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Mario Sillani Djerrahian – La fine del tempo
Mario Sillani Djerrahian ha realizzato le fotografie evocate dall’ascolto del Quatuor pour la fin du temps di Olivier Messiaen. Nel 1940 in un campo di concentramento nazista, Messiaen compone ed esegue il quartetto insieme ad altri tre prigionieri. Ikona Gallery propone la mostra La Fine del Tempo
Comunicato stampa
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LA FINE DEL TEMPO fotografie di Mario Sillani Djerrahian
L'ascolto del Quatuor pour la fin du temps di Olivier Messiaen non può prescindere dal conoscere come e quando questo brano di musica cameristica sia stato scritto. Per caso sentii per la prima volta parte di quest'opera alla radio e la presentazione fatta mi lasciò turbato e interdetto. Nel 1940 il compositore era prigioniero di guerra in un campo di concentramento nazista. Fu per l'interesse di un ufficiale tedesco che a Messiaen fu concesso di scrivere e poi di eseguire il quartetto assieme ad altri tre prigionieri. Mi chiesi: come fu possibile che un brano di difficile scrittura e difficile ascolto fosse stato concepito in cattività?
Con la neve, la fame, gli strumenti in cattive condizioni, l'uditorio di giovani soldati debilitati e impreparati. Pensai subito che se io fossi stato in quella condizione, con i miei mezzi, avrei al massimo sbeffeggiato il potere che mi teneva coatto con qualche bel tramonto fotografico. Quale forza interna possedeva Messiaen per essere coerente con il suo mondo poetico e musicale. La fede cristiana, è possibile. O lo fece per sentirsi libero, come disse lui in seguito. Sì, ecco. Allora questa composizione è indicativa della possibile libertà d'espressione artistica anche nelle sventure che la vita molte volte costringe.
In Messiaen l'ispirazione iniziale, il Vangelo di Giovanni, sta sulla superficie del corpo dell'opera. La si può leggere nelle sue indicazioni poste a complemento dei titoli degli otto movimenti: un usignolo solitario improvvisa un canto, al piano dolci cascate di accordi blu-arancio, queste stelle improvvise: ecco lo scompiglio, ecco l'arcobaleno. Ma sono poco presenti e importanti quando si ascolta tutta l'opera. In evidenza la sua musica risulta un volteggio tra le tonalità più varie creando suggestioni continue, senza però spaccarsi in momenti non coerenti o dissonanti.
Così, perché non prendere il Quatuor pour la fin du temps come ispirazione per una serie di fotografie che mi consentano di esprimere il mio essere in libertà. Avevo già sperimentato i rapporti fotografia-video, fotografia-architettura, fotografia-scienza, fotografia-letteratura e poesia, fotografia-pittura astratta.
Di musica mi son ben nutrito tutta la vita, dal jazz alla musica classica e contemporanea.
Come Messiaen muove da quella superficie che teorizza la sua opera anch'io ho preso spunto dalle sue stesse indicazioni animistiche. Le ho tradotte prima nel mio linguaggio, che è semplice e materialista. Poi ho tenuto conto di indicazioni tecniche come la successione dei colori, il numero 7 espresso più volte, il canto velocissimo degli uccelli, la composizione non retrogradabile (che sarebbe simmetrica).
Da questa base, o superficie, si forma l'opera conclusa. Finita, come corpo concreto da appendere al muro, nel mio caso. Ma che non finisce al concludersi dell'ascolto del pezzo di Messiaen. Le opere concluse sono portatrici di teorizzazioni dell'autore ad uso degli spettatori-ascoltatori, che ne traggono linfa, pensiero, poesia, emozione, soddisfazione, empatia.
Ho accostato il mio materiale fotografico, tratto da piccole parti di realtà nel paesaggio, alla composizione di Messiaen. Piccole parti non rappresentative dell'universo ma descrittive dell'intenzione di esserci.
La foto finale, ingrandita e messa sul muro di una galleria, non è la conclusione della mia indagine su Messiaen. Essa è una tappa di un percorso mentale che continua ogni volta che ascolto il Quartetto. Potrei trovare altre immagini dal mio archivio, o produrne di nuove, per continuare gli accostamenti con quello che il Quartetto è stato.
In conclusione, non dovevo mica edificare una statua marmorea di Messiaen per commemorarlo sulla pubblica piazza. Ho tentato di trovare quella libertà che lui ha avuto, da prigioniero, di fare cose coerenti con la sua poetica. Comunque, la realtà del quotidiano, del paesaggio attorno, non prevale mai con il reale del nostro essere.
Mario Sillani Djerrahian
Mario Sillani Djerrahian vive sul Carso triestino. Fotografo, performer, videomaker, ha esposto in Italia e all'estero.
Insegnante di fotografia (Scuola Media, Istituto d’Arte, Università Popolare, Civico Museo Revoltella). Fondatore a Trieste del Centro Fotografico Gamma, dell’emittente Radioattività, delle Edizioni del Centro G, del Gruppo 78.
