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Mario Verolini
Mostra di acquerelli nella sala Cola dell’Amatrice
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Avrete sentito parlare di ricerca in campo artistico.
Ora questa parola non ha bisogno di molte chiarificazioni: ricercare significa andare a trovare,
procurarsi ciò che manca, ciò di cui si ha bisogno.
La particolarità dell’uso di questo termine in campo artistico è evidente a tutti.
Se nel supermercato si ricerca la marca di un prodotto che preesiste, che c’è già, in arte la ricerca
riguarda qualcosa che ancora non ha esistenza e che viene, per così dire creato ma sarebbe più
giusto dire prodotto.
E’ per questa considerazione che l’arte moderna e poi la contemporanea hanno adottato l’uso
sistematico di questo termine per distinguersi dalle epoche precedenti, mettendo in evidenza un
divenire dell’arte che all’arte in realtà è sempre appartenuto.
Questo divenire , prima con le avanguardie storiche dell’inizio del Novecento è stato violentemente
esibito, poi di seguito è stato perseguito con costante determinazione dai movimenti del secondo
Novecento, facendo così in entrambi i casi del termine ricerca il proprio connotato giustificativo
anche di una fuoriuscita da quello che per solito veniva considerato lo specifico dell’arte: la
distinzione delle arti figurative in pittura, scultura, architettura.
Nuove tecniche si sono affiancate a quelle tradizionali, dalla fotografia al video, nuove forme
artistiche si sono affermate: la performance, gli allestimenti ecc.
Tutto ciò in nome del termine “ricerca”.
Ora, io non credo affatto che queste estensioni del campo artistico si possano giustificare col fatto
che nei campi cosiddetti tradizionali tutto è stato già fatto come, senza nessun acume, ci viene detto
talvolta perfino dagli stessi artisti.
Se così fosse, questi acquerelli non sarebbero esistiti, non ci sarebbe stato il bisogno in me, artista,
di produrli.
Sto sostenendo che questi acquerelli sono il prodotto di una ricerca.
Perché la ricerca nel campo della pittura, si voglia o no, prosegue e chi se ne vuole accorgere se ne
accorge e chi vuole negarla la nega, negando così l’evidenza.
Quando mi chiedono che tipo di pittura faccio se rispondo paesaggi, figure,so bene che deludo chi
mi sta di fronte ma io lo faccio quasi apposta, perché vorrei mettere a dura prova chi pensa, sentito
ciò che ho appena detto, d’avermi superato intellettualmente, abbandonandomi al mio destino di
sopravvissuto. Opere come queste che vi propongo stasera sono testimonianza del fatto che non è
vero che tutto è stato già fatto in pittura.
La loro novità non è dirompente, non è evidente e allora mi chiederete quale sia.
Essa non può che risiedere nel “come” l’acquerello è stato fatto e non nel “che”, in ciò che esso fa
vedere, stante che in esso il riferimento al visibile naturale persiste.
E’ la sfida lanciata dalla pittura a questo riferimento naturale la novità di questi acquerelli.
La stesura di colore che produce l’immagine si confronta col rischio di perdere la natura e proprio
questo sottile crinale è il possibile fascino di queste immagini ed è l’elemento di ricerca, di rischio
che la pittura, l’arte del dipingere qui supera e vince.
Ecco perché li ritengo importanti e non solo nella mia storia. Non vanno verso l’informale perché
semmai dall’informale provengono, come tutta la mia pittura ma il profumo della natura in essi
persiste e determina l’immagine che, a questo punto, definire paesaggio risulta un po’ restrittivo.
Ed è qui che scatta il ricordo di Leopardi:
“…interminati / spazi ….e sovrumani/ silenzi…” ,
può sembrare esagerato.
Non lo è.
Su questi fogli di carta il pittore ha vissuto esperienze culminate nel silenzio.
Un grande architetto americano del Novecento, Louis Kahn ha passato la vita a cercare di realizzare opere che esaltassero il silenzio.
Quando tutto tace, l’altro in noi si rivela.
“E mi sovvien l’eterno…”
Mario Verolini
Ora questa parola non ha bisogno di molte chiarificazioni: ricercare significa andare a trovare,
procurarsi ciò che manca, ciò di cui si ha bisogno.
