Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Mariangela Calabrese – Equilibri contrapposti
mostra personale di Mariangela Calabrese
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Attraverso riflessioni e rielaborazioni di concetti della tradizione dell’arte e della letteratura, partendo dal Simbolismo di fine ‘800, da Turner all’Informale, da Virgilio a Dante, quale bacino di pesca per la memoria e territorio di viaggio sulle rotte segnate dalle emozioni e dal pensiero umano, Mariangela Calabrese, tramite la sua esperienza artistica, fatta di colore, quale materia-tracciato-scrittura-prospettiva, in un itinerario che spazia tra pittura, scultura, libri d’arte e opere ambientali, apre un dialogo con il contesto in cui vivono le sue installazioni e ne fa spazio di indagine per ambire alla conoscenza tra presenza e assenza, essere e non essere. Come suoni in musica e immensità di accostamenti di variazioni cromatiche cui abbandonarsi, il suo work in progress compone le tessere seriali del suo “discorrere” espressivo, mantenendosi sempre fedele alla voglia di comunicare, alla responsabilità di significare.
Presentazione mostra personale presso Palazzo Genovesi – Salerno
Critico d’Arte Dott. Rocco Zani
MARIANGELA CALABRESE. PERCORRERE IL TEMPO
di Rocco Zani
Se i luoghi conservano una loro natura umorale, una valenza affettiva e finanche produttiva nell’economia del pensare e dell’agire, quelli prescelti da Mariangela Calabrese segnano, probabilmente, la nota distintiva di quegli insiemi sonori (direbbe Dorfles) che alimentano e attraversano il suo fare pittura. Direi addirittura, parafrasando quella dottrina gastronomica assai in voga, che la sua pittura sa di “mare e terra” o, più verosimilmente, di lacrime e fatica. Perché i luoghi sostengono temporalità incrociate che dettano ripensamenti (trascorsi) e stille di presenza (attuali)….
Sono salito per viuzze collinari, a nord di un territorio che sa di saliscendi obbligati e di altipiani irridenti, di querce e lecci, di cespugli brecciosi. Sono salito (e ridisceso) fin qui, richiamato forse dalle “coincidenze” del blu e dell’indaco, sopraffatto dalla rarità di tracce – quelle pittoriche – in apparenza indistinte, talvolta “ventose”, perfino simboliche.
E allora - all’ombra del sole “scolaro” – il percorso si fa meno tortuoso e racchiude in se il luogo fisico e quello ancestrale. Ancora una volta un dualismo ininterrotto, attraversato, sospeso, riconquistato su ogni centimetro di campitura, lungo i crinali dell’oro e le sofferenze del bianco prigioniero del blu ingordo.
Sono queste le “misture” da cui partire.
Credo sia discreta Mariangela Calabrese, come l’entroterra dell’adolescenza, riparato dalle solarità saline o dalle brezze invadenti. Come il nord di queste colline prescelte – per caso o volontà – che promettono ombra alla calura di estati grasse. Credo sia discreta Mariangela Calabrese, per quel suo sottrarre parole e giudizi offrendo a pochi il privilegio di indagare.
L’incontro si fa allora un piccolo romanzo confidenziale dove le pagine riportano una scrittura lieve che è prologo – figurativo – e divenire incalzante di segni accesi.
Il privilegio è quello di leggere l’unicità di un tracciato compiuto – ma gravido di inediti pronunciamenti - in cui la figura dell’esordio, la dimensione di un corpo retinicamente visibile, si è fatta via via proselito, per nulla ingannevole, di nuovi reclami, di inediti aforismi. Come se ogni giorno trascorso avesse fornito gradualità allo sguardo e misura alla riflessione.
Il risultato di questo “attraversamento” è il dinamismo attuale, non già serafica affermazione di libertari pronunciamenti – il segno e il colore abbandonati ad un vibrante balletto di cieche intuizioni – piuttosto di meditate ostilità, di affermazioni dubbiose – e pertanto “discrete” - di scrupolose dichiarazioni.
