Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Marino Mazzacurati – La felicità della compiutezza espressiva
Oltre 80 opere raccontano l’opera di Marino Mazzacurati a 40 anni dalla sua scomparsa
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Dipinti, sculture, lavori grafici e di arte applicata: sono le oltre 80 opere, alcune delle quali inedite, dell’esposizione dedicata alla figura di Renato Marino Mazzacurati, dal 27 novembre 2009 al 21 febbraio 2010 al Casino dei Principi di Villa Torlonia.
La mostra è promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione del Comune di Roma - Sovraintendenza ai Beni Culturali e dalla Commissione Cultura in collaborazione con il Museo Marino Mazzacurati di Reggio Emilia ed è curata da Silvana Bonfili con Anna Paola Agati. Organizzazione e servizi museali sono di Zètema Progetto Cultura.
Sono trascorsi quaranta anni dalla scomparsa di Renato Marino Mazzacurati (S.Venanzio di Galliera 1907 - Parma 1969), figura di riferimento tra gli anni Venti e Trenta per l’arte italiana e in particolare per Roma, sua città d’elezione. Il suo percorso artistico ha attraversato luoghi cruciali della vita culturale nazionale consentendogli di stringere importanti legami con Scipione, Mafai, con lo storico dell’arte e studioso Wart Arslan, con Di Cocco, Cavalli e Capogrossi. Negli anni Venti -Trenta, durante i soggiorni a Roma, vive un periodo particolarmente fecondo, dipingendo nature morte di stampo morandiano, penetranti ritratti di amici e familiari, paesaggi romani ed emiliani che si inseriscono nel clima innovativo e antiaccademico del periodo.
Nel 1931 dà vita con Scipione e dirige la rivista "Fronte", il cui ambizioso intento è di riunire il meglio delle Arti Figurative e della Letteratura italiana. La rivista - che si avvale di collaboratori quali Carrà, Morandi, Scipione, Martini, Mafai, Moravia, Falqui, Ungaretti, Savinio - ha breve vita ma un pieno riconoscimento critico. Un soggiorno a Parigi e i numerosi contatti con l’ambiente antinovencentista milanese e romano gli consentono di avvicinarsi alle tendenze innovatrici della scultura conferendo alle sue composizioni un personale dinamismo drammatico. Dal 1934 questa modalità di espressione diventa il suo linguaggio quasi esclusivo e lo stile progressivamente assume toni espressionistici, fino al grottesco e caricaturale. Negli anni del dopoguerra, di nuovo a Roma, partecipa all’iniziativa dell’artista Enrico Galassi, che a Villa Giulia dà vita ad un laboratorio di arte applicata, al quale collaborano Afro, de Chirico, Leoncillo, Manzù, Mirko, Savinio, Severini. L’ esperienza si conclude nel marzo del 1946 con la mostra allo studio d’arte Palma. È in quello stesso anno che, trasferitosi a Villa Massimo, lavora a stretto contatto con Guttuso e Leoncillo. I monumenti ai caduti della Resistenza, presenti in numerose città italiane, opere dal forte impatto realistico con evidenti richiami alla classicità evidenziano l’impegno civile e la personale adesione agli ideali di libertà e giustizia.
Accanto alle opere di Mazzacurati, l’esposizione raccoglie i lavori di altri artisti quali Scipione, Mafai, Leoncillo, Guttuso, Di Cocco e Cavalli. Dipinti, sculture, opere grafiche e di arte applicata provengono dalla Galleria Nazionale di Roma, dalla Galleria Comunale di Roma, dall’Accademia di San Luca, dai Musei Civici di Reggio Emilia, dagli eredi e da collezionisti privati. Il materiale documentario e archivistico è in alcuni casi inedito.
Dopo la permanenza al Casino dei Principi di Roma, la mostra sarà ospitata a Reggio Emilia dal 6 marzo all’11 aprile 2010 supportata da un filmato realizzato per l’occasione.
Il catalogo, curato dagli ideatori della mostra, include vari saggi critici e testimonianze di quanti hanno conosciuto Marino Mazzacurati.
