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Mario Alimede
Mostra personale
Comunicato stampa
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Sabato 10 aprile 2010 alle ore 18.00 presso la Galleria Domus Turca opening, in contemporanea presso la Succursale di Ferrara della Banca Sella, della mostra personale di Mario Alimede.
L'artista, nato a Riva del Garda (Trento) nel1949, inizia a dipingere giovanissimo come autodidatta. La sua prima personale è del 1971. Nel 1978 frequenta la Scuola Internazionale di Grafica a Venezia con Nicola Sene e Riccardo Licata, corsi di grafica sperimentale. Per alcuni anni ha insegnato tecniche dell’incisione. Ha allestito numerose mostre di pittura e di grafica, collettive e personali e partecipato a rassegne artistiche, in Italia e all’estero. Ha curato, come responsabile artistico, progetti di sensibilizzazione creativa all’interno di strutture riabilitative psichiatriche. E’ stato consigliere provinciale del Centro Friulano Arti Plastiche di Udine. Nel 1990 realizza i suoi primi lavori in computer grafica, aderendo nel 1998 al gruppo MART per l’arte digitale. Ha organizzato eventi artistici collettivi. La sua poliedrica creatività si è espressa nella grafica, nella pittura, nell’illustrazione, nella ceramica, nella scultura con l’assemblaggio di materiali misti (legno, ferro, materie plastiche, ecc...) e nella computer grafica.
Chi conosce il segno acuminato e rigoroso di Mario Alimede, sa che da un tonalità dominante bianca e grigia scaturiscono i bagliori dei colori: il verde, il giallo, il rosso, in un insieme che diviene tecnuica mista che significa qui incisione, stampa e interventi successivi che si sovrappongono sulla carta come stratificandosi nel tempo. E' questa dimensione della narrazione che colpisce per prima, ma si intenda narrazione di un pensiero, di un flusso mentale che si snoda e diventa segno, segni accostati e interrelati fittamente. Per raccontare questo flusso di idee si ricorre al collage, alla macchia, al graffio, o a forme che più esplicitamente alludono agli strumenti del pensare: forme geometriche, pattern ripetuti, frecce di connessione, simboli. Fino all'inserzione di testi, nella forma di appunti scritti in una grafia rapida e sicura, ultimo di una gamma ampia di modi che l'artista cerca per esprimere il reticolo del mondo, il reticolo di un significato. Esito di una dissoluzione radicale di cui la modernità paga le spese, il lavoro di Alimede tende ad una ricomposizione, ad un rammendo intellettuale verrebbe da dire, in cui le cose lontane si legano per fili sottili, in cui la via va cercata, provata, indicata e resta comunque provvisoria.
Questa provvisorietà è un'altra delle sensazioni forti che la mostra lascia dentro: l'opera d'arte è progettata, cioè nasce sotto il segno pesante della sua irrealizzabilità. Segni, tracce, appunti indicano uno sforzo, un'idea, ma dicono anche che non è più tempo di lavori finiti, di risultati. O che forse proprio nel progetto sta l'opera d'arte. Ma resta anche l'idea di una complessa dialettica che Alimede esperisce fra griglia intellettuale e materialità, fra il suo riflettere sul mondo e il mondo che si pone davanti ai nostri occhi. La soluzione non è facile, anzi, a volte si pone nei modi di una inconciliabilità. Il gesto stesso del graffio, che è violenza sulla lastra e impazienza del pensiero, ne sono evidente testimonianza, ma anche il procedimento della stratificazione in cui un dipanarsi del pensiero, il suo sviluppo narrativo di cui si diceva, vengono compressi, schiacciati sulla carta. L'atroce dilemma di una tridimensionalità del pensiero e del reale che si ritrovano compressi e fusi indistricabilmente nel bidimensionale del foglio, fra i rulli del procedimento tipografico. Viene da pensare alla calma serafica di Mario Alimede, al suo decennale lavoro a fianco di malati psichiatrici, al suo sforzo di seguire loro sensi, loro frustrazioni o di tracciare con loro una linea, una via. Questa dialettica fra pazienza e frustrazione è un altro dei percorsi che da visitatori ci siamo portati dietro. La pazienza di ri-costruire un tessuto, l'umiltà di saper rinuciare ad ogni soluzione che si ponga come definitiva, l'instancabile rinnovarsi della tensione verso un progetto, ma accanto, umanamente, il guizzo nascosto della rabbia. Quella dissonanza che rivela una delusione, una frustrazione del pensiero, così umana e condivisibile, forse quella smorfia di fastidio che è la cifra vera di un'opera d'arte, che salva dal freddo dell'astrazione e dal peso del realismo. Un tratto che nella vita di ogni giorno dagli occhi e dai gesti di Mario non traspare, che nelle opere ci è parso di cogliere e che le fa ritornare così vive al nostro sguardo.