Sfoglio le pagine di una narrazione che “lava e stira” il tempo percorso.
Il “corpo” in origine. Nella sua vastità di pieghe collinari e di cieli da vertigine. Il corpo come unicità del capitolo, fatto di sguardi e occasioni, di equilibri impropri, di attese. Il corpo che assale lo spazio, ne denuncia il limitare e affonda per sacralità di memorie e ricordanze. Di condanne.
Il corpo “letterario” offerto come spunto di discordie o di amorose fragranze. D’altra parte l’origine della pittura non ha tracciati menzogneri, scarti affabulatori o approdi agevoli. Il “corpo” come prologo di intenti ed eventi. E di baraonde da perseguire.
L’informale di Mariangela Calabrese – la sua rinascita pittorica – è conquista e lavacro, è lacrime e fatica, appunto, è dimensione cannibalistica ovvero sponda generosa e nuda sul respiro. Come se la poesia del colore (“è ponte il colore” suggerisce Marcello Carlino) divorasse le “rivalità intestine” della forma sostenendone una nuova e pertanto inedita postura. Ne indicasse da sola l’energia – e il luccichio -, il fiato, la sostanza.
Ecco, occorre sostare sui capitoli dell’epilogo – ovvero del presente -, definirne il peso e scrutarne il passo. E’ nella coscienza epifanica del colore, nei timbri inusuali, nelle smussature delle biacche e dell’oro, la più recente traduzione pittorica di Mariangela Calabrese. Quella che ha ridisegnato il corpo e il volto – il cortile familiare, direi – assicurandone però l’essenza. Nell’arrembaggio del viola e del cadmio, nelle sottrazioni del blu.
In effetti, quello che a molti potrebbe apparire come una sorta di marcata discriminante tra il prima e il dopo – tra il vissuto e il presente – è in verità un “luogo comune” in cui l’artista ribadisce, di continuo, la propria indissolubile identità. Con l’occhio gravido che ha archiviato il tempo, lo ha misurato per are e subbugli, lo ha impastato fino a scrutarne gli alibi. E’ al colore, quale materia-tracciato-scrittura-prospettiva che Mariangela Calabrese affida oggi le faticose risposte al cruccio, alle suggestioni dell’alba, al rimpianto. Alle sentinelle inesorabili del nostro andare.
Giugno 2017 – Rocco Zani
Presentazione mostra personale presso Palazzo Genovesi – Salerno
Critico d’Arte Dott. Rocco Zani
MARIANGELA CALABRESE. PERCORRERE IL TEMPO
di Rocco Zani
Se i luoghi conservano una loro natura umorale, una valenza affettiva e finanche produttiva nell’economia del pensare e dell’agire, quelli prescelti da Mariangela Calabrese segnano, probabilmente, la nota distintiva di quegli insiemi sonori (direbbe Dorfles) che alimentano e attraversano il suo fare pittura. Direi addirittura, parafrasando quella dottrina gastronomica assai in voga, che la sua pittura sa di “mare e terra” o, più verosimilmente, di lacrime e fatica. Perché i luoghi sostengono temporalità incrociate che dettano ripensamenti (trascorsi) e stille di presenza (attuali)….
Sono salito per viuzze collinari, a nord di un territorio che sa di saliscendi obbligati e di altipiani irridenti, di querce e lecci, di cespugli brecciosi. Sono salito (e ridisceso) fin qui, richiamato forse dalle “coincidenze” del blu e dell’indaco, sopraffatto dalla rarità di tracce – quelle pittoriche – in apparenza indistinte, talvolta “ventose”, perfino simboliche.
E allora - all’ombra del sole “scolaro” – il percorso si fa meno tortuoso e racchiude in se il luogo fisico e quello ancestrale. Ancora una volta un dualismo ininterrotto, attraversato, sospeso, riconquistato su ogni centimetro di campitura, lungo i crinali dell’oro e le sofferenze del bianco prigioniero del blu ingordo.
Sono queste le “misture” da cui partire.
