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Marino Marini – Passioni Visive
la Fondazione Marino Marini propone, del Maestro, la prima retrospettiva che ambisce a situarlo organicamente nella storia della scultura.
Comunicato stampa
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Con il titolo “Marino Marini. Passioni visive” la Fondazione Marino Marini
propone, del Maestro, la prima retrospettiva che ambisce a situarlo
organicamente nella storia della scultura. L’esposizione, che si terrà in
Palazzo Fabroni a cura di Barbara Cinelli e Flavio Fergonzi, si presenta come
uno dei momenti di punta delle Celebrazioni di Pistoia Capitale italiana della
Cultura 2017. La mostra è organizzata dalla Fondazione Marino Marini,
Pistoia e dalla Fondazione Solomon R. Guggenheim, Venezia. Dopo Pistoia,
la mostra si trasferirà infatti alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia dal
27 gennaio al 1 maggio 2018.
“Manca ancora, nella vicenda espositiva e nella letteratura scientifica su
Marini, un serio lavoro di contestualizzazione storica e stilistica della sua
ricerca di scultore”, afferma il Direttore della Fondazione Maria Teresa Tosi.
“Lo stato odierno degli studi sembra richiedere questa prospettiva: l’unica che
può restituire all’artista la sua posizione di assoluto rilievo nella vicenda del
modernismo novecentesco internazionale”.
“Di qui è nata l’idea di questa mostra che vuole ripercorrere tutte le fasi della
creazione artistica del Maestro, dagli anni Venti agli anni Sessanta. Oggetto di
indagine sarà soprattutto l’officina di invenzioni plastiche di Marino Marini che
verranno poste in relazione diretta, immediatamente percepibile, con i grandi
modelli della scultura del ‘900 cui egli ebbe accesso; e, inoltre, con alcuni,
scelti esempi di scultura dei secoli passati – dall’antichità egizia a quella
greco-arcaica ed etrusca, dalla scultura medievale a quella del Rinascimento
e dell’Ottocento – che furono consapevolmente recuperati da lui e dai
maggiori scultori della sua generazione”.
Dieci sono le sezioni pensate dai curatori per dare pieno conto della ricerca
plastica di Marino Marini: sono tutte caratterizzate dal raffronto tra le opere
dello scultore pistoiese e quelle di altri grandi del passato o di suoi
contemporanei. Nella prima i suoi busti degli esordi sono affiancati a canopi
etruschi e a busti rinascimentali; mentre il “Popolo”, la terracotta del 1929 che
fu un passaggio determinante della sua svolta arcaista, si misura con una
testa greco-arcaica da Selinunte e con un coperchio figurato di una sepoltura
etrusca. Anche la successiva ricerca di una diversa monumentalità, ben
rappresentata dal capolavoro ligneo dell’“Ersilia”, è messa a confronto con
sculture etrusche e antico-italiche.
Verso la metà degli anni Trenta Marini si concentra sul soggetto del nudo
maschile e ne trae una serie di lavori destinati a lasciare un segno nella
scultura europea, come evidenzia il raffronto con opere capitali del medesimo
tema di Arturo Martini e Giacomo Manzù. Negli stessi anni, Marini reinventa il
significato stesso del ritratto scultoreo, attingendo ai modelli del passato,
specialmente all’arte egizia, da cui desume la lezione di una volumetria pura,
intrinsecamente monumentale.
La mostra si sofferma quindi sui celebri e perturbanti primi grandi “Cavalieri”
dei secondi anni Trenta, che al loro comparire furono giudicati, per l’arcaica
impassibilità, un attentato ai canoni tradizionali del genere, ma furono
apprezzati da una ristretta schiera di intelligenti e sofisticati ammiratori.
La scena successiva è riservata alla stilizzazione allungata dei corpi maschili:
qui dove il trecentesco Cristo Crocifisso appartenuto al maestro è avvicinato a
un suo “Icaro” e a due dei suoi“Giocolieri”.
Le “Pomone” e i nudi femminili, che lo scultore realizza partendo da una
originale e misurata rielaborazione del classicismo post-rodiniano, si
confrontano in mostra con i nudi di Ernesto De Fiori e di Aristide Maillol, le
maggiori proposte europee del tempo nella difficile partita di trasformare il
corpo femminile in una forma astratta.
Quando, verso il 1940, mentre quasi tutti gli altri scultori italiani ed europei
sembrano voler abbandonare la lezione di Rodin, Marino Marini la rivisita per
dare inizio a una nuova stagione di ricerca che lo porterà, nel dopoguerra, a
misurarsi con l’esistenzializzazione della forma di Germaine Richier. Questa
particolare declinazione della ricerca formale di Marini prende forma negli anni
del conflitto, durante il suo esilio in Svizzera, quando lo scultore sembra
guardare con particolare attenzione al drammatico realismo di Donatello: la
presenza in mostra del Niccolo’ da Uzzano del Bargello permetterà di
comprendere a fondo le implicazioni di questa svolta.
