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Marthe Keller – Corso Ricorso
Corso/Ricorso è il titolo della mostra personale che l’artista newyorkese Marthe Keller inaugura domenica 1 giugno 2008 , in contemporanea, allo Studio Fontaine e alla Galleria Miralli di Viterbo. Sono allestiti gruppi di dipinti su tela, plastica e gomma.
Comunicato stampa
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Corso/Ricorso
Elisabetta Longari a proposito delle recenti pitture di Marthe Keller.
Il titolo della mostra è apertamente vichiano , ma non ne parleremo subito. Non per contraddire, e rifiutarci di seguire le indicazione fornite dall’autrice che, attraverso i titoli dei quadri, propone di affrontare la lettura delle sue pitture recenti in relazione a Finnegans Wake di Joyce, ma semplicemente, prima ancora di compiere quelle doverose osservazioni, mi preme mettere a fuoco un’idea che si presenta, oscura e con forte insistenza, ogni volta che guardo in questi anni il lavoro di Marthe Keller. Nei suoi dipinti percepisco la presenza di un legame con una pellicola cinematografica di Peter Greenaway dal titolo Vertical Features Remake (1978); e ciò accade non solo perché è facile riconoscere una comune vocazione a “registrare” gli elementi verticali e a comporli in una sorta di catalogo, ma è soprattutto in seguito all’individuazione di un meccanismo profondo su cui si basano le operazioni di entrambi gli autori, riassumibile in una particolare attenzione fenomenologica alla concretezza (e alla convenzionalità) del linguaggio e alla sua declinazione. Vedo un’unica appariscente differenza, com’è ovvio che sia: i segni che il regista inglese preleva, colleziona e organizza in vari modi nel suo film sono presi da spezzoni di pellicole girate alla ricerca di elementi verticali nella natura, nel paesaggio, mentre i segni lasciati da Marthe, su una grande varietà di supporti e con diverse tecniche, che prevedono l’uso del pennello come quello dell’impronta, appartengono soltanto alla pittura, e derivano dal suo proprio habitat : l’atelier. Da quella sorta di deposito/wunderkammer che è generalmente lo studio dei pittori, e cui non fa eccezione il caso di Marthe, passano a essere appesi in verticale a parete, entrando a pieno titolo e spesso con il ruolo di protagonisti delle opere, componenti che potrebbero essere comodamente etichettabili come detriti, in quanto consistono sia in scarti di altri lavori, sia in materiali che, dopo essere magari rimasti per un certo periodo come addormentati in disparte, improvvisamente, quasi per “miracolo”, sono apparsi come elementi attivi, pronti per collaborare alla nascita di un’opera.
Il corpo del linguaggio, la processualità, il tempo, il ritmo, la struttura liberata, che non soggiace a un ordine ferreo di matrice geometrica, e il caso (caos) controllato sono punti nevralgici della pittura di Marthe Keller. Ognuno di questi nodi richiederebbe di essere affrontato con ben altro respiro che non quello possibile qui, dove invece si deve provare a dire in breve.
Veniamo quindi al riferimento joyciano, a Finnegans Wake. Se il titolo è una sorta di “colore mentale”, come sosteneva a ragione Duchamp, che “vernice”, che lente, che velo interpone fra le opere e la nostra percezione di esse il riferimento all’ultimo complesso libro di Joyce?
Prima di tutto probabilmente indica la dedizione alla forma infinita del Work in Progress, e quindi funziona apertamente come un ulteriore rafforzativo nella direzione che obbliga a considerare la pittura di Marthe come frutto di un’operazione condotta sul piano squisitamente linguistico. Forse suggerisce anche che il flusso , la ciclicità vichiana, confermata anche dal titolo dell’esposizione, e il sincretismo di una pluralità di significati partecipano ampiamente al banchetto.
Perché, per parlare d’arte, ho usato un termine che, come banchetto, riporta immediatamente al cibo? È presto detto: poiché è evidente che non si può tacere della componente sensuale del corpo di questa pittura, che, attraverso un gioco ambiguo tra occultamento e rivelazione, manifesta la sua perturbante natura, in bilico tra affermazione e cancellazione, regola ed emozione.
Fioriscono qua e là sulle superfici lacune, macchie e muffe a intaccare l’integrità “ideale” del risultato pittorico: quella che abbiamo sotto gli occhi è una pittura profondamente “imperfetta”, umana, troppo umana, per dirlo con Nietzsche; fortemente compromessa e implicata con la vita, nonostante non racconti direttamente aneddoti, fatti, storie. Essa intrattiene piuttosto con l’occhio una specie di lezione di morfologia del linguaggio, calato appunto nella sua realtà fattiva, applicativa, nella sua pluralità/singolarità, nella sua relatività smagliante, nella sua vitalità “caso per caso”. L’opera di Marthe costituisce una sorta di manuale delle possibilità del linguaggio pittorico, un catalogo di proposte mai definitive, raggiunte a partire da una premessa implicita, la cui formulazione approssimativa potrebbe suonare come “essendo dati: la linea, la superficie e la mano, il corpo, lo spazio reale di chi dipinge”, come elementi basilari, scarni ed equidistanti da ogni riferimento naturalistico come da ogni algida proposizione.
Milano, 24 maggio 2008
Elisabetta Longari a proposito delle recenti pitture di Marthe Keller.
