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Mario Surbone – Incisi 1968 – 1978
L’esposizione raccoglie più di quaranta opere che dimostrano come Surbone abbia condotto una ricerca approfondita e articolata e di come sia stato capace di cogliere le istanze artistiche più innovative di quegli anni
Comunicato stampa
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Mercoledì 11 marzo 2009 alle ore 18 presso la sala espositiva del Collegio Cairoli di Pavia si inaugura la mostra dal titolo “Mario Surbone. Incisi 1968 – 1978” a cura di Fabrizio Parachini.
La mostra vuole presentare al pubblico, a circa due anni di distanza dalla grande antologica promossa dalla Regione Piemonte e tenutasi presso la Sala Bolaffi di Torino, la prima ricognizione completa dedicata esclusivamente al lavoro che l’artista torinese ha svolto tra il 1968 e il 1978.
Mario Surbone ha esordito come pittore nel 1958 alla “Mostra nazionale d’arte giovanile “ di Roma e ha realizzato la sua prima personale nel 1962 presso la Galleria il Canale di Venezia. Da esperienze nell’ambito della pittura di tipo “informale” è arrivato tra il 1967 e il 1968 a condurre una ricerca sugli elementi pittorici primari, studiando le possibilità della superficie piana di farsi volume grazie a specifici interventi operativi e a un’uso del colore misurato e in chiave espressiva. Sono nati così, nel decennio in questione, gli “Incisi”, opere realizzate con cartoni intagliati secondo strutture rigorosamente geometriche, monocromi e modulati in modo da creare un’apparenza tridimensionale fatta sia di concrete forme estroflesse che di luci e ombre.
L’esposizione raccoglie più di quaranta opere: non solo gli “incisi” veri e propri realizzati con tempera o pittura acrilica su cartone, ma anche numerosi disegni, schizzi preparatori, progetti e fotogrammi che dimostrano come Mario Surbone abbia condotto una ricerca approfondita e articolata non circoscritta alle sole opere più note, e di come sia stato capace di cogliere le istanze artistiche più innovative di quegli anni e di riflettervi e interpretarle in modo del tutto personale.
NOTE BIOGRAFICHE
Mario Surbone nasce a Treville Monferrato l’8 settembre 1932. La sua formazione artistica si compie prima al Liceo Artistico di Torino e poi all’Accademia Albertina dove è allievo di Felice Casorati. Esordisce nel 1958 alla “Mostra nazionale d’arte giovanile “ di Roma e, tra la fine del 1950 e gli inizi del 1960, trascorre un lungo e fruttuoso soggiorno di studi a Parigi. La sua prima mostra personale è allestita nel 1962 alla galleria Il Canale di Venezia. La sua ricerca, iniziata nel clima della pittura informale francese, in quegli anni tende a una definizione sempre più rarefatta e astratta dell’immagine fino a geometrizzare la figura, umana o oggettuale, con una forte riduzione a contorno. Dal 1968, dopo aver sperimentato l’uso di materiali diversi, passa a esplorare le possibilità espressive di superfici monocrome, di cartone o di metallo, “incise” e modulate seguendo strutture compositive di impianto rigorosamente geometrico. Conclusosi il ciclo degli “Incisi”, a partire dal 1978 procede a interventi pittorici su supporti sagomati sconvolgendo la logica ordinaria dello spazio e dando rilievo all’effetto sensibile del colore e della sua traccia sulla superficie non confinata nei limiti usuali del quadro. Le nuove opere nascono da una rinnovata relazione con la natura (che perdura tuttora) indagata, sia dal punto di vista formale che da quello simbolico e significante, attraverso un’analisi decostruttiva e ricostruttiva dell’immagine figurale.
La critica è sempre stata molto attenta al lavoro di Mario Surbone. L’artista è stato coinvolto in numerose e importanti collettive in Italia e all’estero e testi, articoli e recensioni di autorevoli critici e storici dell’arte ne hanno accompagnato la carriera dall’inizio, cogliendo e comunicando puntualmente gli elementi denotativi fondamentali delle sue opere e della sua poetica.
E’ del 1996 la monografia di Francesco De Bartolomeis, Mario Surbone (edizione d’arte Fratelli Pozzo, Torino), che delinea criticamente l’itinerario dell’artista dagli anni della formazione alla piena maturità. Nel 2007 la Provincia di Torino ha organizzato, presso la Sala Bolaffi del capoluogo, un’importante mostra antologica corredata da un’esaustivo catalogo sempre a cura di Francesco De Bartolomeis.
