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Martina Brugnara – Alloggiamenti
Terza personale della giovanissima artista che nell’ultimo anno è stata osservata con interesse da alcune prestigiose istituzioni e premi emergendo al punto da conquistarsi una mostra in Italia al Mart e in Germania alla Stadtgalerie Kiel
Comunicato stampa
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In occasione della ripresa delle attività autunnali e dell’inizio della stagione 2018-2019 la galleria di via Cervino 16 propone al collezionismo più assetato di novità la terza personale della giovanissima artista MARTINA BRUGNARA. Dopo “Congerie” del 2016 e “Fred” presentato nel 2017, al piano superiore della galleria il 20 settembre Martina presenta “Alloggiamenti”.
Nell’ultimo anno Marina (25) è stata osservata con interesse da alcune prestigiose istituzioni e premi emergendo al punto da conquistarsi una mostra in Italia al Mart e in Germania alla Stadtgalerie Kiel.
Se nelle precedenti due personali a Torino Martina si palesava come artista Millenial e come tale il suo lavoro veniva pervaso da una pratica di Economia Circolare (i suoi ritatti della famiglia Elsener erano assemblaggi di utensili raccattati con capacità rabdomantiche da Martina in casolari dispersi, e da lei riportati a nuova e duratura vita grazie al filtro dell’immaginazione), anche in quest’ultima mostra, la pratica che muove il marketing a premiare la size impression ingigantendo i blister e i contenitori di ogni oggetto – e quindi anche degli utensili – viene messa sotto osservazione critica da Martina. I suoi strumenti attraversati dal tempo e quindi inutilizzabili, qui scompaiono e di loro non resta altro che una traccia in una ridondante quanto rigorosa ed evocativa custodia-cassaforte.
Parlando del suo ultimo lavoro l’artista dice:
“L’analisi dell’oggetto è uno dei cardini della mia ricerca, dopo averne esplorato le potenzialità attraverso la creazione di un processo nichilistico attivo, in cui il momento di distruzione veniva sovrascritto dalla necessita di realizzare qualcosa che avesse una identità nuova, la mia attenzione si è spostata sulla produzione dello stesso.
La riproduzione, nella concezione moderna, è un atto comune che tende a dar vita ad un enorme quantità di oggetti identici e molto spesso ideati per un uso estremamente limitato nel tempo, l’unicità intesa come insieme di un contesto storico e di una testimonianza d’uso, viene cosi a mancare, stravolta da un processo di standardizzazione in cui lo studio dell’oggetto, risulta prerogativa solo di una limitata cerchia di beni.
L’oggetto comune perde cosi la propria aura andando incontro al bisogno di una società che necessita come scriveva Walter Benjamin di un avvicinamento, sia spaziale che umano con esso. Il prodotto di queste scelte crea una mancanza che molto spesso non viene notata, una privazione che credo debba essere messa in luce, una luce neutra che vuole creare nello spettatore il bisogno di affrontare questa tematica.
La mia attività si lega, indissolubilmente al contatto con la materia e alla necessità di plasmarla in quello che è il prodotto della mia ricerca, per fare ciò necessito di una serie di strumenti che sono sia mentali che fisici. L’utensile è quindi il mezzo fisico grazie al quale sono in grado di lavorare, un prolungamento del corpo che lo eleva e lo specializza, rendendolo in grado di compiere azioni irrealizzabili.
Risulta quindi evidente come nell’analisi dell’oggetto la mia attenzione si sia focalizzata sugli attrezzi, già fondamento dell’ anima di Karl, da queste premesse nascono questi nuovi involucri, idealmente delle casette per attrezzi, che tramite la loro spazialità diventano basamenti che mettono in mostra tramite appositi alloggiamenti la mancanza dell’utensile, la sede predisposta per il collocamento infatti sarà privata della sua funzione principale, diventando il contenuto e non più il contenitore.
Il mancato inserimento degli attrezzi è il fulcro stesso del lavoro, partire dalla necessità di alloggiare nel modo più ottimale uno strumento, costruendo per esso una custodia su misura rende evidente la privazione che metto in atto, azione che è necessaria a mostrare la perdita che la riproduzione impone all’oggetto. Ciò che davvero manca non è l’oggetto in sé ma la sua storia, mostrare o meno il prodotto di una standardizzazione equivale a non mostrare nulla, in quanto da esso non si può ricavarne l’aura, il contesto in cui esso sia stato pensato e la testimonianza di un vissuto, di un’usura”.
