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Martine Parise – Transbeton
Le opere in mostra sono 11. Le opere di Martine Parise sono animate da sagome umane che popolano stampe fotografiche, pvc e lastre di alluminio che riflettono la luce e la trattengono al tempo stesso.
Comunicato stampa
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Le opere in mostra sono 11. Le opere di Martine Parise sono animate da sagome umane che popolano stampe fotografiche, pvc e lastre di alluminio che riflettono la luce e la trattengono al tempo stesso. E' una dimensione senza luogo né tempo quella in cui persone definite da meri contorni si muovono su una superficie metallica, asettica, impersonale. La prospettiva dall'alto apre lo sguardo su presenze umane segnate da una bidimensionalità senza riscatto in cui il segno continuo demarca individualità prive di contenuto. Spazi metropolitani spersonalizzanti sono il luogo dell'intersezione casuale delle traiettorie di atomi umani ridotti alle sembianze di ectoplasmi ben vestiti. Figurazioni apittoriche, come diafane epifanie, vivono la labile esistenza che il contorno grigio consente loro sullo sfondo metallo costantemente sul punto di riassorbirle; o vengono schiacciate e, al contempo, respinte da ciò che, nella sua impermeabilità si mostra refrattario all'esistenza.
Formati delle opere: 25x 50cm, 40x50cm, 50x70cm, 50x75cm, 100x140cm, 180x140cm
Martine Parise
Flatlandia
Il problema di una considerazione attuale sull’Occidente e la sua cultura, su cos’è e cosa significa nella storia è ancora presente nella ricerca artistica anche dei giovani come Martine Parise. Il carico simbolico del tipo di vita creato in Europa e in America, le aspettative seguite alla fine delle ideologie, la capacità critica acuita con il contrasto di altre culture, ha fatto sì che il luogo in cui viviamo è ridiventato problematico. Del resto è sempre stato vero che il life style occidentale ha avuto critiche radicali proprio dall’interno: le generazioni di giovani negli anni sessanta hanno contestato il mondo ad una dimensione o la ragione strumentale che caratterizzano la dimensione economica dei rapporti sociali. L’uomo ridotto all’ essere strumento di guadagno e di conformismo sociale è qualcosa che si agita come uno spettro in un mondo in cui anche la Stria sembra essersi esaurita.
Dietro il benessere c’è l’anonimato, l’artificialità, la vacuità, l’apparire senza alcuna verità che ne sia sostegno e anima. I lavori di Martine Parise hanno questo sapore piuttosto anacronistico di partecipare ad un tempo diverso. Sembrano quasi opere che provengono dagli anni sessanta e settanta, e invece una giovanissima artista propone una sua visione dell’Occidente che non fa sconti a nessuno e si mette in evidenza per la coerenza stilistica, per la ricerca attenta sui materiali industriali, freddi, anonimi, di uso comune. Per esempio lo stesso uso dell’alluminio è qualcosa che mette abbastanza in imbarazzo perché la luce vi viene riflessa, ma le figure umane ( o quello che ne rimane) restano per così dire intrappolate dal materiale, che finisce per dominare come un assoluto. Tempo e luogo vengono meno a qualsiasi caratterizzazione, la stessa individualità fisiognomica è abbandonata perché le persone sono soltanto delle sagome vuote, dei segnali stradali generici in cui l’essere umano è un segno convenzionale e niente di più, in tutto simile ad un’automobile. Tutto è bidimensionale come nella celebre Flatlandia di Edwin Abbott Abbott, un mondo in cui non c’è volume, non c’è realtà perché tutto è rappresentato, ogni cosa è una proiezione della realtà.
Martine Parise compie un’operazione di spaesamento e di spostamento di senso, a partire dai segni della comunicazione sociale, cioè compone un universo in cui uomini e simboli della nostra civiltà sono visti come segni vuoti, rappresentazioni semplificate. L’impersonalità discende esattamente da quest’ intersezione tra i materiali tipo alluminio, gomma da pavimenti, pluriball, e altri prodotti industriali e le immagini stilizzate di una vita completamente anonima, vuota e ripetitiva. Anche questo è un elemento interessante in quanto la ripetizione annulla ogni forma di individualità, come sappiamo da un’ampia letteratura. Tutto ciò che è replicabile perde originalità e quindi senso.
Del resto l’artista riprende il concetto di uomo-massa che “vive” nel suo essere replicabile all’infinito. Negli spazi metropolitani che qualcuno ha definito non luoghi si muovono delle non persone. Sono il concentrato dell'intersezione casuale delle traiettorie di atomi in attesa di un climamen che li riscatti e li giustifichi. Moltiplicazione e convenzionalità sono due parametri importanti per analizzare il lavoro della Parise. Abbiamo di fronte delle esistenze semplificate ma che possiedono una loro realtà perché ne sono la proiezione, il simulacro per usare un termine alla Baudrillard.