Mario Surbone vive e lavora a Torino e a Treville Monferrato (Alessandria)
dal testo in catalogo “LA METAMORFOSI DELLA SUPERFICIE PIANA”,
di Fabrizio Parachini
All’interno della pluridecennale produzione artistica di Mario Surbone le opere eseguite tra il 1967 e il 1978, e da lui stesso denominate “Incisi”, formano un corpus dalle caratteristiche ben definite, risultato di una ricerca specifica che è stata capace di generare soluzioni creative estremamente lucide e coerenti ma anche molto differenziate tra di loro.
Propriamente il termine a cui ci riferiamo è stato concepito dall’artista per definire quei lavori realizzati con cartoni dipinti a tempera o pittura acrilica, prevalentemente monocromi, ma anche bicromi, incisi seguendo traiettorie geometriche ben determinate e dalla superficie modulata grazie ad aggetti di misura diversa ottenuti con una leggera estroflessione dei lembi lasciati liberi dal taglio. Si tratta di un numero rilevante di opere, circa sei-settecento, accompagnate da un grande quantità di schizzi, disegni progettuali, disegni compiuti, incisioni a rilievo e fotogrammi, presentate ampiamente nelle più importanti mostre sia di carattere nazionale che internazionale di quegli anni.
(…)
Gli incisi si presentano all’osservatore come una visione diretta e essenziale. Si costituiscono come opere non-oggettive capaci di occupare uno spazio tridimensionale mediante un volume appena accennato ma intensamente evocato. La monocromia partecipa della loro discreta presenza ma, contemporaneamente, ne accentua la solidità e la purezza escludendo la necessità di ulteriori interventi cromatici non preordinati.
(…)
Gli “incisi” sono indubbiamente il risultato di una sintesi riuscita tra spinte (e necessità) analitiche e pulsioni espressive anche molto distanti tra loro. Attraverso queste opere Mario Surbone ha stabilito relazioni costruttive tra importanti tematiche spesso esperite individualmente e separatamente in altri ambiti artistici. Si è interrogato sullo spazio bidimensionale saggiandone la disposizione a farsi tridimensione e stando ben attento però, che questa possibile metamorfosi non ne tradisse l’essenza e la vera natura piana: l’idea è quella di un volume inteso non come entità primariamente occupante spazio ma come potenzialità e vocazione della superficie, che, grazie a questa sua apertura, diventa il terreno privilegiato di scambio tra l’opera e il contesto in cui viene collocata.
L’artista ha escluso dal suo lavoro i mimetismi della figura e quelli di una facile illusività ottico-geometrica consegnando all’osservatore un’immagine da cogliere esclusivamente per quella che è nella sua pura e semplice apparenza. Il colore sostiene questa scelta nell’uso dichiarativo che ne è stato fatto (la monocromia in quanto tale) ma svolge anche un ruolo funzionale in quanto si pone come “il colore dell’opera”. Dichiarative sono anche le operazioni di incisione in quanto mantengono l’espressività del gesto praticato manualmente sul cartone, e funzionali perché sono controllate da una struttura progettuale, forse intesa come ordine naturale condivisibile, che le guida in “funzione” di un risultato finale da perseguire. L’artista si è dato regole per individuare i modi e i tempi di un esercizio operativo ma non un metodo costrittivo per interpretarle, e lo ha fatto mantenendo una libertà che trova la sua ragione di essere nel confronto con quella libertà “normata” racchiusa nella relazione luce-colore-oggetto, sempre indagata e interpretata come importante ponte tra lo spettatore e l’opera. La centralità del pensiero e della riflessione mi sembra l’ultimo aspetto da sottolineare. Sono le due entità che evidentemente, dopo tutte le considerazioni fatte, sostengono l’esistenza degli incisi e ne determinano la tensione alla trasformazione in quella visione “alta su tutto” auspicata da Malevic, essenza, voluta o negata, di buona parte dell’arte non-oggettiva.
Nel 1977, 1978 e 1979 Mario Surbone non ha tenuto mostre personali e non ha partecipato a rassegne collettive a eccezione della XXII edizione del “Premio Termoli”. Questo triennio è stato per lui un periodo di profonda riflessione suscitata dalla consapevolezza di aver concluso l’esperienza degli “Incisi” o meglio di non averla più potuta vivere come situazione primaria e germinale. Ma la concezione della spazialità raggiunta con quelle opere non è stata ne persa ne tralasciata, anzi, è confluita ancora una volta in qualcosa di diverso: nell’idea di poter uscire dai confini, in un qualche modo obbligati, del quadro questa volta dai margini perimetrali e non più dalla superficie frontale. Idea concretizzata, qualche anno più tardi, nelle nuove tavole sagomate i cui lati seguono il disegno di forme biomorfe riflesso, probabilmente, della necessità di una nuova relazione con il mondo della natura da interpretare sempre con l’aiuto di una geometria distratta, questa volta materialmente e non solo concettualmente.
