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Mario Davico – Gli anni del Premio Lissone
Il Premio Lissone ha annoverato Mario Davico (Torino, 1920-2010) tra le rappresentanze artistiche del vivo panorama della pittura italiana. L’occasione del suo ritorno nella cittadina briantea offre un focus sulla ricerca che l’artista ha sviluppato fino allo scorcio degli anni Sessanta.
Comunicato stampa
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Più di sessant’anni or sono il Premio Lissone annoverava Mario Davico [Torino, 1920-
2010] tra le rappresentanze artistiche del vivo panorama della pittura italiana. L’occasione
di questo suo ritorno nella cittadina briantea, tutt’altro che un nostalgico tributo, ambisce a
offrire un focus sulla ricerca che l’artista ha sviluppato lungo un decennio di attività,
periodo che si è voluto contestuale alla sua partecipazione alla manifestazione lissonese.
Sviluppata in contiguità con la Collezione storica del MAC, la retrospettiva consta di una
dozzina di opere che pongono al centro del percorso di visita i dipinti Visione, La riva
silenziosa n. 1 e Fantôme, opere che l’artista ha presentato nelle tre edizioni del Premio
Lissone succedutesi a cadenza biennale dal 1953 al 1957. La selezione delle altre opere
in mostra accompagna e documenta le complessità linguistico-formali che nell’arco degli
anni scandiscono la produzione dell’artista, fino allo scorcio degli anni Cinquanta,
permettendo al visitatore di leggere il fervido processo creativo che lo ha portato alla piena
maturità espressiva.
Nella decade degli anni ’50, Davico è presenza di spicco in vari Premi d’arte, tra cui il
“Golfo di La Spezia”, il “Fiorino” di Firenze e il “Michetti” di Francavilla al Mare. Non meno
importante è la sua adesione alle esposizioni dell’Art Club e a diverse edizioni della
rassegna Peintres d’aujourd’hui France-Italia di Torino, reputazione che viene
consolidandosi con l’invito a ben quattro Biennali di Venezia.
Davico appartiene alla generazione di artisti formatasi in seno alla cultura astratta e
concreta, a testimoniare la purezza etica di un linguaggio che ha inteso l’arte come
esperienza totalizzante, se non addirittura “monacale”. Nella pittura di Davico il rigore è la
nota essenziale da cui deriva la tendenza a una spontanea lucidità e chiarezza.
Superato lo schematismo geometrico della fase iniziale e delle susseguenti strutturazioni
meccanicistiche di reminiscenza gotica, l’immagine si rivela a Davico come possibilità di
una forma libera e inebriante che, allignando nello spazio, viene rafforzata con margini
sempre più netti e decisi, sia per incidenza del segno, sia per l’uso di campiture che
partecipano alla vibrazione atmosferica del supporto.
L’evoluzione successiva si manifesta attraverso una linea che procede – esile ma alquanto
tenace – in essenziali arabeschi, a individuare un percorso della sensibilità e dell’intelletto,
cui corrisponde un raffinato eppur frugale accordo di colori che vanno arricchendosi per
gradazioni di luminosità dei toni.
A pochi anni di distanza dalla sua ultima partecipazione alla Biennale di Venezia, Davico
decide di restare in disparte rispetto alla scena artistica, inizia così a disertare con
sistematicità le esposizioni personali e quelle collettive (alla fine degli anni Settanta tornerà
a riproporsi in modo saltuario all’attenzione dei critici e del pubblico, ma sempre con
estrema parsimonia). La sua inflessibilità caratteriale, di “temperamento cautissimo”,
denota infatti un atteggiamento perentorio, di rivendicazione della propria identità. Una
scelta radicale che l’artista impone a sé e agli altri, e a cui resterà fedele fino alla fine.
Appartatosi nel proprio studio, Mario Davico continua a dipingere ma si tiene lontano da
occhi indiscreti. Per lui la pittura è l’unica a contare veramente, oltre ogni circostanza.
Assecondando quella sua naturale propensione a una dimensione intima e privata, le
opere esposte al MAC di Lissone rimandano a un universo spaziale/mentale che l’artista
ha voluto circoscrivere in una parabola di proverbiale intensità e rarità.