È stato presidente del Centro La Cappella Underground. Si è occupato di teatro (Teatro Sperimentale e Teatro Stabile di Trieste, Teatro Manzoni di Milano). Ha eseguito foto, film, performance, proiezioni per il Centro Arte Viva di Trieste. È stato “visiting lecturer” (nel ’76, ’78, ’86) al Polytechnic of Art di Sheffield, in Inghilterra.
Ha fatto una disamina del suo lavoro all’Università Cattolica di Milano (2001) e alla Ca’ Foscari di Venezia (2001, 2004, 2008). Nel 1989 ha ricevuto il Premio CRAF-Spilimbergo FVG Art& per l’attività di ricerca. Il suo lavoro è stato oggetto di tesi di laurea: Lorenzo Michelli, DAMS, Bologna 1992-93; Francesca Dolzani, Cà Foscari, Venezia 2001.
Nel 2003 il Museo d'Arte Moderna di Trieste gli ha organizzato un'importante mostra. Sempre a Trieste presso l’Alinari Image Museum rientra nella mostra collettiva Trieste - I fotografi - Oggi. Nel 2002 Ikona Gallery ha esposto il lavoro di Sillani presso i Magazzini del Sale a Venezia con la mostra Mario Sillani Djerrahian Verticale sul paesaggio.
IKONA GALLERY
Con alle spalle oltre trent’anni di attività, Ikona Photo Gallery viene fondata nel 1979 a Venezia, presso il ponte di San Moisè, dall’artista e gallerista Živa Kraus, che tutt’ora la dirige. Dal 1989 Ikona Venezia è anche Scuola Internazionale di Fotografia. Ha realizzato progetti in diverse altre sedi della città, sempre prestigiose, fino ad arrivare, nel 2003, a quella attuale, nel Campo del Ghetto Nuovo. Nelle sue sale ha visto passare, nel corso del tempo, i più grandi rappresentanti della fotografia mondiale, da Berenice Abbott, a Gabriele Basilico, Antonio e Felice Beato, John Batho, Alberto Bevilacqua, Bruce Davidson, Adolphe de Meyer, Robert Doisneau, Giorgia Fiorio, Franco Fontana, Martine Franck, Chuck Freedman, Gisèle Freund, Gianni Berengo Gardin, Mario Giacomelli, Erich Hartmann, William Klein, Helen Levitt, Lisette Model, Paolo Monti, Barbara Morgan, Carlo Naya, Helmut Newton, Ferdinando Scianna, Rosalind Solomon.
L'ascolto del Quatuor pour la fin du temps di Olivier Messiaen non può prescindere dal conoscere come e quando questo brano di musica cameristica sia stato scritto. Per caso sentii per la prima volta parte di quest'opera alla radio e la presentazione fatta mi lasciò turbato e interdetto. Nel 1940 il compositore era prigioniero di guerra in un campo di concentramento nazista. Fu per l'interesse di un ufficiale tedesco che a Messiaen fu concesso di scrivere e poi di eseguire il quartetto assieme ad altri tre prigionieri. Mi chiesi: come fu possibile che un brano di difficile scrittura e difficile ascolto fosse stato concepito in cattività?
Con la neve, la fame, gli strumenti in cattive condizioni, l'uditorio di giovani soldati debilitati e impreparati. Pensai subito che se io fossi stato in quella condizione, con i miei mezzi, avrei al massimo sbeffeggiato il potere che mi teneva coatto con qualche bel tramonto fotografico. Quale forza interna possedeva Messiaen per essere coerente con il suo mondo poetico e musicale. La fede cristiana, è possibile. O lo fece per sentirsi libero, come disse lui in seguito. Sì, ecco. Allora questa composizione è indicativa della possibile libertà d'espressione artistica anche nelle sventure che la vita molte volte costringe.
In Messiaen l'ispirazione iniziale, il Vangelo di Giovanni, sta sulla superficie del corpo dell'opera. La si può leggere nelle sue indicazioni poste a complemento dei titoli degli otto movimenti: un usignolo solitario improvvisa un canto, al piano dolci cascate di accordi blu-arancio, queste stelle improvvise: ecco lo scompiglio, ecco l'arcobaleno. Ma sono poco presenti e importanti quando si ascolta tutta l'opera. In evidenza la sua musica risulta un volteggio tra le tonalità più varie creando suggestioni continue, senza però spaccarsi in momenti non coerenti o dissonanti.
Così, perché non prendere il Quatuor pour la fin du temps come ispirazione per una serie di fotografie che mi consentano di esprimere il mio essere in libertà. Avevo già sperimentato i rapporti fotografia-video, fotografia-architettura, fotografia-scienza, fotografia-letteratura e poesia, fotografia-pittura astratta.
Di musica mi son ben nutrito tutta la vita, dal jazz alla musica classica e contemporanea.
Come Messiaen muove da quella superficie che teorizza la sua opera anch'io ho preso spunto dalle sue stesse indicazioni animistiche. Le ho tradotte prima nel mio linguaggio, che è semplice e materialista. Poi ho tenuto conto di indicazioni tecniche come la successione dei colori, il numero 7 espresso più volte, il canto velocissimo degli uccelli, la composizione non retrogradabile (che sarebbe simmetrica).