La mostra vuole presentare al pubblico, a circa due anni di distanza dalla grande antologica promossa dalla Regione Piemonte e tenutasi presso la Sala Bolaffi di Torino, la prima ricognizione completa dedicata esclusivamente al lavoro che l’artista torinese ha svolto tra il 1968 e il 1978.
Mario Surbone ha esordito come pittore nel 1958 alla “Mostra nazionale d’arte giovanile “ di Roma e ha realizzato la sua prima personale nel 1962 presso la Galleria il Canale di Venezia. Da esperienze nell’ambito della pittura di tipo “informale” è arrivato tra il 1967 e il 1968 a condurre una ricerca sugli elementi pittorici primari, studiando le possibilità della superficie piana di farsi volume grazie a specifici interventi operativi e a un’uso del colore misurato e in chiave espressiva. Sono nati così, nel decennio in questione, gli “Incisi”, opere realizzate con cartoni intagliati secondo strutture rigorosamente geometriche, monocromi e modulati in modo da creare un’apparenza tridimensionale fatta sia di concrete forme estroflesse che di luci e ombre.
L’esposizione raccoglie più di quaranta opere: non solo gli “incisi” veri e propri realizzati con tempera o pittura acrilica su cartone, ma anche numerosi disegni, schizzi preparatori, progetti e fotogrammi che dimostrano come Mario Surbone abbia condotto una ricerca approfondita e articolata non circoscritta alle sole opere più note, e di come sia stato capace di cogliere le istanze artistiche più innovative di quegli anni e di riflettervi e interpretarle in modo del tutto personale.
NOTE BIOGRAFICHE
Mario Surbone nasce a Treville Monferrato l’8 settembre 1932. La sua formazione artistica si compie prima al Liceo Artistico di Torino e poi all’Accademia Albertina dove è allievo di Felice Casorati. Esordisce nel 1958 alla “Mostra nazionale d’arte giovanile “ di Roma e, tra la fine del 1950 e gli inizi del 1960, trascorre un lungo e fruttuoso soggiorno di studi a Parigi. La sua prima mostra personale è allestita nel 1962 alla galleria Il Canale di Venezia. La sua ricerca, iniziata nel clima della pittura informale francese, in quegli anni tende a una definizione sempre più rarefatta e astratta dell’immagine fino a geometrizzare la figura, umana o oggettuale, con una forte riduzione a contorno. Dal 1968, dopo aver sperimentato l’uso di materiali diversi, passa a esplorare le possibilità espressive di superfici monocrome, di cartone o di metallo, “incise” e modulate seguendo strutture compositive di impianto rigorosamente geometrico. Conclusosi il ciclo degli “Incisi”, a partire dal 1978 procede a interventi pittorici su supporti sagomati sconvolgendo la logica ordinaria dello spazio e dando rilievo all’effetto sensibile del colore e della sua traccia sulla superficie non confinata nei limiti usuali del quadro. Le nuove opere nascono da una rinnovata relazione con la natura (che perdura tuttora) indagata, sia dal punto di vista formale che da quello simbolico e significante, attraverso un’analisi decostruttiva e ricostruttiva dell’immagine figurale.
La critica è sempre stata molto attenta al lavoro di Mario Surbone. L’artista è stato coinvolto in numerose e importanti collettive in Italia e all’estero e testi, articoli e recensioni di autorevoli critici e storici dell’arte ne hanno accompagnato la carriera dall’inizio, cogliendo e comunicando puntualmente gli elementi denotativi fondamentali delle sue opere e della sua poetica.
E’ del 1996 la monografia di Francesco De Bartolomeis, Mario Surbone (edizione d’arte Fratelli Pozzo, Torino), che delinea criticamente l’itinerario dell’artista dagli anni della formazione alla piena maturità. Nel 2007 la Provincia di Torino ha organizzato, presso la Sala Bolaffi del capoluogo, un’importante mostra antologica corredata da un’esaustivo catalogo sempre a cura di Francesco De Bartolomeis.
Mario Surbone vive e lavora a Torino e a Treville Monferrato (Alessandria)
dal testo in catalogo “LA METAMORFOSI DELLA SUPERFICIE PIANA”,
di Fabrizio Parachini
All’interno della pluridecennale produzione artistica di Mario Surbone le opere eseguite tra il 1967 e il 1978, e da lui stesso denominate “Incisi”, formano un corpus dalle caratteristiche ben definite, risultato di una ricerca specifica che è stata capace di generare soluzioni creative estremamente lucide e coerenti ma anche molto differenziate tra di loro.