MARINO MAZZACURATI – LA FELICITA’ DELLA COMPIUTEZZA ESPRESSIVA
Marino Mazzacurati, prima ancora di uno scultore, di un pittore,
di un disegnatore, di un inventore e innovatore di forme,
è un carattere raro. una forza naturale enorme e indifesa,
di una grandezza esposta alle tempeste come un albero solitario
Carlo Levi 1
L’incontro con Roma dalla III Biennale Romana a Villa Strohl-fern
Non ha ancora compiuto diciotto anni Marino Mazzacurati quando viene a Roma per la prima volta, nel 1925, ha un breve ma intenso curriculum artistico alle spalle, una curiosità intellettuale che lo contraddistinguerà anche in età adulta, e una naturale predisposizione ad intessere rapporti interpersonali, che gioverà non poco ai contatti con l’ambiente artistico della capitale. Inoltre Marino gode già, nonostante l’età giovanissima, di frequentazioni artistiche di tutto rispetto. Il trasferimento della famiglia da San Venanzio di Galliera, luogo di nascita, a Padova (città di origine della madre) quando Marino è ancora ragazzo, lo indirizza ad una formazione tutta veneta: la scuola del Nudo all’Accademia delle Belle Arti di Venezia, la conoscenza di artisti quali Antonio Pinto e Fioravante Seibezzi, appartenenti alla corrente del post-impressionismo veneto, l’amicizia a Padova con i pittori Antonio Morato e Dino Lazzaro con i quali sperimenta la pittura en plein air nella campagna padovana e l’incontro fondamentale con lo studioso e grande conoscitore d’arte antica e moderna Wart Arslan 2 con il quale Mazzacurati stabilisce un legame del tutto peculiare che durerà negli anni. Più anziano di qualche anno, Edoardo detto Wart si rivelerà per il giovane amico una sorta di guida negli ambienti artistici italiani, un promotore delle sue opere, saprà indirizzarlo consigliarlo e i due amici manterranno nel tempo i contatti attraverso un’intensa corrispondenza.3
La visita a Roma di Marino nel 1925 è in occasione della III Biennale Romana, un’esposizione di oltre settecento opere a Palazzo delle Esposizioni. A testimonianza del clima acceso tra gli organizzatori romani che ha preceduto l’inaugurazione, è il fatto che la III edizione, ed anche ultima, nasce dal compromesso di unificare l’Esposizione degli Amatori e Cultori con la Biennale Romana. Così commentava A. Lancellotti: “Nella Biennale odierna ci sono alcune mostre personali pregevoli, ma troppo spazio si è dato ai futuristi e a qualche gruppo straniero, troppe opere mediocri sono entrate nel rotto della cuffia….”4. E ancora testimoniava Cipriano Efisio Oppo, membro del Comitato generale e della Giunta Esecutiva della manifestazione: “Il visitatore accorto noterà subito il contrasto irriducibile che anima e rende strano l’insieme di questa numerosa raccolta di quadri e di statue. Da una parte le sculture di Arturo Martini, le pitture di Carrà, di de Chirico, dei Futuristi, di giovani di tendenze diverse, di qualità più o meno ricche più o meno sicure, ma tutti appassionati dei moderni problemi; dall’altra le pitture del Carlandi, del Bernardi, del Lambertini, del Cucchiari, del Parin e via di questo passo….”5.
Oppo continuava nell’articolo confrontando la terza edizione con le precedenti che avevano ospitato opere di Ferrazzi, Guidi, Menzio, Degas, Picasso, Kokoschka, Jodler e prosegue criticando la presenza di troppi artisti non rappresentativi di un’arte moderna in linea con le nuove tendenze: “… esporre Nino Costa e non Sartorio, Pazzini e non Carlandi … Carrà e non Cosmati” 6.
Secondo una nota testimonianza di Francesco Di Cocco, è lo stesso Oppo che inserisce nell’esposizione del 1925, senza che fossero passate per la selezione della giuria di accettazione, le opere dei giovani e allora sconosciuti Scipione e Mario Mafai 7.
Non si hanno testimonianze, nonostante la fitta corrispondenza che da quel periodo in avanti Mazzacurati intrattiene con amici e artisti, sulla visita alla III Biennale Romana, da quante e quali opere, da quali artisti sia rimasto colpito, non è però impossibile tracciare un ipotetico percorso che Marino può aver compiuto nelle sale di Palazzo delle Esposizioni, un itinerario preferenziale che lo guiderà nelle scelte future: la personale dedicata a Carrà, dove sono presenti Tramonto sui monti e Pino sul Mare, i dipinti d’ispirazione biblica come Le figlie di Loth; la personale di Arturo Martini presente con dodici sculture e otto frammenti in altorilievo che compongono il ciclo Una storia d’amore, un racconto carico di emotività nella rappresentazione del dramma ambientato in un mondo contadino, dove Martini sintetizza linguaggi innovativi con richiami alla scultura medioevale8. E ancora i paesaggi italiani di Corot, la mostra collettiva dei futuristi nella sesta sala, l’esordiente Di Cocco con il dipinto Le Balie, Giorgio de Chirico, Mario Mafai e Scipione.
Prima del suo ritorno a Roma nel 1926 per partecipare all’ammissione presso la Scuola di Nudo dell’Accademia delle Belle Arti di via Ripetta, Mazzacurati partecipa, tra maggio e luglio 1926, ad alcune mostre nell’ambito veneto: la IV Esposizione d’Arte delle Tre Venezie a Padova e la XVII Esposizione dell’Opera Bevilacqua la Masa a Venezia. Le opere presentate, Uragano, Paesaggio primaverile, Sobborgo, dipinti ancor oggi con collocazione sconosciuta, dimostrano la capacità e la padronanza tecnica già pienamente acquisite da Mazzacurati nella rappresentazione en plein air del paesaggio, ed evidenziano l’influenza esercitata sul giovane Marino da maestri quali Carrà e Morandi. Ma è a Roma che decide di tornare, supera senza problemi gli esami per la Libera Scuola di Nudo di Via Ripetta e trova ospitalità, per le sue esercitazioni, nello studio a Villa Strohl-fern di Francesco Di Cocco, studio condiviso anche con Arturo Martini.
