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MARIO SCHIFANO – 10X15
La mostra propone una scelta di fotografie ritoccate a mano dall’artista, selezionate da un corpus che ne conta diverse migliaia. Schifano, con consuetudine pressoché giornaliera, quasi un lungo esercizio di rilettura della cronaca quotidiana praticato dalla fine degli anni ’80 nell’arco di dieci anni, eseguiva decine di scatti fotografici, catturando, dai televisori sempre accesi di cui si circondava, un’ampia serie di immagini dai soggetti e contorni diversi.
Comunicato stampa
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La mostra propone una scelta di fotografie ritoccate a mano dall’artista, selezionate da
un corpus che ne conta diverse migliaia. Schifano, con consuetudine pressoché
giornaliera, quasi un lungo esercizio di rilettura della cronaca quotidiana praticato
dalla fine degli anni ’80 nell’arco di dieci anni, eseguiva decine di scatti fotografici,
catturando, dai televisori sempre accesi di cui si circondava, un’ampia serie di immagini
dai soggetti e contorni diversi. Nei giorni successivi, quasi in una sorta di scrittura
automatica, ne evidenziava i contenuti e le valenze per lui più interessanti, enfatizzando
così tutto ciò che già in precedenza aveva messo a fuoco tramite la fotografia.
In qualità di fotografo, Mario Schifano ha avuto occasione di registrare, all’istante,
qualsiasi stimolo avesse catturato la sua attenzione, attingendo a piene mani sia dal
mondo reale sia dal mondo mediatico. I suoi scatti immortalavano persone, oggetti,
ambienti (o loro frammenti) incontrati talvolta dal vivo, ma soprattutto sullo schermo
- in entrambi i casi fagocitati dall’obiettivo – con un gesto iterato alacremente, a ritmo
quasi compulsivo.
Così il fotografo, non diversamente da un reporter (“inviato speciale nella realtà”,
citando Achille Bonito Oliva), accumulava note, spunti, appunti – un campionario
iconografico sul quale, successivamente, interveniva il pittore. Inizia dunque il dialogo
tra l’immagine fotografica e il segno grafico, tra l’automatismo del mezzo meccanico e
la frenesia del gesto manuale, tra l’eterogeneità dispersiva degli scatti e la sintesi cui li
riconduce il colore (lacca o pennarelli che siano).
Un lavoro che è stato definito il “luogo genetico e concettuale in cui provava a
sperimentare incessantemente segni e colori, accostando e deformando figure e
passaggi”. Ma a ben guardare è anche il luogo delle sue correzioni: uno zibaldone di
immagini che non solo fornisce all’artista ispirazione e materia prima per le successive
rielaborazioni – in un’ottica, appunto, di dialogo e sperimentazione – ma sul quale
la sua mano, in pervicace sovrapposizione, tenta ostinatamente di imporre il dominio
ultimo, l’ultima parola.
Con questa mostra la galleria In Arco intende concludere un ciclo dedicato all’artista,
iniziato nel 2004 con le polaroid, proseguito nel 2008 con i lavori degli anni ‘80 e due
anni fa con le opere degli anni ‘60 e ‘70.
un corpus che ne conta diverse migliaia. Schifano, con consuetudine pressoché
giornaliera, quasi un lungo esercizio di rilettura della cronaca quotidiana praticato
dalla fine degli anni ’80 nell’arco di dieci anni, eseguiva decine di scatti fotografici,
catturando, dai televisori sempre accesi di cui si circondava, un’ampia serie di immagini
dai soggetti e contorni diversi. Nei giorni successivi, quasi in una sorta di scrittura
automatica, ne evidenziava i contenuti e le valenze per lui più interessanti, enfatizzando
così tutto ciò che già in precedenza aveva messo a fuoco tramite la fotografia.
In qualità di fotografo, Mario Schifano ha avuto occasione di registrare, all’istante,
qualsiasi stimolo avesse catturato la sua attenzione, attingendo a piene mani sia dal
mondo reale sia dal mondo mediatico. I suoi scatti immortalavano persone, oggetti,
ambienti (o loro frammenti) incontrati talvolta dal vivo, ma soprattutto sullo schermo
- in entrambi i casi fagocitati dall’obiettivo – con un gesto iterato alacremente, a ritmo
quasi compulsivo.
Così il fotografo, non diversamente da un reporter (“inviato speciale nella realtà”,
citando Achille Bonito Oliva), accumulava note, spunti, appunti – un campionario
iconografico sul quale, successivamente, interveniva il pittore. Inizia dunque il dialogo
tra l’immagine fotografica e il segno grafico, tra l’automatismo del mezzo meccanico e
la frenesia del gesto manuale, tra l’eterogeneità dispersiva degli scatti e la sintesi cui li
riconduce il colore (lacca o pennarelli che siano).
Un lavoro che è stato definito il “luogo genetico e concettuale in cui provava a
sperimentare incessantemente segni e colori, accostando e deformando figure e
passaggi”. Ma a ben guardare è anche il luogo delle sue correzioni: uno zibaldone di
immagini che non solo fornisce all’artista ispirazione e materia prima per le successive
rielaborazioni – in un’ottica, appunto, di dialogo e sperimentazione – ma sul quale
la sua mano, in pervicace sovrapposizione, tenta ostinatamente di imporre il dominio
ultimo, l’ultima parola.
Con questa mostra la galleria In Arco intende concludere un ciclo dedicato all’artista,
iniziato nel 2004 con le polaroid, proseguito nel 2008 con i lavori degli anni ‘80 e due
anni fa con le opere degli anni ‘60 e ‘70.
10
novembre 2012
MARIO SCHIFANO – 10X15
Dal 10 novembre 2012 al 16 febbraio 2013
arte contemporanea
Location
GALLERIA IN ARCO
Torino, Piazza Vittorio Veneto, 3, (Torino)
Torino, Piazza Vittorio Veneto, 3, (Torino)
Vernissage
10 Novembre 2012, h 20.00
Autore