La particolarità dell’uso di questo termine in campo artistico è evidente a tutti.
Se nel supermercato si ricerca la marca di un prodotto che preesiste, che c’è già, in arte la ricerca
riguarda qualcosa che ancora non ha esistenza e che viene, per così dire creato ma sarebbe più
giusto dire prodotto.
E’ per questa considerazione che l’arte moderna e poi la contemporanea hanno adottato l’uso
sistematico di questo termine per distinguersi dalle epoche precedenti, mettendo in evidenza un
divenire dell’arte che all’arte in realtà è sempre appartenuto.
Questo divenire , prima con le avanguardie storiche dell’inizio del Novecento è stato violentemente
esibito, poi di seguito è stato perseguito con costante determinazione dai movimenti del secondo
Novecento, facendo così in entrambi i casi del termine ricerca il proprio connotato giustificativo
anche di una fuoriuscita da quello che per solito veniva considerato lo specifico dell’arte: la
distinzione delle arti figurative in pittura, scultura, architettura.
Nuove tecniche si sono affiancate a quelle tradizionali, dalla fotografia al video, nuove forme
artistiche si sono affermate: la performance, gli allestimenti ecc.
Tutto ciò in nome del termine “ricerca”.
Ora, io non credo affatto che queste estensioni del campo artistico si possano giustificare col fatto
che nei campi cosiddetti tradizionali tutto è stato già fatto come, senza nessun acume, ci viene detto
talvolta perfino dagli stessi artisti.
Se così fosse, questi acquerelli non sarebbero esistiti, non ci sarebbe stato il bisogno in me, artista,
di produrli.
Sto sostenendo che questi acquerelli sono il prodotto di una ricerca.
Perché la ricerca nel campo della pittura, si voglia o no, prosegue e chi se ne vuole accorgere se ne
accorge e chi vuole negarla la nega, negando così l’evidenza.
Quando mi chiedono che tipo di pittura faccio se rispondo paesaggi, figure,so bene che deludo chi
mi sta di fronte ma io lo faccio quasi apposta, perché vorrei mettere a dura prova chi pensa, sentito
ciò che ho appena detto, d’avermi superato intellettualmente, abbandonandomi al mio destino di
sopravvissuto. Opere come queste che vi propongo stasera sono testimonianza del fatto che non è
vero che tutto è stato già fatto in pittura.
La loro novità non è dirompente, non è evidente e allora mi chiederete quale sia.
Essa non può che risiedere nel “come” l’acquerello è stato fatto e non nel “che”, in ciò che esso fa
vedere, stante che in esso il riferimento al visibile naturale persiste.
E’ la sfida lanciata dalla pittura a questo riferimento naturale la novità di questi acquerelli.
La stesura di colore che produce l’immagine si confronta col rischio di perdere la natura e proprio
questo sottile crinale è il possibile fascino di queste immagini ed è l’elemento di ricerca, di rischio
che la pittura, l’arte del dipingere qui supera e vince.
Ecco perché li ritengo importanti e non solo nella mia storia. Non vanno verso l’informale perché
semmai dall’informale provengono, come tutta la mia pittura ma il profumo della natura in essi
persiste e determina l’immagine che, a questo punto, definire paesaggio risulta un po’ restrittivo.
Ed è qui che scatta il ricordo di Leopardi:
“…interminati / spazi ….e sovrumani/ silenzi…” ,
può sembrare esagerato.
Non lo è.
Su questi fogli di carta il pittore ha vissuto esperienze culminate nel silenzio.
Un grande architetto americano del Novecento, Louis Kahn ha passato la vita a cercare di realizzare opere che esaltassero il silenzio.
Quando tutto tace, l’altro in noi si rivela.
“E mi sovvien l’eterno…”
Mario Verolini
03
marzo 2013
Mario Verolini
Dal 03 marzo al 07 aprile 2013
arte contemporanea
Location
PINACOTECA CIVICA
Ascoli Piceno, piazza Arringo, 7, (Ascoli Piceno)
Ascoli Piceno, piazza Arringo, 7, (Ascoli Piceno)
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