Nell’ultimo anno Marina (25) è stata osservata con interesse da alcune prestigiose istituzioni e premi emergendo al punto da conquistarsi una mostra in Italia al Mart e in Germania alla Stadtgalerie Kiel.
Se nelle precedenti due personali a Torino Martina si palesava come artista Millenial e come tale il suo lavoro veniva pervaso da una pratica di Economia Circolare (i suoi ritatti della famiglia Elsener erano assemblaggi di utensili raccattati con capacità rabdomantiche da Martina in casolari dispersi, e da lei riportati a nuova e duratura vita grazie al filtro dell’immaginazione), anche in quest’ultima mostra, la pratica che muove il marketing a premiare la size impression ingigantendo i blister e i contenitori di ogni oggetto – e quindi anche degli utensili – viene messa sotto osservazione critica da Martina. I suoi strumenti attraversati dal tempo e quindi inutilizzabili, qui scompaiono e di loro non resta altro che una traccia in una ridondante quanto rigorosa ed evocativa custodia-cassaforte.
Parlando del suo ultimo lavoro l’artista dice:
“L’analisi dell’oggetto è uno dei cardini della mia ricerca, dopo averne esplorato le potenzialità attraverso la creazione di un processo nichilistico attivo, in cui il momento di distruzione veniva sovrascritto dalla necessita di realizzare qualcosa che avesse una identità nuova, la mia attenzione si è spostata sulla produzione dello stesso.
La riproduzione, nella concezione moderna, è un atto comune che tende a dar vita ad un enorme quantità di oggetti identici e molto spesso ideati per un uso estremamente limitato nel tempo, l’unicità intesa come insieme di un contesto storico e di una testimonianza d’uso, viene cosi a mancare, stravolta da un processo di standardizzazione in cui lo studio dell’oggetto, risulta prerogativa solo di una limitata cerchia di beni.
L’oggetto comune perde cosi la propria aura andando incontro al bisogno di una società che necessita come scriveva Walter Benjamin di un avvicinamento, sia spaziale che umano con esso. Il prodotto di queste scelte crea una mancanza che molto spesso non viene notata, una privazione che credo debba essere messa in luce, una luce neutra che vuole creare nello spettatore il bisogno di affrontare questa tematica.
La mia attività si lega, indissolubilmente al contatto con la materia e alla necessità di plasmarla in quello che è il prodotto della mia ricerca, per fare ciò necessito di una serie di strumenti che sono sia mentali che fisici. L’utensile è quindi il mezzo fisico grazie al quale sono in grado di lavorare, un prolungamento del corpo che lo eleva e lo specializza, rendendolo in grado di compiere azioni irrealizzabili.
Risulta quindi evidente come nell’analisi dell’oggetto la mia attenzione si sia focalizzata sugli attrezzi, già fondamento dell’ anima di Karl, da queste premesse nascono questi nuovi involucri, idealmente delle casette per attrezzi, che tramite la loro spazialità diventano basamenti che mettono in mostra tramite appositi alloggiamenti la mancanza dell’utensile, la sede predisposta per il collocamento infatti sarà privata della sua funzione principale, diventando il contenuto e non più il contenitore.
Il mancato inserimento degli attrezzi è il fulcro stesso del lavoro, partire dalla necessità di alloggiare nel modo più ottimale uno strumento, costruendo per esso una custodia su misura rende evidente la privazione che metto in atto, azione che è necessaria a mostrare la perdita che la riproduzione impone all’oggetto. Ciò che davvero manca non è l’oggetto in sé ma la sua storia, mostrare o meno il prodotto di una standardizzazione equivale a non mostrare nulla, in quanto da esso non si può ricavarne l’aura, il contesto in cui esso sia stato pensato e la testimonianza di un vissuto, di un’usura”.
04
ottobre 2018
Martina Brugnara – Alloggiamenti
Dal 04 al 26 ottobre 2018
arte contemporanea
Location
GAGLIARDI E DOMKE
Torino, Via Cervino, 16, (Torino)
Torino, Via Cervino, 16, (Torino)
Orario di apertura
Martedì – Venerdì, 15.30 – 19.30
Vernissage
4 Ottobre 2018, ore 18
Autore