Credo sia discreta Mariangela Calabrese, come l’entroterra dell’adolescenza, riparato dalle solarità saline o dalle brezze invadenti. Come il nord di queste colline prescelte – per caso o volontà – che promettono ombra alla calura di estati grasse. Credo sia discreta Mariangela Calabrese, per quel suo sottrarre parole e giudizi offrendo a pochi il privilegio di indagare.
L’incontro si fa allora un piccolo romanzo confidenziale dove le pagine riportano una scrittura lieve che è prologo – figurativo – e divenire incalzante di segni accesi.
Il privilegio è quello di leggere l’unicità di un tracciato compiuto – ma gravido di inediti pronunciamenti - in cui la figura dell’esordio, la dimensione di un corpo retinicamente visibile, si è fatta via via proselito, per nulla ingannevole, di nuovi reclami, di inediti aforismi. Come se ogni giorno trascorso avesse fornito gradualità allo sguardo e misura alla riflessione.
Il risultato di questo “attraversamento” è il dinamismo attuale, non già serafica affermazione di libertari pronunciamenti – il segno e il colore abbandonati ad un vibrante balletto di cieche intuizioni – piuttosto di meditate ostilità, di affermazioni dubbiose – e pertanto “discrete” - di scrupolose dichiarazioni.
Sfoglio le pagine di una narrazione che “lava e stira” il tempo percorso.
Il “corpo” in origine. Nella sua vastità di pieghe collinari e di cieli da vertigine. Il corpo come unicità del capitolo, fatto di sguardi e occasioni, di equilibri impropri, di attese. Il corpo che assale lo spazio, ne denuncia il limitare e affonda per sacralità di memorie e ricordanze. Di condanne.
Il corpo “letterario” offerto come spunto di discordie o di amorose fragranze. D’altra parte l’origine della pittura non ha tracciati menzogneri, scarti affabulatori o approdi agevoli. Il “corpo” come prologo di intenti ed eventi. E di baraonde da perseguire.
L’informale di Mariangela Calabrese – la sua rinascita pittorica – è conquista e lavacro, è lacrime e fatica, appunto, è dimensione cannibalistica ovvero sponda generosa e nuda sul respiro. Come se la poesia del colore (“è ponte il colore” suggerisce Marcello Carlino) divorasse le “rivalità intestine” della forma sostenendone una nuova e pertanto inedita postura. Ne indicasse da sola l’energia – e il luccichio -, il fiato, la sostanza.
Ecco, occorre sostare sui capitoli dell’epilogo – ovvero del presente -, definirne il peso e scrutarne il passo. E’ nella coscienza epifanica del colore, nei timbri inusuali, nelle smussature delle biacche e dell’oro, la più recente traduzione pittorica di Mariangela Calabrese. Quella che ha ridisegnato il corpo e il volto – il cortile familiare, direi – assicurandone però l’essenza. Nell’arrembaggio del viola e del cadmio, nelle sottrazioni del blu.
In effetti, quello che a molti potrebbe apparire come una sorta di marcata discriminante tra il prima e il dopo – tra il vissuto e il presente – è in verità un “luogo comune” in cui l’artista ribadisce, di continuo, la propria indissolubile identità. Con l’occhio gravido che ha archiviato il tempo, lo ha misurato per are e subbugli, lo ha impastato fino a scrutarne gli alibi. E’ al colore, quale materia-tracciato-scrittura-prospettiva che Mariangela Calabrese affida oggi le faticose risposte al cruccio, alle suggestioni dell’alba, al rimpianto. Alle sentinelle inesorabili del nostro andare.
Giugno 2017 – Rocco Zani
05
agosto 2017
Mariangela Calabrese – Equilibri contrapposti
Dal 05 al 12 agosto 2017
arte contemporanea
Location
PALAZZO GENOVESE
Salerno, Piazza Sedile Del Campo, (Salerno)
Salerno, Piazza Sedile Del Campo, (Salerno)
Vernissage
5 Agosto 2017, ore 18.30
Autore