Da questa base, o superficie, si forma l'opera conclusa. Finita, come corpo concreto da appendere al muro, nel mio caso. Ma che non finisce al concludersi dell'ascolto del pezzo di Messiaen. Le opere concluse sono portatrici di teorizzazioni dell'autore ad uso degli spettatori-ascoltatori, che ne traggono linfa, pensiero, poesia, emozione, soddisfazione, empatia.
Ho accostato il mio materiale fotografico, tratto da piccole parti di realtà nel paesaggio, alla composizione di Messiaen. Piccole parti non rappresentative dell'universo ma descrittive dell'intenzione di esserci.
La foto finale, ingrandita e messa sul muro di una galleria, non è la conclusione della mia indagine su Messiaen. Essa è una tappa di un percorso mentale che continua ogni volta che ascolto il Quartetto. Potrei trovare altre immagini dal mio archivio, o produrne di nuove, per continuare gli accostamenti con quello che il Quartetto è stato.
In conclusione, non dovevo mica edificare una statua marmorea di Messiaen per commemorarlo sulla pubblica piazza. Ho tentato di trovare quella libertà che lui ha avuto, da prigioniero, di fare cose coerenti con la sua poetica. Comunque, la realtà del quotidiano, del paesaggio attorno, non prevale mai con il reale del nostro essere.
Mario Sillani Djerrahian
Mario Sillani Djerrahian vive sul Carso triestino. Fotografo, performer, videomaker, ha esposto in Italia e all'estero.
Insegnante di fotografia (Scuola Media, Istituto d’Arte, Università Popolare, Civico Museo Revoltella). Fondatore a Trieste del Centro Fotografico Gamma, dell’emittente Radioattività, delle Edizioni del Centro G, del Gruppo 78.
È stato presidente del Centro La Cappella Underground. Si è occupato di teatro (Teatro Sperimentale e Teatro Stabile di Trieste, Teatro Manzoni di Milano). Ha eseguito foto, film, performance, proiezioni per il Centro Arte Viva di Trieste. È stato “visiting lecturer” (nel ’76, ’78, ’86) al Polytechnic of Art di Sheffield, in Inghilterra.
Ha fatto una disamina del suo lavoro all’Università Cattolica di Milano (2001) e alla Ca’ Foscari di Venezia (2001, 2004, 2008). Nel 1989 ha ricevuto il Premio CRAF-Spilimbergo FVG Art& per l’attività di ricerca. Il suo lavoro è stato oggetto di tesi di laurea: Lorenzo Michelli, DAMS, Bologna 1992-93; Francesca Dolzani, Cà Foscari, Venezia 2001.
Nel 2003 il Museo d'Arte Moderna di Trieste gli ha organizzato un'importante mostra. Sempre a Trieste presso l’Alinari Image Museum rientra nella mostra collettiva Trieste - I fotografi - Oggi. Nel 2002 Ikona Gallery ha esposto il lavoro di Sillani presso i Magazzini del Sale a Venezia con la mostra Mario Sillani Djerrahian Verticale sul paesaggio.
IKONA GALLERY
Con alle spalle oltre trent’anni di attività, Ikona Photo Gallery viene fondata nel 1979 a Venezia, presso il ponte di San Moisè, dall’artista e gallerista Živa Kraus, che tutt’ora la dirige. Dal 1989 Ikona Venezia è anche Scuola Internazionale di Fotografia. Ha realizzato progetti in diverse altre sedi della città, sempre prestigiose, fino ad arrivare, nel 2003, a quella attuale, nel Campo del Ghetto Nuovo. Nelle sue sale ha visto passare, nel corso del tempo, i più grandi rappresentanti della fotografia mondiale, da Berenice Abbott, a Gabriele Basilico, Antonio e Felice Beato, John Batho, Alberto Bevilacqua, Bruce Davidson, Adolphe de Meyer, Robert Doisneau, Giorgia Fiorio, Franco Fontana, Martine Franck, Chuck Freedman, Gisèle Freund, Gianni Berengo Gardin, Mario Giacomelli, Erich Hartmann, William Klein, Helen Levitt, Lisette Model, Paolo Monti, Barbara Morgan, Carlo Naya, Helmut Newton, Ferdinando Scianna, Rosalind Solomon.
25
gennaio 2018
Mario Sillani Djerrahian – La fine del tempo
Dal 25 gennaio al 04 marzo 2018
fotografia
Location
IKONA GALLERY – INTERNATIONAL SCHOOL OF PHOTOGRAPHY
Venezia, Cannaregio, 2909, (Venezia)
Venezia, Cannaregio, 2909, (Venezia)
Orario di apertura
da venerdì 26 gennaio 2018 a domenica 4 marzo 2018
dalle ore 11.00 alle ore 19.00 – chiuso il sabato
Vernissage
25 Gennaio 2018, dalle 18.30 alle 20.30
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