Dall’autunno del 1926, e per molti anni ancora, il rapporto di Mazzacurati con Roma sarà contrassegnato dal succedersi di andate e ritorni tra la capitale e Gualtieri, dove la famiglia di origine era tornata a vivere e gli aveva procurato un piccolo studio. Di questi brevi ma intensi soggiorni romani e dei suoi ritorni in Emilia sono testimonianza le numerose lettere scambiate con Arslan9, con gli artisti padovani Antonio Morato e Dino Lazzaro, con Scipione, Mafai, Cavalli, Capogrossi e con Di Cocco10. Là dove l’epistolario presenta lacune, sono i ricordi nelle memorie trascritte di Marino e dei suoi amici a tracciare il percorso degli anni giovanili di formazione, a ricostruire quella mappa di luoghi deputati dell’arte, fatta di studi, musei e ritrovi di artisti: Villa Strohl-fern, la III saletta del Caffè Aragno, via Cavour, la Biblioteca di Palazzo Venezia, Villa Medici, lo studio di Piazza dell’Emporio, quello di via Flaminia, la Valle dell’Inferno, in un percorso formativo fatti di incontri decisivi e folgoranti dove Roma resta il luogo d’elezione e di educazione. Giulio Carlo Argan evidenzierà, nel discorso per il conferimento del premio dell’Accademia di San Luca a Mazzacurati nel 1966, il ruolo che Roma riveste nella formazione di un artista: “Nel Seicento l’Accademia di San Luca ha riconosciuto il contributo degli artisti nuovi che giungevano a Roma da regioni lontane d’Italia e da paesi stranieri per compiervi lo studio dell’antico….ma anche perché Roma era il centro vivo della cultura artistica internazionale e le grandi polemiche, i grandi problemi dell’arte si decidevano a Roma …. Questo ricordo seicentesco illumina l’arrivo di Mazzacurati a Roma, or sono più di 30 anni ed il suo contatto con l’ambiente artistico romano. Mazzacurati giungeva precisamente da quella regione da cui giungevano correnti di cultura lombarda e veneta che costituivano l’elemento di rinnovamento della cultura romana del Seicento. Non senza una qualche intenzionalità o malignità Mazzacurati è emiliano: cioè di una regione nella quale la cultura artistica si è, con i Carracci, costituita, come poetica immediatamente impegnata nell’operare artistico. L’arte non è più illuminazione divina, ma si elabora attraverso la cultura, mediante scelte critiche, attraverso un processo dialettico che si intreccia intimamente con l’operazione tecnica dell’arte. Questo pensiero di una tecnica come attività insieme intellettuale ed operativa si rivela già nelle prime opere che Mazzacurati ha fatto giungendo a Roma, dove si è anzitutto imposto per la straordinaria facilità e fecondità di realizzazione in un ambiente in cui il momento operativo sembrava la fase più difficile, più critica, qualche volta insuperabile dell’operare artistico”11.
Le parole di Argan investono Mazzacurati di un ruolo determinante, fino ad allora sottaciuto, tra gli artisti legati alla Scuola Romana e il suo apporto decisivo nella formazione di Scipione e Mafai.
Nel 1967 Valentino Martinelli12 avvalora quanto dichiarato da Argan ed evidenzia, con tono polemico verso certa critica, il ruolo primario del giovane Mazzacurati negli anni della Scuola di via Cavour e della Scuola Romana, pubblicando le allora inedite lettere di Scipione a Mazzacurati, corredate da dipinti e disegni, molti dei quali sono presenti in questa mostra: “Ha fatto e fa da remora ad una ricerca del genere l’impressione, del tutto infondata, e gratuita, che la presenza di Mazzacurati nel sodalizio romano sia stata, in fondo, secondaria e marginale; e la convinzione, altrettanto errata, che sia ormai impossibile ricostruire fatti e vicende ingarbugliate dal tempo e dagli uomini….furono quelli i primi scambi…non soltanto di opere ma di idee, di esperienze suggerimenti avuti da lui prima con Mafai e poco dopo con Scipione, che legano indissolubilmente il nome di Mazzacurati alle origini della cosiddetta “scuola di via Cavour”13.
Tornando al primo e decisivo soggiorno romano di Mazzacurati, riveste particolare rilievo l’ospitalità di Francesco Di Cocco nel suo studio n. 27 di Villa Strohl-fern14. E’ in quello studio che Marino realizza alcune delle sue prime prove, in particolare il dipinto Incontro tra Rachele e Giacobbe15. Il tema biblico e la raffigurazione del personaggio maschile avvalorano senza alcun dubbio la testimonianza di Di Cocco: “Tutto sommato penso che Mazzacurati fosse più influenzato dal frequentare me e Ceracchini che stava anche lui a Villa Strohl –fern: le figure dell’Incontro di Giacobbe e Rachele per esempio sono chiaramente rintracciabili in alcuni miei schizzi della stessa epoca, eseguiti copiando un manichino che era nel mio studio …. io lo utilizzavo per far schizzi di diversi quadri … a volte lo vestivamo e Mazzacurati lo utilizzò per il quadro del Giacobbe, che fece, credo sotto l’influenza mia e forse di Ceracchini”16. Il bozzetto del dipinto e i disegni di Di Cocco ai quali il dipinto si ispira, presenti in mostra17, ci mostrano, infatti, un Mazzacurati rivolto al “primitivismo eccentrico” di Ceracchini e alle prove d’impianto classico di Francesco Di Cocco quali le Balie (o Donne e Bambini) del 1924 e il successivo Pentimento di Pietro del 1927.
