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Mario D’Imperio – Gesti e volumi
Se volessi descrivere il mio modo di fare arte non parlerei di tendenze o correnti. La mia è un’arte che nasce in provincia, e si alimenta di contaminazioni storiche, di quel Medioevo rupestre e di quel barocco popolare del sud, che, spesso sviliti e scrostati, permangono nell’inconscio e nella fantasia individuale e collettiva.
Comunicato stampa
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Note biografiche e dichiarazioni dell'artista:
È nato a Matera l’8 settembre 1956 e attualmente svolge l’attività di artista e medico vivendo tra Roma e Matera. Ha frequentato studi classici e artistici. Ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia a Bologna, iscrivendosi successivamente al DAMS.
Da vent’anni opera nel mondo dell’arte.
La lingua dei corpi e degli oggetti
Se volessi descrivere il mio modo di fare arte non parlerei di tendenze o correnti. La mia è un’arte che nasce in provincia, e si alimenta di contaminazioni storiche, di quel Medioevo rupestre e di quel barocco popolare del sud, che, spesso sviliti e scrostati, permangono nell’inconscio e nella fantasia individuale e collettiva.
Dipingo inseguendo due forti pulsioni : volume e colore, o meglio avverto il bisogno di creare secondo una dimensione spaziale, dove esprimere volumetrie quasi pure, dove il colore diventa spazio mentre l’oggetto e le figure diventano corpi solidi.
Anche il mio segno, la mia grafica, pone in movimento i corpi: ho necessità di segnare un contorno dinamico alle mie figure, recuperando tecniche tradizionali o rivisitando e rielaborando processi creativi e pittorici antichi, come l’encausto su tavola o la pittura a fuoco su ceramica.
E il segno può diventare anche graffito, su tavola incerata, dove scrivere o disegnare, riprovando l’emozione ingenua ed arcaica della scrittura-pittura, delle prime espressioni di comunicazione non verbale dell’uomo. Da queste emozioni scopro che l’essere primitivo e inconscio, l’”es” per dirla alla Freud, è rimasto invariato nonostante le evoluzioni o involuzioni della storia dell’uomo.
Creare e distruggere, ecco le due pulsioni primordiali che si scontrano in eterna lotta fra loro. …Io mi riconosco in quella parte dell’umanità che vuole comunicare con il dono della creazione, con gesti arcaici o moderni, non disdegnando una sottintesa trasgressione.
Ho elaborato una scelta precisa, non mi seduce la grafica elettronica , pur riconoscendo in essa un innegabile strumento di comunicazione. Tuttavia l’arte del segno – inciso, dipinto o scritto che sia – mi affascina di più, forse perché , nonostante i miei sforzi, appartengo ancora ad una generazione cresciuta senza computer, ma con la penna, la matita e il pennello in mano.
Cosa dire delle mie figure, dalle mani grandi, dai corpi voluminosi e muscolosi? Direi che l’uomo è unico, indistinto, androgino, e in lui si fondono gli aspetti duplici della vita, della ricerca dell’altra metà mancante, e pertanto in questo desiderio ancestrale di ricongiunzione egli insegue il suo simile e il suo complemento, in un gioco a volte erotico, altre di morte e distruzione.
Mi è caro il tema dell’abbraccio, in questo gesto c’è l’energia della vita, non importa perché, è invece importante che si esprima: l’abbraccio di una madre, due amanti, gruppi di uomini e donne avvinghiati, il saluto, il conforto, protezione e possesso, la lotta e l’eros, eros e thanathos quando l’abbraccio è estremo. Ciò che conta è l’energia che ha in sé quel gesto e come la comunica.
Un abbraccio forse può servire a sopportare l’inguaribile istinto dell’uomo alla sopraffazione, mentre psicologici e materiali terrori dilagano nelle nostre coscienze.
Non posso prescindere dal bisogno di comunicare, col gesto, col colore, in un momento della storia dell’uomo fatto di solitudini e assenze, mentre la sola comunicazione possibile oggi diventa quella omologata, sia nei sentimenti, sia nelle culture.
