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Mario Giovanetti – Magie al portatore
Giovanetti accarezza la finzione affidando la mente a un esercizio che par tener conto di elementi che si sviluppano tra informe e neoplasticismo, tra irreale e objet trouvé, tra materiali variamente accostati (legni, chiavistelli, frammenti di stoviglie e bronzi)…
Comunicato stampa
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Magie al portatore
Irriducibile a qualsiasi tattica di gioco comportamentale, Mario Giovanetti fluttua da una parte all’altra del vivere, estraneo al senso dell’ordinario e infastidito da idee che ritiene stampe preconfezionate del pensiero. Crede nella fugacità del momento, nell’attimo che fa credere in una promessa di nuovi universi, di aree fantastiche da bloccare nelle tavole dipinte, in quei lavori che sono il racconto dei suoi anni. Gesto e sostanza plastica, uno sguardo pronto a cogliere l’essenza delle cose, un mondo da declinare con la complicità del silenzio che rende l’emozione miraggio accessibile ai ricordi senza deviazioni follemente trasgressive. Giovanetti accarezza la finzione affidando la mente a un esercizio che par tener conto di elementi che si sviluppano tra informe e neoplasticismo, tra irreale e objet trouvé, tra materiali variamente accostati (legni, chiavistelli, frammenti di stoviglie e bronzi), tra flash del vero e vaghezze in cui l’accensione di un lampo è un cortocircuito fra mistero e magia, tra sintomi dell’arcano e artifizi al portatore.
Quando al calare delle prime ombre sembra di ritrovare un’intimità perduta, e quando un guizzo di luce trasforma ansia e suggestioni in strategie capaci di offrire un prolungamento concreto alla sostanza dei sogni, il senso d’attesa che riempie gli occhi di immaginazione somiglia molto a una liturgia della meditazione. Attorno le ombre formano una quieta deposizione di episodi emotivi, le ombre proiettate sui muri sono eredi di effetti reali, di una realtà che, in fondo, è la vera fonte di un’illusione che lascia nel vago ogni determinazione cronologica. Le tavole di Giovanetti sono geografie senza confini, mappe di ipotetici territori dove si intrecciano voci di ieri e di oggi, memorie lontane ed esperienze più prossime, quindi un succedersi di battiti che non vogliono arrestarsi. Nelle opere il colore è una metafora che guida alla narrazione di una vita condotta, si potrebbe dire, con spirito rabdomantico; un tocco di pigmento può tradursi nell’indice di un animo che sa cogliere al balzo i momenti che rendono la vita parente stretta di un moto senza fine, qualcosa che sembra far svanire il senso del tempo.
La nebbia aveva eretto un argine al di là del quale tutto appariva sospeso in un’atmosfera crepuscolare. Dalla casa di Giovanetti la natura si abbraccia dopo aver scavalcato pietrosi camminamenti e dopo aver fatto viaggiare la mente al di là di un complesso edilizio dall’intonacato giallo-ocra. Quel giorno, a un nostro incontro, mentre lungo le strade un pulviscolo lattiginoso imperlava gli alberi, l’orologio delle domande aveva il passo lento e i minuti accusavano l’affanno di chi scivola su lastre contrassegnate da numeri e parole imbevute di un grigio letargico. Facendo riflettere una lamina di luce alogena nell’incavo di un bronzo metamorfico, il pittore ribadì di sentirsi estraneo a qualsiasi valenza rituale, lontano da ogni indugio figurativo, ma convinto che la realtà debba essere una finzione convalidata dal sogno. Con l’assemblaggio delle cose e la traslazione simbolica dei colori Giovanetti tende a rendere la realtà stretta parente di un’articolazione senza fine, qualcosa che assomiglia più a un insieme cosmico che al semplice effetto dell’ordinario tecnico. Tra effetti cromatici ed esercizi plastici, deve sembrargli di vivere un sogno che, nel suo policromo svolgersi, prende il pensiero come un vortice dagli indefinibili riferimenti visivi.