Il rifiuto del dipinto Incontro tra Rachele e Giacobbe da parte della giuria di ammissione alla XVI Biennale Veneziana18, sarà per Mazzacurati motivo di grande amarezza, come testimoniano alcune missive di Arslan e quelle che l’artista scambia con Cavalli e Di Cocco, i quali lo esortano a raggiungerli a Parigi19 dove soggiornano.
Mazzacurati, in quegli anni, realizza molti disegni: una serie di questi, appartenenti alle collezioni di Teresa ed Ermanno Arslan, presenti in mostra, oltre a testimoniare la predisposizione dell’artista verso la raffigurazione grafica, è utile per approfondire confronti e riferimenti con gli artisti contemporanei20. Si tratta di opere di piccole dimensioni, sicuramente schizzi e prove con i quali Mazzacurati dimostra ad Arslan le sue ricerche cercandone approvazione e consigli. In uno studio del 1989 Rossana Bossaglia21 ne evidenzia l’influenza novecentista di Carrà, Soffici, De Grada: “…una situazione che non lascia presagire l’espressionismo...degli anni seguenti”22.
Tra le numerose testimonianze di amici, artisti, intellettuali che hanno conosciuto Marino Mazzacurati in vita, quella che Carlo Levi traccia, a un anno dalla scomparsa, evidenziandone la generosa vicenda umana, sembra cogliere più di altre la complessa personalità dell’amico: “Aveva realmente qualcosa di quello che possiamo immaginare negli antichi artefici, che seguivano la loro creazione come un destino o un privilegio segreto, e che pur dovevano vivere e lottare in un mondo altro, percorso da brame e bisogni e interessi. Di questi artefici e maestri Marino aveva l’aspetto la forza la fragilità la certezza del mestiere dell’arte la superiore arguzia la nobiltà del carattere la dedizione a un destino difficile e privilegiato…fino all’ultimo con tutte le forze egli era d’accordo con l’immagine dell’uomo, con la sua fiducia, con la sua capacità di rapporto: aperto generosamente alla vita”23. Sono parole che ci riportano alla sua biografia, agli episodi salienti della sua giovinezza o dell’uomo adulto. Quando adolescente percorre le grandi sale di Palazzo delle Esposizioni tra le opere di Arturo Martini e Carlo Carrà, in visita alla III Biennale Romana, o nelle irruzioni notturne con Scipione e Mafai, “intrisi delle stesse cose” e complici delle stesse visioni nella Roma degli anni Venti, artigiano per scelta a Gualtieri alle prese con le commissioni di bottega, intellettuale moderno nel coordinare gli artisti e i letterati collaboratori della rivista Fronte, scopritore, protettore e amico del pittore “selvaggio” Antonio Ligabue, illustratore dei Canti Orfici di Dino Campana quando ancora era chiamato “il mat Campena”, pittore e scultore innovativo e decoratore di tombe, accademico di San Luca, generoso sostenitore degli ideali di giustizia e libertà durante la guerra, pronto ad ospitare nella sua casa romana ebrei perseguitati e rifugiati clandestini, sarcastico inventore di motti e battute feroci scambiate con gli amici tra i tavoli del Caffè Rosati negli anni Sessanta. Marino non ha mai rinnegato nulla della sua lunga ed “eclettica” attività, della sua non facile esistenza, ha perseguito un ideale di integrità intellettuale e del fare artistico, nel quale l’artista non è mai sceso a compromessi con l’uomo24, un percorso di libertà che ha comportato il confronto continuo con le proprie scelte sia nel campo dell’arte che della vita, col rischio di mettere in luce le proprie ombre e rivelarsi agli altri umano e quindi imperfetto. E nell’arte Mazzacurati si è identificato, nell’arte, fin da ragazzo ha individuato la salvezza e la ha indicata ad altri, nel creare ha vissuto ed è sopravvissuto, senza limitare i propri orizzonti, senza aderire a correnti pur nella condivisione, nella sperimentazione come nella certezza acquisita, perché “nella felicità di una compiutezza espressiva (è) il fine ultimo dell’arte”25 e il senso intrinseco della sua intera esistenza.
Silvana Bonfili
La mostra è promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione del Comune di Roma - Sovraintendenza ai Beni Culturali e dalla Commissione Cultura in collaborazione con il Museo Marino Mazzacurati di Reggio Emilia ed è curata da Silvana Bonfili con Anna Paola Agati. Organizzazione e servizi museali sono di Zètema Progetto Cultura.