La ricerca postbellica riporta Marino Marini a indagare, in forme più astratte, il
tema del cavallo e cavaliere: in una sala saranno raccolti gli esiti maggiori di
questo ciclo, opere contese dal maggiore collezionismo internazionale, e
determinanti nello stabilire la posizione di primo piano dello scultore nel
canone della scultura contemporanea di figura. In una sala emozionante i
“Cavalieri” post 1945 di Marino Marini saranno messi a confronto con i loro
antenati di riferimento, cavalli e cavalieri dalle civiltà del Mediterraneo e
dell’antica Cina.
Nel dopoguerra Marini inventa una nuova lingua per la resa espressiva del
volto umano: questa lingua, che guarda alla scomposizione cubista e,
insieme, alla deformazione espressionista, farà di lui il più grande ritrattista-
scultore del secolo. La sala dedicata ai ritratti del dopoguerra proporrà
confronti con teste di civiltà antiche e teste di scultori contemporanei. Ancora il
tema del Cavaliere, questa volta disarcionato, diventerà un motivo di pura
ricerca spaziale, ormai quasi sganciato dalla riconoscibilità del soggetto, come
evidenziato dalla sezione dedicata ai celebri “Miracoli”. Chiudono la mostra i
piccoli e grandi “Guerrieri” e le “Figure coricate” degli anni Cinquanta eSessanta: sarà visualizzato, in questo snodo, l’inatteso confronto con l’antica
tradizione toscana di Giovanni Pisano e, insieme, con le soluzioni più
sperimentali di Pablo Picasso e di Henry Moore.
Questa grande rassegna si avvale di un Comitato scientifico composto dai
Curatori e da Philip Rylands, Salvatore Settis, Carlo Sisi e Maria Teresa Tosi.
La mostra, promossa dalla Fondazione Marino Marini e dal Comune di
Pistoia, è realizzata in collaborazione con la Cassa di Risparmio di Pistoia e
della Lucchesia e con la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia. La mostra
alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia è sostenuta dagli Institutional
Patrons—EFG, Lavazza, Regione del Veneto—e le Guggenheim Intrapresæ.
propone, del Maestro, la prima retrospettiva che ambisce a situarlo
organicamente nella storia della scultura. L’esposizione, che si terrà in
Palazzo Fabroni a cura di Barbara Cinelli e Flavio Fergonzi, si presenta come
uno dei momenti di punta delle Celebrazioni di Pistoia Capitale italiana della
Cultura 2017. La mostra è organizzata dalla Fondazione Marino Marini,
Pistoia e dalla Fondazione Solomon R. Guggenheim, Venezia. Dopo Pistoia,
la mostra si trasferirà infatti alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia dal
27 gennaio al 1 maggio 2018.
“Manca ancora, nella vicenda espositiva e nella letteratura scientifica su
Marini, un serio lavoro di contestualizzazione storica e stilistica della sua
ricerca di scultore”, afferma il Direttore della Fondazione Maria Teresa Tosi.
“Lo stato odierno degli studi sembra richiedere questa prospettiva: l’unica che
può restituire all’artista la sua posizione di assoluto rilievo nella vicenda del
modernismo novecentesco internazionale”.
“Di qui è nata l’idea di questa mostra che vuole ripercorrere tutte le fasi della
creazione artistica del Maestro, dagli anni Venti agli anni Sessanta. Oggetto di
indagine sarà soprattutto l’officina di invenzioni plastiche di Marino Marini che
verranno poste in relazione diretta, immediatamente percepibile, con i grandi
modelli della scultura del ‘900 cui egli ebbe accesso; e, inoltre, con alcuni,
scelti esempi di scultura dei secoli passati – dall’antichità egizia a quella
greco-arcaica ed etrusca, dalla scultura medievale a quella del Rinascimento
e dell’Ottocento – che furono consapevolmente recuperati da lui e dai
maggiori scultori della sua generazione”.
Dieci sono le sezioni pensate dai curatori per dare pieno conto della ricerca
plastica di Marino Marini: sono tutte caratterizzate dal raffronto tra le opere
dello scultore pistoiese e quelle di altri grandi del passato o di suoi
contemporanei. Nella prima i suoi busti degli esordi sono affiancati a canopi
etruschi e a busti rinascimentali; mentre il “Popolo”, la terracotta del 1929 che
fu un passaggio determinante della sua svolta arcaista, si misura con una
testa greco-arcaica da Selinunte e con un coperchio figurato di una sepoltura
etrusca. Anche la successiva ricerca di una diversa monumentalità, ben
rappresentata dal capolavoro ligneo dell’“Ersilia”, è messa a confronto con
sculture etrusche e antico-italiche.
