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Massimo De Caria – Duemilaquattro
Forse le opere di Massimo De Caria possono essere osservate alla luce di una figura retorica. Una sineddoche è un’espressione che, come riferisce il vocabolario, “designa una cosa o una persona non con il termine che gli è proprio, ma con quello di un’altra cosa o persona che abbia con essa un rapporto di quantità o appartenenza, come quando attraverso la parte si vuole indicare il tutto”.
Comunicato stampa
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La parte che indica il tutto.
Forse le opere di Massimo De Caria possono essere osservate alla luce di una figura retorica. Una sineddoche è un’espressione che, come riferisce il vocabolario, “designa una cosa o una persona non con il termine che gli è proprio, ma con quello di un’altra cosa o persona che abbia con essa un rapporto di quantità o appartenenza, come quando attraverso la parte si vuole indicare il tutto”. Ogni scultura di Massimo De Caria appare una sineddoche artistica: il dettaglio anatomico è la parte che allude al tutto, il singolo elemento che richiama la totalità del corpo.
Utilizzo la parola “dettaglio”, e non il sinonimo “frammento”, per una precisa ragione linguistica. Gli arti scolpiti da Massimo De Caria sembrano essere stati recisi con un taglio netto, con una lacerazione che li ha definitivamente separati dal corpo a cui appartenevano. Diversamente dal frammento, nel dettaglio la cesura è chiara e irreversibile: nessuna nostalgia dell’integrità perduta, nessun vagheggiamento di una condizione di completezza sembra attraversare queste sculture.
Mi è capitato, di fronte a una mano appena plasmata dall’artista, di cercare di indovinare la statura, il portamento, il carattere dell’individuo a cui avrebbe potuto appartenere. Ho immaginato movenze pacate e leggermente incerte, tipiche di personalità delicate e complesse: come se, attraverso le sue sculture, Massimo De Caria avesse voluto stilare il profilo di una precisa identità somatica. D’altra parte in una sineddoche il dettaglio è inevitabilmente un ritratto, una sintesi allusiva del tutto.
Roberto Borghi.
Forse le opere di Massimo De Caria possono essere osservate alla luce di una figura retorica. Una sineddoche è un’espressione che, come riferisce il vocabolario, “designa una cosa o una persona non con il termine che gli è proprio, ma con quello di un’altra cosa o persona che abbia con essa un rapporto di quantità o appartenenza, come quando attraverso la parte si vuole indicare il tutto”. Ogni scultura di Massimo De Caria appare una sineddoche artistica: il dettaglio anatomico è la parte che allude al tutto, il singolo elemento che richiama la totalità del corpo.
Utilizzo la parola “dettaglio”, e non il sinonimo “frammento”, per una precisa ragione linguistica. Gli arti scolpiti da Massimo De Caria sembrano essere stati recisi con un taglio netto, con una lacerazione che li ha definitivamente separati dal corpo a cui appartenevano. Diversamente dal frammento, nel dettaglio la cesura è chiara e irreversibile: nessuna nostalgia dell’integrità perduta, nessun vagheggiamento di una condizione di completezza sembra attraversare queste sculture.
Mi è capitato, di fronte a una mano appena plasmata dall’artista, di cercare di indovinare la statura, il portamento, il carattere dell’individuo a cui avrebbe potuto appartenere. Ho immaginato movenze pacate e leggermente incerte, tipiche di personalità delicate e complesse: come se, attraverso le sue sculture, Massimo De Caria avesse voluto stilare il profilo di una precisa identità somatica. D’altra parte in una sineddoche il dettaglio è inevitabilmente un ritratto, una sintesi allusiva del tutto.
Roberto Borghi.
18
novembre 2004
Massimo De Caria – Duemilaquattro
Dal 18 novembre 2004 al 22 gennaio 2005
arte contemporanea
Location
NOWHERE GALLERY
Milano, Via Del Caravaggio, 14, (Milano)
Milano, Via Del Caravaggio, 14, (Milano)
Orario di apertura
Martedì-Sabato 10.30-13.30/15.30-19.30
Vernissage
18 Novembre 2004, DALLE 18.30 ALLE 21.00
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