Sono trascorsi quaranta anni dalla scomparsa di Renato Marino Mazzacurati (S.Venanzio di Galliera 1907 - Parma 1969), figura di riferimento tra gli anni Venti e Trenta per l’arte italiana e in particolare per Roma, sua città d’elezione. Il suo percorso artistico ha attraversato luoghi cruciali della vita culturale nazionale consentendogli di stringere importanti legami con Scipione, Mafai, con lo storico dell’arte e studioso Wart Arslan, con Di Cocco, Cavalli e Capogrossi. Negli anni Venti -Trenta, durante i soggiorni a Roma, vive un periodo particolarmente fecondo, dipingendo nature morte di stampo morandiano, penetranti ritratti di amici e familiari, paesaggi romani ed emiliani che si inseriscono nel clima innovativo e antiaccademico del periodo.
Nel 1931 dà vita con Scipione e dirige la rivista "Fronte", il cui ambizioso intento è di riunire il meglio delle Arti Figurative e della Letteratura italiana. La rivista - che si avvale di collaboratori quali Carrà, Morandi, Scipione, Martini, Mafai, Moravia, Falqui, Ungaretti, Savinio - ha breve vita ma un pieno riconoscimento critico. Un soggiorno a Parigi e i numerosi contatti con l’ambiente antinovencentista milanese e romano gli consentono di avvicinarsi alle tendenze innovatrici della scultura conferendo alle sue composizioni un personale dinamismo drammatico. Dal 1934 questa modalità di espressione diventa il suo linguaggio quasi esclusivo e lo stile progressivamente assume toni espressionistici, fino al grottesco e caricaturale. Negli anni del dopoguerra, di nuovo a Roma, partecipa all’iniziativa dell’artista Enrico Galassi, che a Villa Giulia dà vita ad un laboratorio di arte applicata, al quale collaborano Afro, de Chirico, Leoncillo, Manzù, Mirko, Savinio, Severini. L’ esperienza si conclude nel marzo del 1946 con la mostra allo studio d’arte Palma. È in quello stesso anno che, trasferitosi a Villa Massimo, lavora a stretto contatto con Guttuso e Leoncillo. I monumenti ai caduti della Resistenza, presenti in numerose città italiane, opere dal forte impatto realistico con evidenti richiami alla classicità evidenziano l’impegno civile e la personale adesione agli ideali di libertà e giustizia.
Accanto alle opere di Mazzacurati, l’esposizione raccoglie i lavori di altri artisti quali Scipione, Mafai, Leoncillo, Guttuso, Di Cocco e Cavalli. Dipinti, sculture, opere grafiche e di arte applicata provengono dalla Galleria Nazionale di Roma, dalla Galleria Comunale di Roma, dall’Accademia di San Luca, dai Musei Civici di Reggio Emilia, dagli eredi e da collezionisti privati. Il materiale documentario e archivistico è in alcuni casi inedito.
Dopo la permanenza al Casino dei Principi di Roma, la mostra sarà ospitata a Reggio Emilia dal 6 marzo all’11 aprile 2010 supportata da un filmato realizzato per l’occasione.
Il catalogo, curato dagli ideatori della mostra, include vari saggi critici e testimonianze di quanti hanno conosciuto Marino Mazzacurati.
MARINO MAZZACURATI – LA FELICITA’ DELLA COMPIUTEZZA ESPRESSIVA
Marino Mazzacurati, prima ancora di uno scultore, di un pittore,
di un disegnatore, di un inventore e innovatore di forme,
è un carattere raro. una forza naturale enorme e indifesa,
di una grandezza esposta alle tempeste come un albero solitario
Carlo Levi 1
L’incontro con Roma dalla III Biennale Romana a Villa Strohl-fern
Non ha ancora compiuto diciotto anni Marino Mazzacurati quando viene a Roma per la prima volta, nel 1925, ha un breve ma intenso curriculum artistico alle spalle, una curiosità intellettuale che lo contraddistinguerà anche in età adulta, e una naturale predisposizione ad intessere rapporti interpersonali, che gioverà non poco ai contatti con l’ambiente artistico della capitale. Inoltre Marino gode già, nonostante l’età giovanissima, di frequentazioni artistiche di tutto rispetto. Il trasferimento della famiglia da San Venanzio di Galliera, luogo di nascita, a Padova (città di origine della madre) quando Marino è ancora ragazzo, lo indirizza ad una formazione tutta veneta: la scuola del Nudo all’Accademia delle Belle Arti di Venezia, la conoscenza di artisti quali Antonio Pinto e Fioravante Seibezzi, appartenenti alla corrente del post-impressionismo veneto, l’amicizia a Padova con i pittori Antonio Morato e Dino Lazzaro con i quali sperimenta la pittura en plein air nella campagna padovana e l’incontro fondamentale con lo studioso e grande conoscitore d’arte antica e moderna Wart Arslan 2 con il quale Mazzacurati stabilisce un legame del tutto peculiare che durerà negli anni. Più anziano di qualche anno, Edoardo detto Wart si rivelerà per il giovane amico una sorta di guida negli ambienti artistici italiani, un promotore delle sue opere, saprà indirizzarlo consigliarlo e i due amici manterranno nel tempo i contatti attraverso un’intensa corrispondenza.3