La pittura sembra defilarsi in tutto questo, la pittura che individualizza con la sua tecnica e la sua capacità di separare e individuare, in questo caso lascia il passo a trasferibili, alla fotografia e altre tecniche meccaniche. La Parise opera una scelta radicale, dura, senza concessioni facili all’occhio e all’estetica. Tutto è schiacciato, compresso contro una superficie che non lascia scampo, che non dà autonomia. Nella sua apparente vacuità e vastità, la superficie finisce per inghiottire tutto quanto la circonda. Metafora di una società occidentale in cui il tempo è denaro, la Parise ha creato delle opere atemporali proprio per mostrare come l’apparenza del fluire si debba fermare e congelare per mostrare la vera natura di una società in cerca d’ autore. Anzi, i percorsi di questo mondo flat sono scanditi spesso proprio da traiettorie di simboli del denaro, la direzionalità sembra ripresa di videogames, ma in forma raffreddata e scarna. L’abolizione del colore è determinante.
L’occidente diventa una specie di lavagna in cui ogni giorno qualche figura viene tracciata e qualcun’altra scompare. Il rigore del bianco e nero o bianco e grigio viene interrotto soltanto sommariamente da figure colorate che possono appartenere agli animali, a ciò che non appartiene all’uomo. Questo semplice contrasto viene recepito in modo sostanziale proprio per lo sfondo uniforme animato da piccoli spazialismi dei materiali o di preparazione del supporto.
Anche interventi di tipo optical riempiono le figure di nulla o di una forma di visionarietà allucinata. In questi lavori recenti, la prospettiva stravolta perché completamente abolita, viene surrogata dal riempimento delle figure di un vuoto ancora più consistenza e grafico. La simbolicità dei segni psichedelici, della riduzione di questi dentro il contorno chiuso da ancora maggiormente l’idea di uno spazio chiuso, senza aperture, claustrofobico.
La personalità di Marine Parise forma un mondo piatto, semplice, segnaletico, convenzionale: la sua organizzazione visiva scandisce la semplicità di un universo spogliato d’ individui, popolato di sagome, di target. Si comprende allora che la distanza tra spettatore e opera, la freddezza di quest’ultima, serve ad amplificare un effetto di derealizzazione. E’ un lavoro analitico e lucido che la giovane artista sviluppa da qualche anno alla ricerca felice di una cifra stilistica chiara e senza ambiguità.
Valerio Dehò
Formati delle opere: 25x 50cm, 40x50cm, 50x70cm, 50x75cm, 100x140cm, 180x140cm
Martine Parise
Flatlandia
Il problema di una considerazione attuale sull’Occidente e la sua cultura, su cos’è e cosa significa nella storia è ancora presente nella ricerca artistica anche dei giovani come Martine Parise. Il carico simbolico del tipo di vita creato in Europa e in America, le aspettative seguite alla fine delle ideologie, la capacità critica acuita con il contrasto di altre culture, ha fatto sì che il luogo in cui viviamo è ridiventato problematico. Del resto è sempre stato vero che il life style occidentale ha avuto critiche radicali proprio dall’interno: le generazioni di giovani negli anni sessanta hanno contestato il mondo ad una dimensione o la ragione strumentale che caratterizzano la dimensione economica dei rapporti sociali. L’uomo ridotto all’ essere strumento di guadagno e di conformismo sociale è qualcosa che si agita come uno spettro in un mondo in cui anche la Stria sembra essersi esaurita.
Dietro il benessere c’è l’anonimato, l’artificialità, la vacuità, l’apparire senza alcuna verità che ne sia sostegno e anima. I lavori di Martine Parise hanno questo sapore piuttosto anacronistico di partecipare ad un tempo diverso. Sembrano quasi opere che provengono dagli anni sessanta e settanta, e invece una giovanissima artista propone una sua visione dell’Occidente che non fa sconti a nessuno e si mette in evidenza per la coerenza stilistica, per la ricerca attenta sui materiali industriali, freddi, anonimi, di uso comune. Per esempio lo stesso uso dell’alluminio è qualcosa che mette abbastanza in imbarazzo perché la luce vi viene riflessa, ma le figure umane ( o quello che ne rimane) restano per così dire intrappolate dal materiale, che finisce per dominare come un assoluto. Tempo e luogo vengono meno a qualsiasi caratterizzazione, la stessa individualità fisiognomica è abbandonata perché le persone sono soltanto delle sagome vuote, dei segnali stradali generici in cui l’essere umano è un segno convenzionale e niente di più, in tutto simile ad un’automobile. Tutto è bidimensionale come nella celebre Flatlandia di Edwin Abbott Abbott, un mondo in cui non c’è volume, non c’è realtà perché tutto è rappresentato, ogni cosa è una proiezione della realtà.