Da anni Giovanetti ha chiesto asilo al passato per declinare al presente ricordi particolari; scorrendo le tavole dei suoi racconti lo immaginiamo ripercorrere le strade della memoria attraverso la nervatura di una foglia che s’è portato dietro dall’Africa, oppure lo vediamo inseguire le ombre riflesse su ciò che resta di un vaso cinese. Controluce, la foglia mostra lo scheletro di un ventaglio mentre i cocci di un cristallo andato in frantumi deformano la realtà che li circonda, realtà – appunto - che si fa sogno. Nel delicato tessuto di una foglia come negli smalti di un vaso rotto, l’artista crede forse di prendere conoscenza di ciò che nella vita ha trascurato. Girano le lancette di un orologio stanco mentre nel ricordo i colori si fanno presenze cangianti, nuove magie al portatore che raggiungono altezze sottili, spazi dove la fantasia si fa testimone attendibile di incontri incredibili, tali perché capace di ribaltare ipotesi preconcette e pensieri appassiti dall’abitudine. Franco Basile
Irriducibile a qualsiasi tattica di gioco comportamentale, Mario Giovanetti fluttua da una parte all’altra del vivere, estraneo al senso dell’ordinario e infastidito da idee che ritiene stampe preconfezionate del pensiero. Crede nella fugacità del momento, nell’attimo che fa credere in una promessa di nuovi universi, di aree fantastiche da bloccare nelle tavole dipinte, in quei lavori che sono il racconto dei suoi anni. Gesto e sostanza plastica, uno sguardo pronto a cogliere l’essenza delle cose, un mondo da declinare con la complicità del silenzio che rende l’emozione miraggio accessibile ai ricordi senza deviazioni follemente trasgressive. Giovanetti accarezza la finzione affidando la mente a un esercizio che par tener conto di elementi che si sviluppano tra informe e neoplasticismo, tra irreale e objet trouvé, tra materiali variamente accostati (legni, chiavistelli, frammenti di stoviglie e bronzi), tra flash del vero e vaghezze in cui l’accensione di un lampo è un cortocircuito fra mistero e magia, tra sintomi dell’arcano e artifizi al portatore.
Quando al calare delle prime ombre sembra di ritrovare un’intimità perduta, e quando un guizzo di luce trasforma ansia e suggestioni in strategie capaci di offrire un prolungamento concreto alla sostanza dei sogni, il senso d’attesa che riempie gli occhi di immaginazione somiglia molto a una liturgia della meditazione. Attorno le ombre formano una quieta deposizione di episodi emotivi, le ombre proiettate sui muri sono eredi di effetti reali, di una realtà che, in fondo, è la vera fonte di un’illusione che lascia nel vago ogni determinazione cronologica. Le tavole di Giovanetti sono geografie senza confini, mappe di ipotetici territori dove si intrecciano voci di ieri e di oggi, memorie lontane ed esperienze più prossime, quindi un succedersi di battiti che non vogliono arrestarsi. Nelle opere il colore è una metafora che guida alla narrazione di una vita condotta, si potrebbe dire, con spirito rabdomantico; un tocco di pigmento può tradursi nell’indice di un animo che sa cogliere al balzo i momenti che rendono la vita parente stretta di un moto senza fine, qualcosa che sembra far svanire il senso del tempo.
La nebbia aveva eretto un argine al di là del quale tutto appariva sospeso in un’atmosfera crepuscolare. Dalla casa di Giovanetti la natura si abbraccia dopo aver scavalcato pietrosi camminamenti e dopo aver fatto viaggiare la mente al di là di un complesso edilizio dall’intonacato giallo-ocra. Quel giorno, a un nostro incontro, mentre lungo le strade un pulviscolo lattiginoso imperlava gli alberi, l’orologio delle domande aveva il passo lento e i minuti accusavano l’affanno di chi scivola su lastre contrassegnate da numeri e parole imbevute di un grigio letargico. Facendo riflettere una lamina di luce alogena nell’incavo di un bronzo metamorfico, il pittore ribadì di sentirsi estraneo a qualsiasi valenza rituale, lontano da ogni indugio figurativo, ma convinto che la realtà debba essere una finzione convalidata dal sogno. Con l’assemblaggio delle cose e la traslazione simbolica dei colori Giovanetti tende a rendere la realtà stretta parente di un’articolazione senza fine, qualcosa che assomiglia più a un insieme cosmico che al semplice effetto dell’ordinario tecnico. Tra effetti cromatici ed esercizi plastici, deve sembrargli di vivere un sogno che, nel suo policromo svolgersi, prende il pensiero come un vortice dagli indefinibili riferimenti visivi.
Da anni Giovanetti ha chiesto asilo al passato per declinare al presente ricordi particolari; scorrendo le tavole dei suoi racconti lo immaginiamo ripercorrere le strade della memoria attraverso la nervatura di una foglia che s’è portato dietro dall’Africa, oppure lo vediamo inseguire le ombre riflesse su ciò che resta di un vaso cinese. Controluce, la foglia mostra lo scheletro di un ventaglio mentre i cocci di un cristallo andato in frantumi deformano la realtà che li circonda, realtà – appunto - che si fa sogno. Nel delicato tessuto di una foglia come negli smalti di un vaso rotto, l’artista crede forse di prendere conoscenza di ciò che nella vita ha trascurato. Girano le lancette di un orologio stanco mentre nel ricordo i colori si fanno presenze cangianti, nuove magie al portatore che raggiungono altezze sottili, spazi dove la fantasia si fa testimone attendibile di incontri incredibili, tali perché capace di ribaltare ipotesi preconcette e pensieri appassiti dall’abitudine. Franco Basile
23
febbraio 2013
Mario Giovanetti – Magie al portatore
Dal 23 febbraio al 10 marzo 2013
arte moderna e contemporanea
Location
GALLERIA DEL CARBONE
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì 17.00-20.00; sabato e festivi 11.00-12.30 17.00-20.00 martedì chiuso
Vernissage
23 Febbraio 2013, ore 17.30
Autore
Curatore