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Mario Giacomelli – Per tutti la morte ha uno sguardo
Per tutti la morte ha uno sguardo riprende un verso dalla poesia di Cesare Pavese: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi che Mario Giacomelli ha scelto come titolo per la serie fotografica sull’ospizio di Senigallia, con cui instaura un profondo legame sin dal 1954 e dove realizza alcune delle sue serie più famose.
Comunicato stampa
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Martedì 28 novembre 2017 alle ore 19.00 negli spazi di NonostanteMarras a Milano, inaugura la mostra Per tutti la morte ha uno sguardo di Mario Giacomelli, a cura di Francesca Alfano Miglietti e Giacomo Pigliapoco, in collaborazione con l'Archivio Mario Giacomelli e Katiuscia Biondi.
Per tutti la morte ha uno sguardo riprende un verso dalla poesia di Cesare Pavese: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi che Mario Giacomelli ha scelto come titolo per la serie fotografica sull'ospizio di Senigallia, con cui instaura un profondo legame sin dal 1954 e dove realizza alcune delle sue serie più famose.
Saranno esposti oltre cinquanta scatti delle serie più conosciute del fotografo marchigiano che testimoniano la sua indagine sullo strazio della realtà, come La zia di Franco (Ospizio) (1981/1983), E io ti vidi fanciulla (Ospizio) (1981/1983), Metamorfosi della terra (Paesaggi) (1955/anni Ottanta), Presa di coscienza sulla natura (Paesaggi) (1976/anni Novanta), Motivo suggerito dal taglio dell’albero (1967/69), Poesie in cerca d’autore (1970/2000).
La mostra si sviluppa a partire dal primo scatto realizzato da Giacomelli: Approdo (1953), una foto scattata sul bagnasciuga, la vigilia di Natale del 1953, che ritrae un’onda dove tutto ciò che è visibile si smaterializza nel bianco della spuma, mentre rimane nitida una ciabatta trasportata dalle onde sulla battigia, con sopra una stella marina: un richiamo all’Uomo e a quello che ne rimane dopo il passaggio del tempo. Emergono qui tutta la tecnica e lo stile fotografico che contraddistingueranno poi Mario Giacomelli: l’immagine bruciata, i forti contrasti e l’ambientazione mossa, completamente sfuocata, che va contro ogni canone fotografico classico di pulizia formale.
Nella serie dei Paesaggi, capitolo cardine della sua opera, gli scatti eliminano l’unico punto di riferimento principale: il cielo. I paesaggi sono materia viva e pura, senza mediazioni né distrazioni. La scomparsa dell’orizzonte, il rifiuto dei mezzitoni, i contrasti nettissimi con il bianco che si innesta profondamente nel nero sono, per l’artista, l’indice di una natura che pulsa, che vive, di cui Giacomelli ritrae i “segni del suo paesaggio”. E nella rugosità di un albero (Motivo suggerito dal taglio dell’albero) o nei solchi dei campi arati Giacomelli rivede i volti segnati dai patimenti dei contadini, degli ospiti della casa di cura, degli anziani.
La libertà della tecnica che la fotografia scopre in quegli anni, è servita a Giacomelli per superare i limiti del neorealismo con il quale si è formato, per approdare a un linguaggio diverso e personale in cui lo spettatore, l’artista e il soggetto raffigurato convivono tutti nella stessa scena, in uno sconfinamento e in uno spazio polidimensionale in cui l’arte si amalgama con la vita. La sua fotografia è lotta con la materia che si svolge sulla superficie: urla sulla carta e si trasforma in forme animate; oppure viene azzerata e resa muta attraverso l’utilizzo del bianco e del nero completamente piatti, abilmente ottenuti nel lavoro di camera oscura.
Mario Giacomelli nasce nel 1925 a Senigallia. Inizia a lavorare a 13 anni in una tipografia nel centro della città e nel 1952 acquista la sua macchina fotografica. La strada verso la notorietà gli è aperta dalla vittoria al Concorso Fotografico Nazionale di Castelfranco Veneto nel ’55 dove Paolo Monti lo chiama “L’uomo Nuovo della fotografia italiana”. Nel 1953 entra a far parte del gruppo fotografico Misa e nel 1956 de La Bussola. Dal 1955 viene celebrato dall’allora direttore della fotografia del MoMa di New York John Szarkowski e comincia a ottenere riconoscimenti e a esporre in Italia e all’estero. Le sue foto sono presenti dal 1964 nella collezione permanente del MOMA di New York e oggi conservate nei maggiori musei e collezioni di tutto il mondo. Muore nel 2000 a Senigallia.