La visita a Roma di Marino nel 1925 è in occasione della III Biennale Romana, un’esposizione di oltre settecento opere a Palazzo delle Esposizioni. A testimonianza del clima acceso tra gli organizzatori romani che ha preceduto l’inaugurazione, è il fatto che la III edizione, ed anche ultima, nasce dal compromesso di unificare l’Esposizione degli Amatori e Cultori con la Biennale Romana. Così commentava A. Lancellotti: “Nella Biennale odierna ci sono alcune mostre personali pregevoli, ma troppo spazio si è dato ai futuristi e a qualche gruppo straniero, troppe opere mediocri sono entrate nel rotto della cuffia….”4. E ancora testimoniava Cipriano Efisio Oppo, membro del Comitato generale e della Giunta Esecutiva della manifestazione: “Il visitatore accorto noterà subito il contrasto irriducibile che anima e rende strano l’insieme di questa numerosa raccolta di quadri e di statue. Da una parte le sculture di Arturo Martini, le pitture di Carrà, di de Chirico, dei Futuristi, di giovani di tendenze diverse, di qualità più o meno ricche più o meno sicure, ma tutti appassionati dei moderni problemi; dall’altra le pitture del Carlandi, del Bernardi, del Lambertini, del Cucchiari, del Parin e via di questo passo….”5.
Oppo continuava nell’articolo confrontando la terza edizione con le precedenti che avevano ospitato opere di Ferrazzi, Guidi, Menzio, Degas, Picasso, Kokoschka, Jodler e prosegue criticando la presenza di troppi artisti non rappresentativi di un’arte moderna in linea con le nuove tendenze: “… esporre Nino Costa e non Sartorio, Pazzini e non Carlandi … Carrà e non Cosmati” 6.
Secondo una nota testimonianza di Francesco Di Cocco, è lo stesso Oppo che inserisce nell’esposizione del 1925, senza che fossero passate per la selezione della giuria di accettazione, le opere dei giovani e allora sconosciuti Scipione e Mario Mafai 7.
Non si hanno testimonianze, nonostante la fitta corrispondenza che da quel periodo in avanti Mazzacurati intrattiene con amici e artisti, sulla visita alla III Biennale Romana, da quante e quali opere, da quali artisti sia rimasto colpito, non è però impossibile tracciare un ipotetico percorso che Marino può aver compiuto nelle sale di Palazzo delle Esposizioni, un itinerario preferenziale che lo guiderà nelle scelte future: la personale dedicata a Carrà, dove sono presenti Tramonto sui monti e Pino sul Mare, i dipinti d’ispirazione biblica come Le figlie di Loth; la personale di Arturo Martini presente con dodici sculture e otto frammenti in altorilievo che compongono il ciclo Una storia d’amore, un racconto carico di emotività nella rappresentazione del dramma ambientato in un mondo contadino, dove Martini sintetizza linguaggi innovativi con richiami alla scultura medioevale8. E ancora i paesaggi italiani di Corot, la mostra collettiva dei futuristi nella sesta sala, l’esordiente Di Cocco con il dipinto Le Balie, Giorgio de Chirico, Mario Mafai e Scipione.
Prima del suo ritorno a Roma nel 1926 per partecipare all’ammissione presso la Scuola di Nudo dell’Accademia delle Belle Arti di via Ripetta, Mazzacurati partecipa, tra maggio e luglio 1926, ad alcune mostre nell’ambito veneto: la IV Esposizione d’Arte delle Tre Venezie a Padova e la XVII Esposizione dell’Opera Bevilacqua la Masa a Venezia. Le opere presentate, Uragano, Paesaggio primaverile, Sobborgo, dipinti ancor oggi con collocazione sconosciuta, dimostrano la capacità e la padronanza tecnica già pienamente acquisite da Mazzacurati nella rappresentazione en plein air del paesaggio, ed evidenziano l’influenza esercitata sul giovane Marino da maestri quali Carrà e Morandi. Ma è a Roma che decide di tornare, supera senza problemi gli esami per la Libera Scuola di Nudo di Via Ripetta e trova ospitalità, per le sue esercitazioni, nello studio a Villa Strohl-fern di Francesco Di Cocco, studio condiviso anche con Arturo Martini.