In questo sento di appartenere alla generazione che afferma il suo gesto graffiandolo su una tavola incerata o sui muri scrostati di una periferia urbana. Certo, non mi importano i gesti intrisi di stupida volgarità così dilaganti nelle latitudini del mondo “civile”, ma voglio recuperare il gesto nella sua dirompente espressione di individuo che pensa, soffre e gioisce, libero e autentico
Mi avvicino alla ceramica con stupore, curiosità alchemica: il fango delle terre, informe, pallido e grigio quando è ancora polvere e acqua, mostra il miracolo dopo la cottura a mille gradi. E’ nel forno che si creano il colore e la luce, lo scintillare della superficie vetrificata. E’ questo un gioco antico che, sconvolgendo la fantasia dell’uomo, ripete il miracolo della creazione, quella del fango che si fa luce…
Il colore e la luce sono gli elementi ancestrali della conoscenza: certo esistono le altre percezioni sensoriali, ma la percezione della luce e delle tenebre, dello scuro e del chiaro, ha la sua priorità sulle capacità conoscitive e emotive. Una campitura di colore è pura spazialità, e se questa spazialità riconosce nel suo interno pochi oggetti simbolici sottolineati da una luce modulata e radente che accentua le volumetrie dell’oggetto stesso, il gioco prospettico è compiuto, senza antitesi tra prospettive ragionate e intuite.
Nel mio percorso sono presenti le veloci figure della pittura vasale magno-greca - sottolineate da pennellate rapidissime e linee graffite sulle superfici curve dell’oggetto d’uso quotidiano o rituale - , l’encausto tardo-romano, interessante per la assoluta ricerca di espressività – ho in mente le tavole dipinte della cultura copta egizia – , gli affreschi di San Clemente a Roma e quelli del Peccato Originale a Matera – belli per la ingenua semplicità e forza di comunicazione - o quelli di Giotto – di grande capacità descrittiva e coloristica - . Ma soprattutto mi sconvolgono la forza di espressione ed i volumi delle figure levigate o ruvide, possenti e vibranti di Michelangelo, e la pittura del Caravaggio – dove è la luce che crea il volume e i corpi fuoriescono dalle penombre dei piani profondi superando la bidimensionalità imposta dalla tela stessa.
Mi piacerebbe cogliere anche un solo frammento di tanta genialità .
È nato a Matera l’8 settembre 1956 e attualmente svolge l’attività di artista e medico vivendo tra Roma e Matera. Ha frequentato studi classici e artistici. Ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia a Bologna, iscrivendosi successivamente al DAMS.
Da vent’anni opera nel mondo dell’arte.
La lingua dei corpi e degli oggetti
Se volessi descrivere il mio modo di fare arte non parlerei di tendenze o correnti. La mia è un’arte che nasce in provincia, e si alimenta di contaminazioni storiche, di quel Medioevo rupestre e di quel barocco popolare del sud, che, spesso sviliti e scrostati, permangono nell’inconscio e nella fantasia individuale e collettiva.
Dipingo inseguendo due forti pulsioni : volume e colore, o meglio avverto il bisogno di creare secondo una dimensione spaziale, dove esprimere volumetrie quasi pure, dove il colore diventa spazio mentre l’oggetto e le figure diventano corpi solidi.
Anche il mio segno, la mia grafica, pone in movimento i corpi: ho necessità di segnare un contorno dinamico alle mie figure, recuperando tecniche tradizionali o rivisitando e rielaborando processi creativi e pittorici antichi, come l’encausto su tavola o la pittura a fuoco su ceramica.
E il segno può diventare anche graffito, su tavola incerata, dove scrivere o disegnare, riprovando l’emozione ingenua ed arcaica della scrittura-pittura, delle prime espressioni di comunicazione non verbale dell’uomo. Da queste emozioni scopro che l’essere primitivo e inconscio, l’”es” per dirla alla Freud, è rimasto invariato nonostante le evoluzioni o involuzioni della storia dell’uomo.
Creare e distruggere, ecco le due pulsioni primordiali che si scontrano in eterna lotta fra loro. …Io mi riconosco in quella parte dell’umanità che vuole comunicare con il dono della creazione, con gesti arcaici o moderni, non disdegnando una sottintesa trasgressione.