Per tutti la morte ha uno sguardo riprende un verso dalla poesia di Cesare Pavese: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi che Mario Giacomelli ha scelto come titolo per la serie fotografica sull'ospizio di Senigallia, con cui instaura un profondo legame sin dal 1954 e dove realizza alcune delle sue serie più famose.
Saranno esposti oltre cinquanta scatti delle serie più conosciute del fotografo marchigiano che testimoniano la sua indagine sullo strazio della realtà, come La zia di Franco (Ospizio) (1981/1983), E io ti vidi fanciulla (Ospizio) (1981/1983), Metamorfosi della terra (Paesaggi) (1955/anni Ottanta), Presa di coscienza sulla natura (Paesaggi) (1976/anni Novanta), Motivo suggerito dal taglio dell’albero (1967/69), Poesie in cerca d’autore (1970/2000).
La mostra si sviluppa a partire dal primo scatto realizzato da Giacomelli: Approdo (1953), una foto scattata sul bagnasciuga, la vigilia di Natale del 1953, che ritrae un’onda dove tutto ciò che è visibile si smaterializza nel bianco della spuma, mentre rimane nitida una ciabatta trasportata dalle onde sulla battigia, con sopra una stella marina: un richiamo all’Uomo e a quello che ne rimane dopo il passaggio del tempo. Emergono qui tutta la tecnica e lo stile fotografico che contraddistingueranno poi Mario Giacomelli: l’immagine bruciata, i forti contrasti e l’ambientazione mossa, completamente sfuocata, che va contro ogni canone fotografico classico di pulizia formale.
Nella serie dei Paesaggi, capitolo cardine della sua opera, gli scatti eliminano l’unico punto di riferimento principale: il cielo. I paesaggi sono materia viva e pura, senza mediazioni né distrazioni. La scomparsa dell’orizzonte, il rifiuto dei mezzitoni, i contrasti nettissimi con il bianco che si innesta profondamente nel nero sono, per l’artista, l’indice di una natura che pulsa, che vive, di cui Giacomelli ritrae i “segni del suo paesaggio”. E nella rugosità di un albero (Motivo suggerito dal taglio dell’albero) o nei solchi dei campi arati Giacomelli rivede i volti segnati dai patimenti dei contadini, degli ospiti della casa di cura, degli anziani.
La libertà della tecnica che la fotografia scopre in quegli anni, è servita a Giacomelli per superare i limiti del neorealismo con il quale si è formato, per approdare a un linguaggio diverso e personale in cui lo spettatore, l’artista e il soggetto raffigurato convivono tutti nella stessa scena, in uno sconfinamento e in uno spazio polidimensionale in cui l’arte si amalgama con la vita. La sua fotografia è lotta con la materia che si svolge sulla superficie: urla sulla carta e si trasforma in forme animate; oppure viene azzerata e resa muta attraverso l’utilizzo del bianco e del nero completamente piatti, abilmente ottenuti nel lavoro di camera oscura.
Mario Giacomelli nasce nel 1925 a Senigallia. Inizia a lavorare a 13 anni in una tipografia nel centro della città e nel 1952 acquista la sua macchina fotografica. La strada verso la notorietà gli è aperta dalla vittoria al Concorso Fotografico Nazionale di Castelfranco Veneto nel ’55 dove Paolo Monti lo chiama “L’uomo Nuovo della fotografia italiana”. Nel 1953 entra a far parte del gruppo fotografico Misa e nel 1956 de La Bussola. Dal 1955 viene celebrato dall’allora direttore della fotografia del MoMa di New York John Szarkowski e comincia a ottenere riconoscimenti e a esporre in Italia e all’estero. Le sue foto sono presenti dal 1964 nella collezione permanente del MOMA di New York e oggi conservate nei maggiori musei e collezioni di tutto il mondo. Muore nel 2000 a Senigallia.
28
novembre 2017
Mario Giacomelli – Per tutti la morte ha uno sguardo
Dal 28 novembre 2017 al 18 gennaio 2018
fotografia
Location
NONOSTANTE MARRAS
Milano, Via Cola Di Rienzo, 8, (Milano)
Milano, Via Cola Di Rienzo, 8, (Milano)
Orario di apertura
da lunedì a sabato, 10.00 – 19.00; domenica 12.00 – 19.00
Vernissage
28 Novembre 2017, ore 19
Autore
Curatore