Dall’autunno del 1926, e per molti anni ancora, il rapporto di Mazzacurati con Roma sarà contrassegnato dal succedersi di andate e ritorni tra la capitale e Gualtieri, dove la famiglia di origine era tornata a vivere e gli aveva procurato un piccolo studio. Di questi brevi ma intensi soggiorni romani e dei suoi ritorni in Emilia sono testimonianza le numerose lettere scambiate con Arslan9, con gli artisti padovani Antonio Morato e Dino Lazzaro, con Scipione, Mafai, Cavalli, Capogrossi e con Di Cocco10. Là dove l’epistolario presenta lacune, sono i ricordi nelle memorie trascritte di Marino e dei suoi amici a tracciare il percorso degli anni giovanili di formazione, a ricostruire quella mappa di luoghi deputati dell’arte, fatta di studi, musei e ritrovi di artisti: Villa Strohl-fern, la III saletta del Caffè Aragno, via Cavour, la Biblioteca di Palazzo Venezia, Villa Medici, lo studio di Piazza dell’Emporio, quello di via Flaminia, la Valle dell’Inferno, in un percorso formativo fatti di incontri decisivi e folgoranti dove Roma resta il luogo d’elezione e di educazione. Giulio Carlo Argan evidenzierà, nel discorso per il conferimento del premio dell’Accademia di San Luca a Mazzacurati nel 1966, il ruolo che Roma riveste nella formazione di un artista: “Nel Seicento l’Accademia di San Luca ha riconosciuto il contributo degli artisti nuovi che giungevano a Roma da regioni lontane d’Italia e da paesi stranieri per compiervi lo studio dell’antico….ma anche perché Roma era il centro vivo della cultura artistica internazionale e le grandi polemiche, i grandi problemi dell’arte si decidevano a Roma …. Questo ricordo seicentesco illumina l’arrivo di Mazzacurati a Roma, or sono più di 30 anni ed il suo contatto con l’ambiente artistico romano. Mazzacurati giungeva precisamente da quella regione da cui giungevano correnti di cultura lombarda e veneta che costituivano l’elemento di rinnovamento della cultura romana del Seicento. Non senza una qualche intenzionalità o malignità Mazzacurati è emiliano: cioè di una regione nella quale la cultura artistica si è, con i Carracci, costituita, come poetica immediatamente impegnata nell’operare artistico. L’arte non è più illuminazione divina, ma si elabora attraverso la cultura, mediante scelte critiche, attraverso un processo dialettico che si intreccia intimamente con l’operazione tecnica dell’arte. Questo pensiero di una tecnica come attività insieme intellettuale ed operativa si rivela già nelle prime opere che Mazzacurati ha fatto giungendo a Roma, dove si è anzitutto imposto per la straordinaria facilità e fecondità di realizzazione in un ambiente in cui il momento operativo sembrava la fase più difficile, più critica, qualche volta insuperabile dell’operare artistico”11.
Le parole di Argan investono Mazzacurati di un ruolo determinante, fino ad allora sottaciuto, tra gli artisti legati alla Scuola Romana e il suo apporto decisivo nella formazione di Scipione e Mafai.
Nel 1967 Valentino Martinelli12 avvalora quanto dichiarato da Argan ed evidenzia, con tono polemico verso certa critica, il ruolo primario del giovane Mazzacurati negli anni della Scuola di via Cavour e della Scuola Romana, pubblicando le allora inedite lettere di Scipione a Mazzacurati, corredate da dipinti e disegni, molti dei quali sono presenti in questa mostra: “Ha fatto e fa da remora ad una ricerca del genere l’impressione, del tutto infondata, e gratuita, che la presenza di Mazzacurati nel sodalizio romano sia stata, in fondo, secondaria e marginale; e la convinzione, altrettanto errata, che sia ormai impossibile ricostruire fatti e vicende ingarbugliate dal tempo e dagli uomini….furono quelli i primi scambi…non soltanto di opere ma di idee, di esperienze suggerimenti avuti da lui prima con Mafai e poco dopo con Scipione, che legano indissolubilmente il nome di Mazzacurati alle origini della cosiddetta “scuola di via Cavour”13.
Tornando al primo e decisivo soggiorno romano di Mazzacurati, riveste particolare rilievo l’ospitalità di Francesco Di Cocco nel suo studio n. 27 di Villa Strohl-fern14. E’ in quello studio che Marino realizza alcune delle sue prime prove, in particolare il dipinto Incontro tra Rachele e Giacobbe15. Il tema biblico e la raffigurazione del personaggio maschile avvalorano senza alcun dubbio la testimonianza di Di Cocco: “Tutto sommato penso che Mazzacurati fosse più influenzato dal frequentare me e Ceracchini che stava anche lui a Villa Strohl –fern: le figure dell’Incontro di Giacobbe e Rachele per esempio sono chiaramente rintracciabili in alcuni miei schizzi della stessa epoca, eseguiti copiando un manichino che era nel mio studio …. io lo utilizzavo per far schizzi di diversi quadri … a volte lo vestivamo e Mazzacurati lo utilizzò per il quadro del Giacobbe, che fece, credo sotto l’influenza mia e forse di Ceracchini”16. Il bozzetto del dipinto e i disegni di Di Cocco ai quali il dipinto si ispira, presenti in mostra17, ci mostrano, infatti, un Mazzacurati rivolto al “primitivismo eccentrico” di Ceracchini e alle prove d’impianto classico di Francesco Di Cocco quali le Balie (o Donne e Bambini) del 1924 e il successivo Pentimento di Pietro del 1927.