2010] tra le rappresentanze artistiche del vivo panorama della pittura italiana. L’occasione
di questo suo ritorno nella cittadina briantea, tutt’altro che un nostalgico tributo, ambisce a
offrire un focus sulla ricerca che l’artista ha sviluppato lungo un decennio di attività,
periodo che si è voluto contestuale alla sua partecipazione alla manifestazione lissonese.
Sviluppata in contiguità con la Collezione storica del MAC, la retrospettiva consta di una
dozzina di opere che pongono al centro del percorso di visita i dipinti Visione, La riva
silenziosa n. 1 e Fantôme, opere che l’artista ha presentato nelle tre edizioni del Premio
Lissone succedutesi a cadenza biennale dal 1953 al 1957. La selezione delle altre opere
in mostra accompagna e documenta le complessità linguistico-formali che nell’arco degli
anni scandiscono la produzione dell’artista, fino allo scorcio degli anni Cinquanta,
permettendo al visitatore di leggere il fervido processo creativo che lo ha portato alla piena
maturità espressiva.
Nella decade degli anni ’50, Davico è presenza di spicco in vari Premi d’arte, tra cui il
“Golfo di La Spezia”, il “Fiorino” di Firenze e il “Michetti” di Francavilla al Mare. Non meno
importante è la sua adesione alle esposizioni dell’Art Club e a diverse edizioni della
rassegna Peintres d’aujourd’hui France-Italia di Torino, reputazione che viene
consolidandosi con l’invito a ben quattro Biennali di Venezia.
Davico appartiene alla generazione di artisti formatasi in seno alla cultura astratta e
concreta, a testimoniare la purezza etica di un linguaggio che ha inteso l’arte come
esperienza totalizzante, se non addirittura “monacale”. Nella pittura di Davico il rigore è la
nota essenziale da cui deriva la tendenza a una spontanea lucidità e chiarezza.
Superato lo schematismo geometrico della fase iniziale e delle susseguenti strutturazioni
meccanicistiche di reminiscenza gotica, l’immagine si rivela a Davico come possibilità di
una forma libera e inebriante che, allignando nello spazio, viene rafforzata con margini
sempre più netti e decisi, sia per incidenza del segno, sia per l’uso di campiture che
partecipano alla vibrazione atmosferica del supporto.
L’evoluzione successiva si manifesta attraverso una linea che procede – esile ma alquanto
tenace – in essenziali arabeschi, a individuare un percorso della sensibilità e dell’intelletto,
cui corrisponde un raffinato eppur frugale accordo di colori che vanno arricchendosi per
gradazioni di luminosità dei toni.
A pochi anni di distanza dalla sua ultima partecipazione alla Biennale di Venezia, Davico
decide di restare in disparte rispetto alla scena artistica, inizia così a disertare con
sistematicità le esposizioni personali e quelle collettive (alla fine degli anni Settanta tornerà
a riproporsi in modo saltuario all’attenzione dei critici e del pubblico, ma sempre con
estrema parsimonia). La sua inflessibilità caratteriale, di “temperamento cautissimo”,
denota infatti un atteggiamento perentorio, di rivendicazione della propria identità. Una
scelta radicale che l’artista impone a sé e agli altri, e a cui resterà fedele fino alla fine.
Appartatosi nel proprio studio, Mario Davico continua a dipingere ma si tiene lontano da
occhi indiscreti. Per lui la pittura è l’unica a contare veramente, oltre ogni circostanza.
Assecondando quella sua naturale propensione a una dimensione intima e privata, le
opere esposte al MAC di Lissone rimandano a un universo spaziale/mentale che l’artista
ha voluto circoscrivere in una parabola di proverbiale intensità e rarità.
28
settembre 2019
Mario Davico – Gli anni del Premio Lissone
Dal 28 settembre al 24 novembre 2019
arte contemporanea
Location
MAC – MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA DI LISSONE
Lissone, Viale Elisa Ancona, 6, (Monza E Brianza)
Lissone, Viale Elisa Ancona, 6, (Monza E Brianza)
Orario di apertura
mercoledì e venerdì ore 10-13
giovedì ore 16-23
sabato e domenica ore 10-12 e 15-19
Vernissage
28 Settembre 2019, ore 18:30
Autore