Verso la metà degli anni Trenta Marini si concentra sul soggetto del nudo
maschile e ne trae una serie di lavori destinati a lasciare un segno nella
scultura europea, come evidenzia il raffronto con opere capitali del medesimo
tema di Arturo Martini e Giacomo Manzù. Negli stessi anni, Marini reinventa il
significato stesso del ritratto scultoreo, attingendo ai modelli del passato,
specialmente all’arte egizia, da cui desume la lezione di una volumetria pura,
intrinsecamente monumentale.
La mostra si sofferma quindi sui celebri e perturbanti primi grandi “Cavalieri”
dei secondi anni Trenta, che al loro comparire furono giudicati, per l’arcaica
impassibilità, un attentato ai canoni tradizionali del genere, ma furono
apprezzati da una ristretta schiera di intelligenti e sofisticati ammiratori.
La scena successiva è riservata alla stilizzazione allungata dei corpi maschili:
qui dove il trecentesco Cristo Crocifisso appartenuto al maestro è avvicinato a
un suo “Icaro” e a due dei suoi“Giocolieri”.
Le “Pomone” e i nudi femminili, che lo scultore realizza partendo da una
originale e misurata rielaborazione del classicismo post-rodiniano, si
confrontano in mostra con i nudi di Ernesto De Fiori e di Aristide Maillol, le
maggiori proposte europee del tempo nella difficile partita di trasformare il
corpo femminile in una forma astratta.
Quando, verso il 1940, mentre quasi tutti gli altri scultori italiani ed europei
sembrano voler abbandonare la lezione di Rodin, Marino Marini la rivisita per
dare inizio a una nuova stagione di ricerca che lo porterà, nel dopoguerra, a
misurarsi con l’esistenzializzazione della forma di Germaine Richier. Questa
particolare declinazione della ricerca formale di Marini prende forma negli anni
del conflitto, durante il suo esilio in Svizzera, quando lo scultore sembra
guardare con particolare attenzione al drammatico realismo di Donatello: la
presenza in mostra del Niccolo’ da Uzzano del Bargello permetterà di
comprendere a fondo le implicazioni di questa svolta.
La ricerca postbellica riporta Marino Marini a indagare, in forme più astratte, il
tema del cavallo e cavaliere: in una sala saranno raccolti gli esiti maggiori di
questo ciclo, opere contese dal maggiore collezionismo internazionale, e
determinanti nello stabilire la posizione di primo piano dello scultore nel
canone della scultura contemporanea di figura. In una sala emozionante i
“Cavalieri” post 1945 di Marino Marini saranno messi a confronto con i loro
antenati di riferimento, cavalli e cavalieri dalle civiltà del Mediterraneo e
dell’antica Cina.
Nel dopoguerra Marini inventa una nuova lingua per la resa espressiva del
volto umano: questa lingua, che guarda alla scomposizione cubista e,
insieme, alla deformazione espressionista, farà di lui il più grande ritrattista-
scultore del secolo. La sala dedicata ai ritratti del dopoguerra proporrà
confronti con teste di civiltà antiche e teste di scultori contemporanei. Ancora il
tema del Cavaliere, questa volta disarcionato, diventerà un motivo di pura
ricerca spaziale, ormai quasi sganciato dalla riconoscibilità del soggetto, come
evidenziato dalla sezione dedicata ai celebri “Miracoli”. Chiudono la mostra i
piccoli e grandi “Guerrieri” e le “Figure coricate” degli anni Cinquanta eSessanta: sarà visualizzato, in questo snodo, l’inatteso confronto con l’antica
tradizione toscana di Giovanni Pisano e, insieme, con le soluzioni più
sperimentali di Pablo Picasso e di Henry Moore.
Questa grande rassegna si avvale di un Comitato scientifico composto dai
Curatori e da Philip Rylands, Salvatore Settis, Carlo Sisi e Maria Teresa Tosi.
La mostra, promossa dalla Fondazione Marino Marini e dal Comune di
Pistoia, è realizzata in collaborazione con la Cassa di Risparmio di Pistoia e
della Lucchesia e con la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia. La mostra
alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia è sostenuta dagli Institutional
Patrons—EFG, Lavazza, Regione del Veneto—e le Guggenheim Intrapresæ.
15
settembre 2017
Marino Marini – Passioni Visive
Dal 15 settembre 2017 al 07 gennaio 2018
arte moderna e contemporanea
Location
PALAZZO FABRONI ARTI VISIVE CONTEMPORANEE
Pistoia, Via Sant'andrea, 18, (Pistoia)
Pistoia, Via Sant'andrea, 18, (Pistoia)
Vernissage
15 Settembre 2017, ore 11.00 per la stampa su invito
Sito web
www.marinomarinipassionivisive.it
Ufficio stampa
STUDIO ESSECI
Autore
Curatore