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Mario Negri – L’atto disperato e costante della ricerca
La retrospettiva, omaggio al grande scultore valtellinese nel centenario della nascita, presenta al pubblico valtellinese 23 sculture più le tre presenti a Tirano in modo permanente (Stele delle Emigranti, Colonna dell’Adda, Colonna della Libertà) opere in bronzo, modellate e fuse dall’artista fra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, comprensive di tutti gli aspetti e almeno le fasi più importanti della sua ricerca: le figure, ritratti, erme e figure mitologiche, i progetti per monumenti e installazioni nello spazio, le colonne che, come scrive Martina Corgnati nel catalogo che accompagna la rassegna, «svettano fragili e sottili nella luminosità del paesaggio… invenzione di una spazialità nuova»
Comunicato stampa
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Sabato 10 settembre alle ore 17, a Tirano presso Palazzo Foppoli, Piazzetta Maurizio Quadrio, sarà inaugurata la
mostra di Mario Negri “L’atto disperato e costante della ricerca”.
La retrospettiva, omaggio al grande scultore valtellinese nel centenario della nascita, presenta al pubblico valtellinese
23 sculture più le tre presenti a Tirano in modo permanente (Stele delle Emigranti, Colonna dell’Adda, Colonna
della Libertà) opere in bronzo, modellate e fuse dall’artista fra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, comprensive
di tutti gli aspetti e almeno le fasi più importanti della sua ricerca: le figure, ritratti, erme e figure mitologiche, i
progetti per monumenti e installazioni nello spazio, le colonne che, come scrive Martina Corgnati nel catalogo
che accompagna la rassegna, «svettano fragili e sottili nella luminosità del paesaggio... invenzione di una spazialità
nuova».
Pur rifacendosi alla Colonna infinita di Brancusi, queste opere però insistono «nel riproporre una “presenza”, un
qualcosa di umano, di piccolo, di ascetico, sollevato su quelle aeree basi sospese, flessibile e vulnerabile protagonista
di uno spazio sottile, proteso verso l’assoluto della natura, vocativo e appena dolente, come le remote colombe
che i longobardi posavano sulle loro pertiche, a ricordo di un guerriero caduto lontano». Negri, infatti, in tutto
l’arco della sua parabola creativa, resta uno scultore attento all’aspetto umano delle cose, interprete sensibile e
appassionato del corpo umano rielaborato in inesauribili varianti formali, di cui la mostra propone alcuni bellissimi
esempi, come Venus (1968-70), Gli sposi (1975), Nuovo torsetto (1985).
Mario Negri è nato a Tirano, in Valtellina, il 25 giugno 1916. Conseguita la maturità classica a Milano, al liceo
Manzoni, porta a compimento il primo biennio della facoltà di architettura presso il Politecnico. Fra il ’35 e il ’40
conosce quasi tutti gli artisti e i letterati che s’identificano nella nuova idea di cultura proposta dalla rivista milanese
«Corrente di vita giovanile» (nata nel gennaio ’38, fu soppressa nel ’40 dalla polizia fascista). In quel gruppo
eterogeneo di intellettuali e di artisti, Negri si lega fra gli altri allo scultore genovese Sandro Cherchi e al pittore
Italo Valenti. Ancorché giovanissimo e affatto inesperto di ambienti artistici, entra in confidenza con il più anziano
Carlo Carrà. Agli inizi del ’40 è chiamato alle armi, e vi resterà sino al ’45, passando gli ultimi due anni prigioniero
in campi nazisti in Polonia e Germania per essersi rifiutato di combattere nelle file dell’esercito nazionalsocialista.
Suoi compagni di deportazione sono tra gli altri Roberto Rebora, Enzo Paci, Giuseppe Bortoluzzi, Leone Pancaldi,
Giovannino Guareschi, Giuseppe Novello e Luigi Carluccio, che lo ritrae più volte.
A guerra finita ha inizio un lungo periodo di lavoro che egli considera di duro tirocinio professionale. Più che gli
atelier degli artisti frequenta le botteghe degli artigiani milanesi, credendo fermamente alle virtù del “mestiere” come
base essenziale per intraprendere il lavoro artistico. Dal 1950 scrive come critico d’arte sulla rivista «Domus». Solo
a partire dalla metà degli anni Cinquanta può dedicarsi interamente alla scultura, conoscendone profondamente
la storia e guardando con attenzione sia alla tradizione che ai grandi protagonisti dell’arte centro-europea, sempre
con un suo inconfondibile tratto schivo e introverso.