L'ultima impressione, la più forte, è paradossalmente e squisitamente estetica: in questa ricerca, a volte così frustrante, Alimede non dimentica neppure per un attimo che il fine dell'artista è la ricerca di bellezza, di equilibrio, di armonia. Nel ricercare, nel gioco difficile fra pensiero e realtà, nemmeno per un istante egli rinuncia a creare un risultato che sia graficamente arte, che elevi il dilemma della modernità e lo risolva almeno sul piano estetico. Detto in altri termini egli nemmeno per un istante rinuncia ad essere artista e il suo segno, alla fine, vale oltre il significato, di necessità provvisorio: si trasfigura e diventa colore, reticolo, tende all'assoluto della bellezza. Questa, forse, risolve come per miracolo ogni dissonanza di pensiero, ogni frustrazione o rabbia dell'artista: vale per sé sulla carta, è il risultato inatteso.
Paolo Venti
L'artista, nato a Riva del Garda (Trento) nel1949, inizia a dipingere giovanissimo come autodidatta. La sua prima personale è del 1971. Nel 1978 frequenta la Scuola Internazionale di Grafica a Venezia con Nicola Sene e Riccardo Licata, corsi di grafica sperimentale. Per alcuni anni ha insegnato tecniche dell’incisione. Ha allestito numerose mostre di pittura e di grafica, collettive e personali e partecipato a rassegne artistiche, in Italia e all’estero. Ha curato, come responsabile artistico, progetti di sensibilizzazione creativa all’interno di strutture riabilitative psichiatriche. E’ stato consigliere provinciale del Centro Friulano Arti Plastiche di Udine. Nel 1990 realizza i suoi primi lavori in computer grafica, aderendo nel 1998 al gruppo MART per l’arte digitale. Ha organizzato eventi artistici collettivi. La sua poliedrica creatività si è espressa nella grafica, nella pittura, nell’illustrazione, nella ceramica, nella scultura con l’assemblaggio di materiali misti (legno, ferro, materie plastiche, ecc...) e nella computer grafica.
Chi conosce il segno acuminato e rigoroso di Mario Alimede, sa che da un tonalità dominante bianca e grigia scaturiscono i bagliori dei colori: il verde, il giallo, il rosso, in un insieme che diviene tecnuica mista che significa qui incisione, stampa e interventi successivi che si sovrappongono sulla carta come stratificandosi nel tempo. E' questa dimensione della narrazione che colpisce per prima, ma si intenda narrazione di un pensiero, di un flusso mentale che si snoda e diventa segno, segni accostati e interrelati fittamente. Per raccontare questo flusso di idee si ricorre al collage, alla macchia, al graffio, o a forme che più esplicitamente alludono agli strumenti del pensare: forme geometriche, pattern ripetuti, frecce di connessione, simboli. Fino all'inserzione di testi, nella forma di appunti scritti in una grafia rapida e sicura, ultimo di una gamma ampia di modi che l'artista cerca per esprimere il reticolo del mondo, il reticolo di un significato. Esito di una dissoluzione radicale di cui la modernità paga le spese, il lavoro di Alimede tende ad una ricomposizione, ad un rammendo intellettuale verrebbe da dire, in cui le cose lontane si legano per fili sottili, in cui la via va cercata, provata, indicata e resta comunque provvisoria.