Ho elaborato una scelta precisa, non mi seduce la grafica elettronica , pur riconoscendo in essa un innegabile strumento di comunicazione. Tuttavia l’arte del segno – inciso, dipinto o scritto che sia – mi affascina di più, forse perché , nonostante i miei sforzi, appartengo ancora ad una generazione cresciuta senza computer, ma con la penna, la matita e il pennello in mano.
Cosa dire delle mie figure, dalle mani grandi, dai corpi voluminosi e muscolosi? Direi che l’uomo è unico, indistinto, androgino, e in lui si fondono gli aspetti duplici della vita, della ricerca dell’altra metà mancante, e pertanto in questo desiderio ancestrale di ricongiunzione egli insegue il suo simile e il suo complemento, in un gioco a volte erotico, altre di morte e distruzione.
Mi è caro il tema dell’abbraccio, in questo gesto c’è l’energia della vita, non importa perché, è invece importante che si esprima: l’abbraccio di una madre, due amanti, gruppi di uomini e donne avvinghiati, il saluto, il conforto, protezione e possesso, la lotta e l’eros, eros e thanathos quando l’abbraccio è estremo. Ciò che conta è l’energia che ha in sé quel gesto e come la comunica.
Un abbraccio forse può servire a sopportare l’inguaribile istinto dell’uomo alla sopraffazione, mentre psicologici e materiali terrori dilagano nelle nostre coscienze.
Non posso prescindere dal bisogno di comunicare, col gesto, col colore, in un momento della storia dell’uomo fatto di solitudini e assenze, mentre la sola comunicazione possibile oggi diventa quella omologata, sia nei sentimenti, sia nelle culture.
In questo sento di appartenere alla generazione che afferma il suo gesto graffiandolo su una tavola incerata o sui muri scrostati di una periferia urbana. Certo, non mi importano i gesti intrisi di stupida volgarità così dilaganti nelle latitudini del mondo “civile”, ma voglio recuperare il gesto nella sua dirompente espressione di individuo che pensa, soffre e gioisce, libero e autentico
Mi avvicino alla ceramica con stupore, curiosità alchemica: il fango delle terre, informe, pallido e grigio quando è ancora polvere e acqua, mostra il miracolo dopo la cottura a mille gradi. E’ nel forno che si creano il colore e la luce, lo scintillare della superficie vetrificata. E’ questo un gioco antico che, sconvolgendo la fantasia dell’uomo, ripete il miracolo della creazione, quella del fango che si fa luce…
Il colore e la luce sono gli elementi ancestrali della conoscenza: certo esistono le altre percezioni sensoriali, ma la percezione della luce e delle tenebre, dello scuro e del chiaro, ha la sua priorità sulle capacità conoscitive e emotive. Una campitura di colore è pura spazialità, e se questa spazialità riconosce nel suo interno pochi oggetti simbolici sottolineati da una luce modulata e radente che accentua le volumetrie dell’oggetto stesso, il gioco prospettico è compiuto, senza antitesi tra prospettive ragionate e intuite.
Nel mio percorso sono presenti le veloci figure della pittura vasale magno-greca - sottolineate da pennellate rapidissime e linee graffite sulle superfici curve dell’oggetto d’uso quotidiano o rituale - , l’encausto tardo-romano, interessante per la assoluta ricerca di espressività – ho in mente le tavole dipinte della cultura copta egizia – , gli affreschi di San Clemente a Roma e quelli del Peccato Originale a Matera – belli per la ingenua semplicità e forza di comunicazione - o quelli di Giotto – di grande capacità descrittiva e coloristica - . Ma soprattutto mi sconvolgono la forza di espressione ed i volumi delle figure levigate o ruvide, possenti e vibranti di Michelangelo, e la pittura del Caravaggio – dove è la luce che crea il volume e i corpi fuoriescono dalle penombre dei piani profondi superando la bidimensionalità imposta dalla tela stessa.
Mi piacerebbe cogliere anche un solo frammento di tanta genialità .
13
novembre 2004
Mario D’Imperio – Gesti e volumi
Dal 13 al 21 novembre 2004
arte contemporanea
Location
IL RAMO D’ORO
Napoli, Via Adolfo Omodeo, 124, (Napoli)
Napoli, Via Adolfo Omodeo, 124, (Napoli)
Orario di apertura
tutti i giorni tranne il giovedi dalle 16 alle 20
Vernissage
13 Novembre 2004, ore 18