions and hybrids. At the same time there is a contrast between infinite possibilities and limited resources. The human desire and power of transformation is strong and blind, resulting in the extinction of species and the erosion of essential natural resources.
P: Do comfortable objects exist?
MCD: I think we are constantly trying to produce comforting, neutral objects, but sooner or later they come back to us, as debris, ghosts or demanding devices. A comforting object is always related to a comforting actor.
P: You ascribe two different cognitive attitudes to the myth of Echo and Narcissus, assimilating Echo to a feminine and matriarchal modality, open to the surroundings and able to be transformed by it. Narcissus, while looking for his reflection, transforms the world into a mirror to affirm his individuality. You link Echo to the experience needed to recognize shapes in a mineral concretion of a cave, where an imaginative power is needed to draw out a shape. Narcissus represents the neutrality of common exhibition spaces, museums or galleries, where shapes are immediately identifiable. Now, for your solo show, will pinksummer be a gallery or a cave?
MCD: Last summer I made a visit to the Chapada Diamantina, a region in Brazil covered with mountains, caves and other mineral formations. While visiting some of the caves it happened very often that the guide would point out a particular formation and ask to the visitants, what is it? Visitors needed to stare to the abstract walls and guess. The figures ranged from a dolphin, a face, a mermaid, an electric guitar, and a piece of bacon.
I found interesting a space where figures are apparently hidden; almost blend with the environment, a space where there is no difference between figure and background. I started to think how different museums and galleries are from the cave experience, where the spaces are neat and white, where the works are immediately recognizable.
In terms of mythology, I thought of Narcissus as an exhibition space, and Echo as a cave. The practice of finding images in stains on the walls and rock formations is closer to the imaginative nature of Echo, who tries to repeat what Narcissus says, but her voice gets inevitably distorted, becoming something else all the time.
On the opposite way, Narcissus is a repetition device, trying constantly to confirm his image, through his reflection on the water. The consequences of this gesture imply a complete denial of the outside world, in order to confirm the uniqueness of the self.
P: Regarding Narcissus and his egocentrism, do you think that the idea of progress that has led to erode the limited resources of our planet still is his reflection?
MCD: French anthropologist Claude Lévi-Strauss defined himself as a traveler, an archeologist in space, vainly trying to restore exoticism with the use of particles and fragments. Lévi-Strauss never went to the Moon, but throughout his exploration of human nature in remote parts of the world, we could see with his magnifying glass the human tendency to reach zero. Human knowledge attempts to divide and fragment reality in order to understand it, words, concepts, mentalities, and disciplines constantly collide with each other creating smaller and smaller particles, like moon dust.
For Lévi-Strauss, mankind has been constantly opposing himself to universal decay. He appears as a machine, maybe more perfected than others, working on disaggregating an original order to precipitate organized matter into inertia. Since he started to breath and feed himself until the invention of the fist thermonuclear and atomic instruments, men has done nothing but happily dissociate millions of structures to reduce them to a state in which they are not susceptible of integration.
Without doubt he has build cities and cultivated fields; but when thinking about it, these achievements are machines destined to produce inertia with a rhythm and proportion infinitely more elevated than the organization they imply. So, civilization, taken as a whole, can be described as a very complex mechanism busy in fabricating what scientists call entropy, which means, inertia.
For Lévi-Strauss, instead of ‘anthropology’ we should write ‘entropology’, a name for a discipline dedicated to study this process of disintegration in its more complex manifestations.
P: What will you present at pinksummer for your first solo show in Italy?
MCD: The exhibition includes friends and relatives of Echo, characters who are in a constant dialogue with their surroundings, establishing conversations that transform their shape constantly.
The exhibition consists of a series of sculptures in papiér-mache, a technique that I have been interested for a long time, because of its flexibility and simplicity and also the link it has with Mexican crafts, where it is used for several purposes. The sculptures resemble mathematical models gone crazy, and they include also images. We are doing a mural with an Italian faux marble technique, that I wanted to do since a very long time, which connects my interests in abstract-organic patterns, caves and beautiful minerals.
The exhibition is the starting point of a new project. This journey will evolve on a series of fables of uncomfortable objects, a portrait of contemporary society through the eyes of non-humans. A compilation of succinct stories featured by animals, mythical creatures, plants, inanimate objects, machines and forces of nature.
The anthropologist James Clifford gives a good example of how an exhibition of uncomfortable beings would look like: “We need exhibitions that question the boundaries of art and of the art world, an influx of truly indigestible “outside” artifacts. The relations of power whereby one portion of humanity can select, value, and collect the pure products of others need to be criticized and transformed. This is no small task. In the meantime one can at least imagine shows that feature the impure, “inauthentic” productions of past and present life; exhibitions radically heterogeneous in their global mix of styles; exhibitions that locate themselves in specific multicultural junctures; exhibitions where nature remains “unnatural”; exhibitions whose principles of incorporation are openly questionable.”[1]
Uncomfortable objects can just be looked with estrangement. Estrangement thus becomes a tool that is part of the creative process, implying an oscillation between understanding and not understanding. Making us conscious of the way we create narratives, discourses and histories, it alerts us to the opposition between the fragmentary nature of knowledge and its inherent tendency toward completion.
The gallery is open from Tuesday to Saturday, 3.00 p.m.- 7.30 p.m.
Pinksummer Palazzo Ducale-Cortile Maggiore Piazza Matteotti 28r 16123 Genova Italy
t/f +39 010 2543762 info@pinksummer.com www.pinksummer.com
[1] James Clifford, The predicament of Culture, p. 213
26
febbraio 2011
Mariana Castillo Deball – Figures don’t lie but liars can figure
Dal 26 febbraio al 26 marzo 2011
arte contemporanea
Location
PINKSUMMER – PALAZZO DUCALE
Genova, Piazza Giacomo Matteotti, 28r, (Genova)
Genova, Piazza Giacomo Matteotti, 28r, (Genova)
Orario di apertura
da martedì a sabato 15-19.30
Vernissage
26 Febbraio 2011, ore 18.30
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