Martine Parise compie un’operazione di spaesamento e di spostamento di senso, a partire dai segni della comunicazione sociale, cioè compone un universo in cui uomini e simboli della nostra civiltà sono visti come segni vuoti, rappresentazioni semplificate. L’impersonalità discende esattamente da quest’ intersezione tra i materiali tipo alluminio, gomma da pavimenti, pluriball, e altri prodotti industriali e le immagini stilizzate di una vita completamente anonima, vuota e ripetitiva. Anche questo è un elemento interessante in quanto la ripetizione annulla ogni forma di individualità, come sappiamo da un’ampia letteratura. Tutto ciò che è replicabile perde originalità e quindi senso.
Del resto l’artista riprende il concetto di uomo-massa che “vive” nel suo essere replicabile all’infinito. Negli spazi metropolitani che qualcuno ha definito non luoghi si muovono delle non persone. Sono il concentrato dell'intersezione casuale delle traiettorie di atomi in attesa di un climamen che li riscatti e li giustifichi. Moltiplicazione e convenzionalità sono due parametri importanti per analizzare il lavoro della Parise. Abbiamo di fronte delle esistenze semplificate ma che possiedono una loro realtà perché ne sono la proiezione, il simulacro per usare un termine alla Baudrillard.
La pittura sembra defilarsi in tutto questo, la pittura che individualizza con la sua tecnica e la sua capacità di separare e individuare, in questo caso lascia il passo a trasferibili, alla fotografia e altre tecniche meccaniche. La Parise opera una scelta radicale, dura, senza concessioni facili all’occhio e all’estetica. Tutto è schiacciato, compresso contro una superficie che non lascia scampo, che non dà autonomia. Nella sua apparente vacuità e vastità, la superficie finisce per inghiottire tutto quanto la circonda. Metafora di una società occidentale in cui il tempo è denaro, la Parise ha creato delle opere atemporali proprio per mostrare come l’apparenza del fluire si debba fermare e congelare per mostrare la vera natura di una società in cerca d’ autore. Anzi, i percorsi di questo mondo flat sono scanditi spesso proprio da traiettorie di simboli del denaro, la direzionalità sembra ripresa di videogames, ma in forma raffreddata e scarna. L’abolizione del colore è determinante.
L’occidente diventa una specie di lavagna in cui ogni giorno qualche figura viene tracciata e qualcun’altra scompare. Il rigore del bianco e nero o bianco e grigio viene interrotto soltanto sommariamente da figure colorate che possono appartenere agli animali, a ciò che non appartiene all’uomo. Questo semplice contrasto viene recepito in modo sostanziale proprio per lo sfondo uniforme animato da piccoli spazialismi dei materiali o di preparazione del supporto.
Anche interventi di tipo optical riempiono le figure di nulla o di una forma di visionarietà allucinata. In questi lavori recenti, la prospettiva stravolta perché completamente abolita, viene surrogata dal riempimento delle figure di un vuoto ancora più consistenza e grafico. La simbolicità dei segni psichedelici, della riduzione di questi dentro il contorno chiuso da ancora maggiormente l’idea di uno spazio chiuso, senza aperture, claustrofobico.
La personalità di Marine Parise forma un mondo piatto, semplice, segnaletico, convenzionale: la sua organizzazione visiva scandisce la semplicità di un universo spogliato d’ individui, popolato di sagome, di target. Si comprende allora che la distanza tra spettatore e opera, la freddezza di quest’ultima, serve ad amplificare un effetto di derealizzazione. E’ un lavoro analitico e lucido che la giovane artista sviluppa da qualche anno alla ricerca felice di una cifra stilistica chiara e senza ambiguità.
Valerio Dehò
01
ottobre 2010
Martine Parise – Transbeton
Dal primo al 13 ottobre 2010
arte contemporanea
Location
BETON EISACK
Chiusa, Prato dell’Ospizio , 14, (Bolzano)
Chiusa, Prato dell’Ospizio , 14, (Bolzano)
Orario di apertura
Lunedì, mercoledì, giovedì e venerdì dalle ore 17 alle ore 20
Vernissage
1 Ottobre 2010, ore 20
Sito web
www.myspace.com/martineparise
Autore