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Mario Stoccuto – Sulle tracce di Dulcinea
Personale
Comunicato stampa
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Sulle tracce di Dulcinea, seguendo i passi dell’irrealtà.
“Così come si cammina, instancabili, su una riva – l’occhio fisso su quel che di turchese, al di là del mare, appena sotto il cielo, lì dove tutto pare fondersi, e dalla nebbia paiono stagliarsi, maestose, le città fantasma.
Come quando si segue un filo, e in quel senso pare connettersi tutto, tutto essere rappresentabile; e allora il fantastico appare vicino, diventa il colore che riempie le cose, il vento che le scuote e vivifica, la parola che rende ad esse l’anima.
Il fantastico diventa allora rifugio, la più tangibile certezza, il fortino di riscatto. E se, come diceva Nietzsche, “la realtà è interpretazione”, esso diventa, addirittura, un compito; il nostro, di tutti, forse il più intimo e risolutivo: quello di guardare la natura con propri occhi e, tramite essi, trarre idee, immagini, poesie.
L’opera di Mario Stoccuto è così leggibile come una trasfigurazione del reale. O come la più sincera delle realtà. “…Del fantastico sono certo, è sulla realtà, sul mondo, che ho molti dubbi”, dice l’artista. Ed è forse tale rifiuto di una visione diretta del reale, tale intensa aspirazione a una fertile utopia, ad aver scagliato l’artista verso il tanto fiducioso tuffo nell’illimitato immaginario, come nel celeste universo di lampi e guizzi che da esso si snoda, e che dal suo sogno egli getta sulle tele. E bisogna ammettere che questa qualità stupisce. Stupisce la mancanza di un’antitesi pesante, corporea, a un così impalpabile ma saettante impulso, primo slancio della creatività, la mancanza di una paura. Paura che il leggero sia troppo leggero, che finisca per esalare, per perdersi, nel vuoto e nella luce.
Ma nell’opera di Mario Stoccuto probabilmente qualcos’altro ha preso il posto della paura. Il funambolismo, l’arte di reggersi su un filo. Il bisogno di forma, di nome, di realtà e pesantezza, si è convertito in capacità di raccontare l’infinito attraverso una storia, una parabola, un viaggio, le cui tappe vengono, nei dipinti, narrate, alla maniera in cui Calvino esplorava le sue città invisibili.
E l’urgenza d’un altrove, come sembra potersi leggere nella relazione tra questo testo e l’attività del pittore, si esplica anche limpida nel riferimento a Don Chischotte, la cui guerra ai mulini a vento e il cui vitale e allucinato amore, rincorso come un sogno e cantato come un inno alla vita, ha sollecitato più volte la fantasia di grandi artisti figurativi, da Picasso al nostro Mimmo Paladino.
Così, lo spaccato proposto dai quindici lavori raccolti in quest’esposizione – ultimo passaggio d’un ormai consolidato percorso creativo – si caratterizza nelle sue note essenziali per la ricerca affannata d’un’area inedita, d’un inesplorato, vivace, terreno dell’arte, che pur rivela, nella vibrante dinamicità così come, talvolta, nella composizione, le influenze futuriste.
Emerge quindi l’uso d’un intenso e vorticoso luminismo, in cui il colore, vero, pulsante protagonista, appare quale elemento connettivo ed unificatore d’un insieme scomposto tra il paesaggio rigoroso delle composizioni urbanistiche, fissato nelle linee spezzate e regolari, e sovrapposte nei cumuli delle case strette, ed il libero dimenarsi delle forme circostanti, delle onde e degli sprazzi che, festosi, paiono donare all’opera sinuosi e ricalcati ritmi.
A volte, inoltre, Stoccuto pare abbandonare lo stile sostanzialmente figurativo che anima la maggioranza dei suoi lavori, per inoltrarsi lungo strade più vicine allo sperimentalismo dell’arte concettuale: è il caso, ad esempio, della pittoscultura Ingerenze femminili , ove il riferimento alla sessualità è rappresentato in forma leggera e arguta, a ulteriore testimonianza di una creatività intelligente, vitale, ottimista. O, ancora, della composizione su legno Vietato entrare ove il tema della reclusione, dello sbarramento, pare anch’esso affrontato in una forma ludica, colorata, attraverso la rappresentazione di una porta chiusa che richiama più un luna park che una vera prigione, più la leggerezza del gioco che il rigore d’un effettivo divieto.
Appare così che un regno di allegorie, di metafore, di allusioni, conviva e anzi si manifesti, in una danza di colori elettrici, fotografati nella loro incessante esultanza, così come nella corsa su di un filo, rincorrendo una musicalità che è vita, che è offrirsi, in un energico e costante omaggio al movimento, alla frenesia, alla rincorsa prima del tuffo, o volendo, del volo.”
“Così come si cammina, instancabili, su una riva – l’occhio fisso su quel che di turchese, al di là del mare, appena sotto il cielo, lì dove tutto pare fondersi, e dalla nebbia paiono stagliarsi, maestose, le città fantasma.