Il titolo della mostra è apertamente vichiano , ma non ne parleremo subito. Non per contraddire, e rifiutarci di seguire le indicazione fornite dall’autrice che, attraverso i titoli dei quadri, propone di affrontare la lettura delle sue pitture recenti in relazione a Finnegans Wake di Joyce, ma semplicemente, prima ancora di compiere quelle doverose osservazioni, mi preme mettere a fuoco un’idea che si presenta, oscura e con forte insistenza, ogni volta che guardo in questi anni il lavoro di Marthe Keller. Nei suoi dipinti percepisco la presenza di un legame con una pellicola cinematografica di Peter Greenaway dal titolo Vertical Features Remake (1978); e ciò accade non solo perché è facile riconoscere una comune vocazione a “registrare” gli elementi verticali e a comporli in una sorta di catalogo, ma è soprattutto in seguito all’individuazione di un meccanismo profondo su cui si basano le operazioni di entrambi gli autori, riassumibile in una particolare attenzione fenomenologica alla concretezza (e alla convenzionalità) del linguaggio e alla sua declinazione. Vedo un’unica appariscente differenza, com’è ovvio che sia: i segni che il regista inglese preleva, colleziona e organizza in vari modi nel suo film sono presi da spezzoni di pellicole girate alla ricerca di elementi verticali nella natura, nel paesaggio, mentre i segni lasciati da Marthe, su una grande varietà di supporti e con diverse tecniche, che prevedono l’uso del pennello come quello dell’impronta, appartengono soltanto alla pittura, e derivano dal suo proprio habitat : l’atelier. Da quella sorta di deposito/wunderkammer che è generalmente lo studio dei pittori, e cui non fa eccezione il caso di Marthe, passano a essere appesi in verticale a parete, entrando a pieno titolo e spesso con il ruolo di protagonisti delle opere, componenti che potrebbero essere comodamente etichettabili come detriti, in quanto consistono sia in scarti di altri lavori, sia in materiali che, dopo essere magari rimasti per un certo periodo come addormentati in disparte, improvvisamente, quasi per “miracolo”, sono apparsi come elementi attivi, pronti per collaborare alla nascita di un’opera.
Il corpo del linguaggio, la processualità, il tempo, il ritmo, la struttura liberata, che non soggiace a un ordine ferreo di matrice geometrica, e il caso (caos) controllato sono punti nevralgici della pittura di Marthe Keller. Ognuno di questi nodi richiederebbe di essere affrontato con ben altro respiro che non quello possibile qui, dove invece si deve provare a dire in breve.
Veniamo quindi al riferimento joyciano, a Finnegans Wake. Se il titolo è una sorta di “colore mentale”, come sosteneva a ragione Duchamp, che “vernice”, che lente, che velo interpone fra le opere e la nostra percezione di esse il riferimento all’ultimo complesso libro di Joyce?
Prima di tutto probabilmente indica la dedizione alla forma infinita del Work in Progress, e quindi funziona apertamente come un ulteriore rafforzativo nella direzione che obbliga a considerare la pittura di Marthe come frutto di un’operazione condotta sul piano squisitamente linguistico. Forse suggerisce anche che il flusso , la ciclicità vichiana, confermata anche dal titolo dell’esposizione, e il sincretismo di una pluralità di significati partecipano ampiamente al banchetto.
Perché, per parlare d’arte, ho usato un termine che, come banchetto, riporta immediatamente al cibo? È presto detto: poiché è evidente che non si può tacere della componente sensuale del corpo di questa pittura, che, attraverso un gioco ambiguo tra occultamento e rivelazione, manifesta la sua perturbante natura, in bilico tra affermazione e cancellazione, regola ed emozione.
Fioriscono qua e là sulle superfici lacune, macchie e muffe a intaccare l’integrità “ideale” del risultato pittorico: quella che abbiamo sotto gli occhi è una pittura profondamente “imperfetta”, umana, troppo umana, per dirlo con Nietzsche; fortemente compromessa e implicata con la vita, nonostante non racconti direttamente aneddoti, fatti, storie. Essa intrattiene piuttosto con l’occhio una specie di lezione di morfologia del linguaggio, calato appunto nella sua realtà fattiva, applicativa, nella sua pluralità/singolarità, nella sua relatività smagliante, nella sua vitalità “caso per caso”. L’opera di Marthe costituisce una sorta di manuale delle possibilità del linguaggio pittorico, un catalogo di proposte mai definitive, raggiunte a partire da una premessa implicita, la cui formulazione approssimativa potrebbe suonare come “essendo dati: la linea, la superficie e la mano, il corpo, lo spazio reale di chi dipinge”, come elementi basilari, scarni ed equidistanti da ogni riferimento naturalistico come da ogni algida proposizione.
Milano, 24 maggio 2008
01
giugno 2008
Marthe Keller – Corso Ricorso
Dal primo al 30 giugno 2008
arte contemporanea
Location
STUDIO FONTAINE
Viterbo, Via Cardinale La Fontaine, 98/A, (Viterbo)
Viterbo, Via Cardinale La Fontaine, 98/A, (Viterbo)
Orario di apertura
dal mercoledì alla domenica ore 17-20
Vernissage
1 Giugno 2008, ore 11
Autore
Curatore