Tiene la sua prima personale nel ’57, presso la prestigiosa Galleria del Milione. Sono di questi anni i legami umani e
culturali più intensi e formativi: Alberto Giacometti, Franco Russoli, Luigi Carluccio, Lamberto Vitali, Cesare Gnudi,
Marco Valsecchi e i “suoi” fotografi di sempre, Arno Hammacher e Paolo Monti. In seguito sarà vicino, fra gli altri, a
Vittorio Sereni, Dante Isella, Roberto Tassi, Rudi Wach, Enrico Della Torre, Ruggero Savinio. A partire dalla fine degli
anni Cinquanta partecipa con regolarità a mostre in Italia e all’estero. Torna a scrivere nel ’66 in occasione della
morte di Giacometti, nel 1979 su Medardo Rosso e nel ’81-’82 su Modigliani.
Nell’arco della sua vita rimane costante il suo scrivere pensieri sull’arte e sulla scultura (“Note di studio”). Nel 1983
cura, per Allemandi, l’edizione dei Disegni di prigionia 1943 1944 1945 di Luigi Carluccio. Nel 1985 per le edizioni
All’Insegna del Pesce d’Oro di Vanni Scheiwiller esce All’ombra della scultura, a cura di Stefano Crespi, che raccoglie
una parte degli scritti apparsi su «Domus» e in altre sedi.
Muore improvvisamente a Milano il 5 aprile 1987, alla vigilia di una grande antologica presso Palazzo Te di Mantova.
La mostra, accompagnata da un catalogo curato da Cristina Sissa con un testo di Martina Corgnati, è promossa
dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Tirano, per gentile concessione dello Studio d’Arte del Lauro e della
famiglia Negri, e organizzata in collaborazione con il Consorzio Turistico del Terziere Superiore.
Resterà aperta fino a domenica 9 ottobre nei seguenti orari: martedì/sabato: 11.00-12.30 / 15.00-18.00; domenica
15.00-18.00. Visitabile fuori orario su appuntamento (escluso il lunedì).
Per informazioni:
Biblioteca Arcari Tirano Tel. (+39) 0342 702572 - biblioteca@comune.tirano.so.it
Ufficio Informazioni Turistiche Tel. (+39) 0342 706066
mostra di Mario Negri “L’atto disperato e costante della ricerca”.
La retrospettiva, omaggio al grande scultore valtellinese nel centenario della nascita, presenta al pubblico valtellinese
23 sculture più le tre presenti a Tirano in modo permanente (Stele delle Emigranti, Colonna dell’Adda, Colonna
della Libertà) opere in bronzo, modellate e fuse dall’artista fra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, comprensive
di tutti gli aspetti e almeno le fasi più importanti della sua ricerca: le figure, ritratti, erme e figure mitologiche, i
progetti per monumenti e installazioni nello spazio, le colonne che, come scrive Martina Corgnati nel catalogo
che accompagna la rassegna, «svettano fragili e sottili nella luminosità del paesaggio... invenzione di una spazialità
nuova».
Pur rifacendosi alla Colonna infinita di Brancusi, queste opere però insistono «nel riproporre una “presenza”, un
qualcosa di umano, di piccolo, di ascetico, sollevato su quelle aeree basi sospese, flessibile e vulnerabile protagonista
di uno spazio sottile, proteso verso l’assoluto della natura, vocativo e appena dolente, come le remote colombe
che i longobardi posavano sulle loro pertiche, a ricordo di un guerriero caduto lontano». Negri, infatti, in tutto
l’arco della sua parabola creativa, resta uno scultore attento all’aspetto umano delle cose, interprete sensibile e
appassionato del corpo umano rielaborato in inesauribili varianti formali, di cui la mostra propone alcuni bellissimi
esempi, come Venus (1968-70), Gli sposi (1975), Nuovo torsetto (1985).