Come quando si segue un filo, e in quel senso pare connettersi tutto, tutto essere rappresentabile; e allora il fantastico appare vicino, diventa il colore che riempie le cose, il vento che le scuote e vivifica, la parola che rende ad esse l’anima.
Il fantastico diventa allora rifugio, la più tangibile certezza, il fortino di riscatto. E se, come diceva Nietzsche, “la realtà è interpretazione”, esso diventa, addirittura, un compito; il nostro, di tutti, forse il più intimo e risolutivo: quello di guardare la natura con propri occhi e, tramite essi, trarre idee, immagini, poesie.
L’opera di Mario Stoccuto è così leggibile come una trasfigurazione del reale. O come la più sincera delle realtà. “…Del fantastico sono certo, è sulla realtà, sul mondo, che ho molti dubbi”, dice l’artista. Ed è forse tale rifiuto di una visione diretta del reale, tale intensa aspirazione a una fertile utopia, ad aver scagliato l’artista verso il tanto fiducioso tuffo nell’illimitato immaginario, come nel celeste universo di lampi e guizzi che da esso si snoda, e che dal suo sogno egli getta sulle tele. E bisogna ammettere che questa qualità stupisce. Stupisce la mancanza di un’antitesi pesante, corporea, a un così impalpabile ma saettante impulso, primo slancio della creatività, la mancanza di una paura. Paura che il leggero sia troppo leggero, che finisca per esalare, per perdersi, nel vuoto e nella luce.
Ma nell’opera di Mario Stoccuto probabilmente qualcos’altro ha preso il posto della paura. Il funambolismo, l’arte di reggersi su un filo. Il bisogno di forma, di nome, di realtà e pesantezza, si è convertito in capacità di raccontare l’infinito attraverso una storia, una parabola, un viaggio, le cui tappe vengono, nei dipinti, narrate, alla maniera in cui Calvino esplorava le sue città invisibili.
E l’urgenza d’un altrove, come sembra potersi leggere nella relazione tra questo testo e l’attività del pittore, si esplica anche limpida nel riferimento a Don Chischotte, la cui guerra ai mulini a vento e il cui vitale e allucinato amore, rincorso come un sogno e cantato come un inno alla vita, ha sollecitato più volte la fantasia di grandi artisti figurativi, da Picasso al nostro Mimmo Paladino.
Così, lo spaccato proposto dai quindici lavori raccolti in quest’esposizione – ultimo passaggio d’un ormai consolidato percorso creativo – si caratterizza nelle sue note essenziali per la ricerca affannata d’un’area inedita, d’un inesplorato, vivace, terreno dell’arte, che pur rivela, nella vibrante dinamicità così come, talvolta, nella composizione, le influenze futuriste.
Emerge quindi l’uso d’un intenso e vorticoso luminismo, in cui il colore, vero, pulsante protagonista, appare quale elemento connettivo ed unificatore d’un insieme scomposto tra il paesaggio rigoroso delle composizioni urbanistiche, fissato nelle linee spezzate e regolari, e sovrapposte nei cumuli delle case strette, ed il libero dimenarsi delle forme circostanti, delle onde e degli sprazzi che, festosi, paiono donare all’opera sinuosi e ricalcati ritmi.
A volte, inoltre, Stoccuto pare abbandonare lo stile sostanzialmente figurativo che anima la maggioranza dei suoi lavori, per inoltrarsi lungo strade più vicine allo sperimentalismo dell’arte concettuale: è il caso, ad esempio, della pittoscultura Ingerenze femminili , ove il riferimento alla sessualità è rappresentato in forma leggera e arguta, a ulteriore testimonianza di una creatività intelligente, vitale, ottimista. O, ancora, della composizione su legno Vietato entrare ove il tema della reclusione, dello sbarramento, pare anch’esso affrontato in una forma ludica, colorata, attraverso la rappresentazione di una porta chiusa che richiama più un luna park che una vera prigione, più la leggerezza del gioco che il rigore d’un effettivo divieto.
Appare così che un regno di allegorie, di metafore, di allusioni, conviva e anzi si manifesti, in una danza di colori elettrici, fotografati nella loro incessante esultanza, così come nella corsa su di un filo, rincorrendo una musicalità che è vita, che è offrirsi, in un energico e costante omaggio al movimento, alla frenesia, alla rincorsa prima del tuffo, o volendo, del volo.”
13
aprile 2007
Mario Stoccuto – Sulle tracce di Dulcinea
Dal 13 aprile al 02 maggio 2007
arte contemporanea
Location
L’ATELIER
Napoli, Via Tito Angelini, 41, (Napoli)
Napoli, Via Tito Angelini, 41, (Napoli)
Orario di apertura
17,30–20 escluso festivi
Vernissage
13 Aprile 2007, ore 18
Autore
Curatore