Questa provvisorietà è un'altra delle sensazioni forti che la mostra lascia dentro: l'opera d'arte è progettata, cioè nasce sotto il segno pesante della sua irrealizzabilità. Segni, tracce, appunti indicano uno sforzo, un'idea, ma dicono anche che non è più tempo di lavori finiti, di risultati. O che forse proprio nel progetto sta l'opera d'arte. Ma resta anche l'idea di una complessa dialettica che Alimede esperisce fra griglia intellettuale e materialità, fra il suo riflettere sul mondo e il mondo che si pone davanti ai nostri occhi. La soluzione non è facile, anzi, a volte si pone nei modi di una inconciliabilità. Il gesto stesso del graffio, che è violenza sulla lastra e impazienza del pensiero, ne sono evidente testimonianza, ma anche il procedimento della stratificazione in cui un dipanarsi del pensiero, il suo sviluppo narrativo di cui si diceva, vengono compressi, schiacciati sulla carta. L'atroce dilemma di una tridimensionalità del pensiero e del reale che si ritrovano compressi e fusi indistricabilmente nel bidimensionale del foglio, fra i rulli del procedimento tipografico. Viene da pensare alla calma serafica di Mario Alimede, al suo decennale lavoro a fianco di malati psichiatrici, al suo sforzo di seguire loro sensi, loro frustrazioni o di tracciare con loro una linea, una via. Questa dialettica fra pazienza e frustrazione è un altro dei percorsi che da visitatori ci siamo portati dietro. La pazienza di ri-costruire un tessuto, l'umiltà di saper rinuciare ad ogni soluzione che si ponga come definitiva, l'instancabile rinnovarsi della tensione verso un progetto, ma accanto, umanamente, il guizzo nascosto della rabbia. Quella dissonanza che rivela una delusione, una frustrazione del pensiero, così umana e condivisibile, forse quella smorfia di fastidio che è la cifra vera di un'opera d'arte, che salva dal freddo dell'astrazione e dal peso del realismo. Un tratto che nella vita di ogni giorno dagli occhi e dai gesti di Mario non traspare, che nelle opere ci è parso di cogliere e che le fa ritornare così vive al nostro sguardo.
L'ultima impressione, la più forte, è paradossalmente e squisitamente estetica: in questa ricerca, a volte così frustrante, Alimede non dimentica neppure per un attimo che il fine dell'artista è la ricerca di bellezza, di equilibrio, di armonia. Nel ricercare, nel gioco difficile fra pensiero e realtà, nemmeno per un istante egli rinuncia a creare un risultato che sia graficamente arte, che elevi il dilemma della modernità e lo risolva almeno sul piano estetico. Detto in altri termini egli nemmeno per un istante rinuncia ad essere artista e il suo segno, alla fine, vale oltre il significato, di necessità provvisorio: si trasfigura e diventa colore, reticolo, tende all'assoluto della bellezza. Questa, forse, risolve come per miracolo ogni dissonanza di pensiero, ogni frustrazione o rabbia dell'artista: vale per sé sulla carta, è il risultato inatteso.
Paolo Venti
10
aprile 2010
Mario Alimede
Dal 10 aprile al 10 maggio 2010
arte contemporanea
Location
SPAZIO DOMUS TURCA
Ferrara, Via Del Turco, 37/a, (Ferrara)
Ferrara, Via Del Turco, 37/a, (Ferrara)
Biglietti
LIbero
Orario di apertura
tutti i giorni in orario 9.00 12.30 /15.30 19.30 Sabato e domenica su appuntamento
Vernissage
10 Aprile 2010, ore 18
Autore