Mario Negri è nato a Tirano, in Valtellina, il 25 giugno 1916. Conseguita la maturità classica a Milano, al liceo
Manzoni, porta a compimento il primo biennio della facoltà di architettura presso il Politecnico. Fra il ’35 e il ’40
conosce quasi tutti gli artisti e i letterati che s’identificano nella nuova idea di cultura proposta dalla rivista milanese
«Corrente di vita giovanile» (nata nel gennaio ’38, fu soppressa nel ’40 dalla polizia fascista). In quel gruppo
eterogeneo di intellettuali e di artisti, Negri si lega fra gli altri allo scultore genovese Sandro Cherchi e al pittore
Italo Valenti. Ancorché giovanissimo e affatto inesperto di ambienti artistici, entra in confidenza con il più anziano
Carlo Carrà. Agli inizi del ’40 è chiamato alle armi, e vi resterà sino al ’45, passando gli ultimi due anni prigioniero
in campi nazisti in Polonia e Germania per essersi rifiutato di combattere nelle file dell’esercito nazionalsocialista.
Suoi compagni di deportazione sono tra gli altri Roberto Rebora, Enzo Paci, Giuseppe Bortoluzzi, Leone Pancaldi,
Giovannino Guareschi, Giuseppe Novello e Luigi Carluccio, che lo ritrae più volte.
A guerra finita ha inizio un lungo periodo di lavoro che egli considera di duro tirocinio professionale. Più che gli
atelier degli artisti frequenta le botteghe degli artigiani milanesi, credendo fermamente alle virtù del “mestiere” come
base essenziale per intraprendere il lavoro artistico. Dal 1950 scrive come critico d’arte sulla rivista «Domus». Solo
a partire dalla metà degli anni Cinquanta può dedicarsi interamente alla scultura, conoscendone profondamente
la storia e guardando con attenzione sia alla tradizione che ai grandi protagonisti dell’arte centro-europea, sempre
con un suo inconfondibile tratto schivo e introverso.
Tiene la sua prima personale nel ’57, presso la prestigiosa Galleria del Milione. Sono di questi anni i legami umani e
culturali più intensi e formativi: Alberto Giacometti, Franco Russoli, Luigi Carluccio, Lamberto Vitali, Cesare Gnudi,
Marco Valsecchi e i “suoi” fotografi di sempre, Arno Hammacher e Paolo Monti. In seguito sarà vicino, fra gli altri, a
Vittorio Sereni, Dante Isella, Roberto Tassi, Rudi Wach, Enrico Della Torre, Ruggero Savinio. A partire dalla fine degli
anni Cinquanta partecipa con regolarità a mostre in Italia e all’estero. Torna a scrivere nel ’66 in occasione della
morte di Giacometti, nel 1979 su Medardo Rosso e nel ’81-’82 su Modigliani.
Nell’arco della sua vita rimane costante il suo scrivere pensieri sull’arte e sulla scultura (“Note di studio”). Nel 1983
cura, per Allemandi, l’edizione dei Disegni di prigionia 1943 1944 1945 di Luigi Carluccio. Nel 1985 per le edizioni
All’Insegna del Pesce d’Oro di Vanni Scheiwiller esce All’ombra della scultura, a cura di Stefano Crespi, che raccoglie
una parte degli scritti apparsi su «Domus» e in altre sedi.
Muore improvvisamente a Milano il 5 aprile 1987, alla vigilia di una grande antologica presso Palazzo Te di Mantova.
La mostra, accompagnata da un catalogo curato da Cristina Sissa con un testo di Martina Corgnati, è promossa
dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Tirano, per gentile concessione dello Studio d’Arte del Lauro e della
famiglia Negri, e organizzata in collaborazione con il Consorzio Turistico del Terziere Superiore.
Resterà aperta fino a domenica 9 ottobre nei seguenti orari: martedì/sabato: 11.00-12.30 / 15.00-18.00; domenica
15.00-18.00. Visitabile fuori orario su appuntamento (escluso il lunedì).
Per informazioni:
Biblioteca Arcari Tirano Tel. (+39) 0342 702572 - biblioteca@comune.tirano.so.it
Ufficio Informazioni Turistiche Tel. (+39) 0342 706066
10
settembre 2016
Mario Negri – L’atto disperato e costante della ricerca
Dal 10 settembre al 09 ottobre 2016
arte contemporanea
Location
PALAZZO FOPPOLI
Tirano, Via Maurizio Quadrio, (Sondrio)
Tirano, Via Maurizio Quadrio, (Sondrio)
Orario di apertura
martedì/sabato: 11.00-12.30 / 15.00-18.00; domenica: 15.00-18.00
fuori orario visita possibile su appuntamento (escluso il lunedì)
Vernissage
10 Settembre 2016, h 17
Autore
Curatore