Il rifiuto del dipinto Incontro tra Rachele e Giacobbe da parte della giuria di ammissione alla XVI Biennale Veneziana18, sarà per Mazzacurati motivo di grande amarezza, come testimoniano alcune missive di Arslan e quelle che l’artista scambia con Cavalli e Di Cocco, i quali lo esortano a raggiungerli a Parigi19 dove soggiornano.
Mazzacurati, in quegli anni, realizza molti disegni: una serie di questi, appartenenti alle collezioni di Teresa ed Ermanno Arslan, presenti in mostra, oltre a testimoniare la predisposizione dell’artista verso la raffigurazione grafica, è utile per approfondire confronti e riferimenti con gli artisti contemporanei20. Si tratta di opere di piccole dimensioni, sicuramente schizzi e prove con i quali Mazzacurati dimostra ad Arslan le sue ricerche cercandone approvazione e consigli. In uno studio del 1989 Rossana Bossaglia21 ne evidenzia l’influenza novecentista di Carrà, Soffici, De Grada: “…una situazione che non lascia presagire l’espressionismo...degli anni seguenti”22.
Tra le numerose testimonianze di amici, artisti, intellettuali che hanno conosciuto Marino Mazzacurati in vita, quella che Carlo Levi traccia, a un anno dalla scomparsa, evidenziandone la generosa vicenda umana, sembra cogliere più di altre la complessa personalità dell’amico: “Aveva realmente qualcosa di quello che possiamo immaginare negli antichi artefici, che seguivano la loro creazione come un destino o un privilegio segreto, e che pur dovevano vivere e lottare in un mondo altro, percorso da brame e bisogni e interessi. Di questi artefici e maestri Marino aveva l’aspetto la forza la fragilità la certezza del mestiere dell’arte la superiore arguzia la nobiltà del carattere la dedizione a un destino difficile e privilegiato…fino all’ultimo con tutte le forze egli era d’accordo con l’immagine dell’uomo, con la sua fiducia, con la sua capacità di rapporto: aperto generosamente alla vita”23. Sono parole che ci riportano alla sua biografia, agli episodi salienti della sua giovinezza o dell’uomo adulto. Quando adolescente percorre le grandi sale di Palazzo delle Esposizioni tra le opere di Arturo Martini e Carlo Carrà, in visita alla III Biennale Romana, o nelle irruzioni notturne con Scipione e Mafai, “intrisi delle stesse cose” e complici delle stesse visioni nella Roma degli anni Venti, artigiano per scelta a Gualtieri alle prese con le commissioni di bottega, intellettuale moderno nel coordinare gli artisti e i letterati collaboratori della rivista Fronte, scopritore, protettore e amico del pittore “selvaggio” Antonio Ligabue, illustratore dei Canti Orfici di Dino Campana quando ancora era chiamato “il mat Campena”, pittore e scultore innovativo e decoratore di tombe, accademico di San Luca, generoso sostenitore degli ideali di giustizia e libertà durante la guerra, pronto ad ospitare nella sua casa romana ebrei perseguitati e rifugiati clandestini, sarcastico inventore di motti e battute feroci scambiate con gli amici tra i tavoli del Caffè Rosati negli anni Sessanta. Marino non ha mai rinnegato nulla della sua lunga ed “eclettica” attività, della sua non facile esistenza, ha perseguito un ideale di integrità intellettuale e del fare artistico, nel quale l’artista non è mai sceso a compromessi con l’uomo24, un percorso di libertà che ha comportato il confronto continuo con le proprie scelte sia nel campo dell’arte che della vita, col rischio di mettere in luce le proprie ombre e rivelarsi agli altri umano e quindi imperfetto. E nell’arte Mazzacurati si è identificato, nell’arte, fin da ragazzo ha individuato la salvezza e la ha indicata ad altri, nel creare ha vissuto ed è sopravvissuto, senza limitare i propri orizzonti, senza aderire a correnti pur nella condivisione, nella sperimentazione come nella certezza acquisita, perché “nella felicità di una compiutezza espressiva (è) il fine ultimo dell’arte”25 e il senso intrinseco della sua intera esistenza.
Silvana Bonfili
26
novembre 2009
Marino Mazzacurati – La felicità della compiutezza espressiva
Dal 26 novembre 2009 al 21 febbraio 2010
arte contemporanea
Location
CASINO DEI PRINCIPI – VILLA TORLONIA
Roma, Via Nomentana, 70, (Roma)
Roma, Via Nomentana, 70, (Roma)
Biglietti
Biglietto unico integrato Casino Nobile, Casina delle Civette, Casino dei Principi con Mostra: € 9,00 intero; € 5,50 ridotto Biglietto unico integrato Casino Nobile, Casino dei Principi con Mostra: € 7,00 intero, € 5,00 ridotto. Gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente
Orario di apertura
ore 9-16.30. Chiuso il lunedì; la biglietteria chiude 45 minuti prima
Vernissage
26 Novembre 2009, ore 17.30 su invito
Editore
PALOMBI
Ufficio stampa
ZETEMA
Autore
Curatore