Propriamente il termine a cui ci riferiamo è stato concepito dall’artista per definire quei lavori realizzati con cartoni dipinti a tempera o pittura acrilica, prevalentemente monocromi, ma anche bicromi, incisi seguendo traiettorie geometriche ben determinate e dalla superficie modulata grazie ad aggetti di misura diversa ottenuti con una leggera estroflessione dei lembi lasciati liberi dal taglio. Si tratta di un numero rilevante di opere, circa sei-settecento, accompagnate da un grande quantità di schizzi, disegni progettuali, disegni compiuti, incisioni a rilievo e fotogrammi, presentate ampiamente nelle più importanti mostre sia di carattere nazionale che internazionale di quegli anni.
(…)
Gli incisi si presentano all’osservatore come una visione diretta e essenziale. Si costituiscono come opere non-oggettive capaci di occupare uno spazio tridimensionale mediante un volume appena accennato ma intensamente evocato. La monocromia partecipa della loro discreta presenza ma, contemporaneamente, ne accentua la solidità e la purezza escludendo la necessità di ulteriori interventi cromatici non preordinati.
(…)
Gli “incisi” sono indubbiamente il risultato di una sintesi riuscita tra spinte (e necessità) analitiche e pulsioni espressive anche molto distanti tra loro. Attraverso queste opere Mario Surbone ha stabilito relazioni costruttive tra importanti tematiche spesso esperite individualmente e separatamente in altri ambiti artistici. Si è interrogato sullo spazio bidimensionale saggiandone la disposizione a farsi tridimensione e stando ben attento però, che questa possibile metamorfosi non ne tradisse l’essenza e la vera natura piana: l’idea è quella di un volume inteso non come entità primariamente occupante spazio ma come potenzialità e vocazione della superficie, che, grazie a questa sua apertura, diventa il terreno privilegiato di scambio tra l’opera e il contesto in cui viene collocata.
L’artista ha escluso dal suo lavoro i mimetismi della figura e quelli di una facile illusività ottico-geometrica consegnando all’osservatore un’immagine da cogliere esclusivamente per quella che è nella sua pura e semplice apparenza. Il colore sostiene questa scelta nell’uso dichiarativo che ne è stato fatto (la monocromia in quanto tale) ma svolge anche un ruolo funzionale in quanto si pone come “il colore dell’opera”. Dichiarative sono anche le operazioni di incisione in quanto mantengono l’espressività del gesto praticato manualmente sul cartone, e funzionali perché sono controllate da una struttura progettuale, forse intesa come ordine naturale condivisibile, che le guida in “funzione” di un risultato finale da perseguire. L’artista si è dato regole per individuare i modi e i tempi di un esercizio operativo ma non un metodo costrittivo per interpretarle, e lo ha fatto mantenendo una libertà che trova la sua ragione di essere nel confronto con quella libertà “normata” racchiusa nella relazione luce-colore-oggetto, sempre indagata e interpretata come importante ponte tra lo spettatore e l’opera. La centralità del pensiero e della riflessione mi sembra l’ultimo aspetto da sottolineare. Sono le due entità che evidentemente, dopo tutte le considerazioni fatte, sostengono l’esistenza degli incisi e ne determinano la tensione alla trasformazione in quella visione “alta su tutto” auspicata da Malevic, essenza, voluta o negata, di buona parte dell’arte non-oggettiva.
Nel 1977, 1978 e 1979 Mario Surbone non ha tenuto mostre personali e non ha partecipato a rassegne collettive a eccezione della XXII edizione del “Premio Termoli”. Questo triennio è stato per lui un periodo di profonda riflessione suscitata dalla consapevolezza di aver concluso l’esperienza degli “Incisi” o meglio di non averla più potuta vivere come situazione primaria e germinale. Ma la concezione della spazialità raggiunta con quelle opere non è stata ne persa ne tralasciata, anzi, è confluita ancora una volta in qualcosa di diverso: nell’idea di poter uscire dai confini, in un qualche modo obbligati, del quadro questa volta dai margini perimetrali e non più dalla superficie frontale. Idea concretizzata, qualche anno più tardi, nelle nuove tavole sagomate i cui lati seguono il disegno di forme biomorfe riflesso, probabilmente, della necessità di una nuova relazione con il mondo della natura da interpretare sempre con l’aiuto di una geometria distratta, questa volta materialmente e non solo concettualmente.
11
marzo 2009
Mario Surbone – Incisi 1968 – 1978
Dall'undici al 28 marzo 2009
arte contemporanea
disegno e grafica
disegno e grafica
Location
COLLEGIO FRATELLI CAIROLI
Pavia, Piazza Collegio Cairoli, 3, (Pavia)
Pavia, Piazza Collegio Cairoli, 3, (Pavia)
Orario di apertura
17–19.30, esclusi i festivi
Vernissage
11 Marzo 2009, ore 18
Autore
Curatore