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Massimo Pastore / Teresa Cervo – Lo Spazio Sacro
Gli incontri presentano sempre delle inconoscibili variabili. Ancor di più questo accade quando l’incontro è rigogliosa lotta tra permanenti individualità che, per onorare un preciso condiviso impegno, devono sconfinare l’una nel campo dell’altra e contaminarsi pur conservandosi.
Comunicato stampa
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PrimoPiano è lieta di presentare “Lo Spazio Sacro” di Massimo Pastore e Teresa Cervo che inaugura la rassegna “Rencontres” curata da Antonio Maiorino Marrazzo.
Gli incontri presentano sempre delle inconoscibili variabili. Ancor di più questo accade quando l’incontro è rigogliosa lotta tra permanenti individualità che, per onorare un preciso condiviso impegno, devono sconfinare l’una nel campo dell’altra e contaminarsi pur conservandosi. Le identità sono abiti, talvolta non confortevoli, da mettere addosso ed esibire, non da accantonare e tenere al sicuro.
Teresa Cervo e Massimo Pastore hanno vissuto questo vicendevole misurare e visitare l’universo dell’altro, in un creato dove non si è mai certi di distinguere una strada che porta in cima da una china discendente. Il curatore, lasciate che mi citi, in questo caso è un mero vettore; però anche un calesse ha la sua modesta rilevanza e proporre a Teresa Cervo di entrare in quello spazio sacro che era stato già, in parte, perimetrato da Massimo Pastore è stato un cimento che avrebbe potuto facilmente sdrucire i finimenti e far perdere la stabilità al mezzo. Invece siamo giunti a fine corsa con un rencontre fatto di segni che non si esauriscono nella loro evidenza – sono in molti a fermarsi a quelli senza saperli leggere – ma che vivranno percorsi segreti in coloro che ne sapranno accogliere l’immediatezza.
Lo spazio sacro è un’estensione talmente vasta che la sola idea di costruire una balaustra per delimitarlo e farne risuonare l’infinito (stupefacente paradosso che solo l’arte concede) ci appare sovrumana: ma non è questo che noi ci aspettiamo dagli artisti? Nel loro incontro, Teresa Cervo e Massimo Pastore, hanno rivelato di essere cercatori di silenzio, di spazio, di notte che è intorno al mondo, di luce che intorno al cuore. Entrambi hanno sospeso le loro installazioni: una verticalità che, come ogni retta indefinitamente prolungata, va incontro alla sfera celeste nei due punti d’acme, lo zenit e il nadir. Trentadue scale in carta, ferro, spazio vuoto, luce da percorrere, spiando la propria ombra sulle pareti diventando giganti per un attimo, sette immagini fotografiche in forma di kakemono (specifico modo giapponese di organizzare un’immagine a forma di rotolo destinato ad essere affisso verticalmente) che fanno dell’uomo portatore di quella stessa linea che va incontro alla sfera celeste, che collegano mondi solo apparentemente distanti. Tra queste due installazioni una zona che è iconostasi, a preservare lo spazio sacro e luogo dove risuona l’equilibrio relazionale dei due artisti: un’alterità, un essere altro dal profano.
Se nelle opere che compongo l’impianto di Pastore pervade un processo metafisico che è fissato efficacemente in “Sintesi 39” a ricomporre l’ora prima e l’ora ultima – e qui la memoria rispolvera quel delizioso dialogo leopardiano tra il Sole e Copernico –, nella struttura di collegamento, decisamente fisico, che la Cervo realizza si individuano tutti significati che la scala possiede: di rappresentazione, di riduzione, di parametro, ma non di accesso ad un luogo definito (trascendenza dell’utopia). Nei kakemono di Pastore c’è la via immanente che indica quella della trascendenza (probabilmente della vacuità) e nella decisione dell’artista di organizzare le immagini in tale forma, ravvedo la volontà di verificare l’impermanenza visiva dell’opera stessa che, nella possibilità di essere avvolta, diviene effimera.
Lo spazio sacro è un dialogo in corso che Pastore e Cervo hanno avviato trovando un’arte per giovare agli uomini così che ne siano moltiplicate di numero e di gagliardia le sensazioni e le azioni loro.
Gli incontri presentano sempre delle inconoscibili variabili. Ancor di più questo accade quando l’incontro è rigogliosa lotta tra permanenti individualità che, per onorare un preciso condiviso impegno, devono sconfinare l’una nel campo dell’altra e contaminarsi pur conservandosi. Le identità sono abiti, talvolta non confortevoli, da mettere addosso ed esibire, non da accantonare e tenere al sicuro.
Teresa Cervo e Massimo Pastore hanno vissuto questo vicendevole misurare e visitare l’universo dell’altro, in un creato dove non si è mai certi di distinguere una strada che porta in cima da una china discendente. Il curatore, lasciate che mi citi, in questo caso è un mero vettore; però anche un calesse ha la sua modesta rilevanza e proporre a Teresa Cervo di entrare in quello spazio sacro che era stato già, in parte, perimetrato da Massimo Pastore è stato un cimento che avrebbe potuto facilmente sdrucire i finimenti e far perdere la stabilità al mezzo. Invece siamo giunti a fine corsa con un rencontre fatto di segni che non si esauriscono nella loro evidenza – sono in molti a fermarsi a quelli senza saperli leggere – ma che vivranno percorsi segreti in coloro che ne sapranno accogliere l’immediatezza.
Lo spazio sacro è un’estensione talmente vasta che la sola idea di costruire una balaustra per delimitarlo e farne risuonare l’infinito (stupefacente paradosso che solo l’arte concede) ci appare sovrumana: ma non è questo che noi ci aspettiamo dagli artisti? Nel loro incontro, Teresa Cervo e Massimo Pastore, hanno rivelato di essere cercatori di silenzio, di spazio, di notte che è intorno al mondo, di luce che intorno al cuore. Entrambi hanno sospeso le loro installazioni: una verticalità che, come ogni retta indefinitamente prolungata, va incontro alla sfera celeste nei due punti d’acme, lo zenit e il nadir. Trentadue scale in carta, ferro, spazio vuoto, luce da percorrere, spiando la propria ombra sulle pareti diventando giganti per un attimo, sette immagini fotografiche in forma di kakemono (specifico modo giapponese di organizzare un’immagine a forma di rotolo destinato ad essere affisso verticalmente) che fanno dell’uomo portatore di quella stessa linea che va incontro alla sfera celeste, che collegano mondi solo apparentemente distanti. Tra queste due installazioni una zona che è iconostasi, a preservare lo spazio sacro e luogo dove risuona l’equilibrio relazionale dei due artisti: un’alterità, un essere altro dal profano.
Se nelle opere che compongo l’impianto di Pastore pervade un processo metafisico che è fissato efficacemente in “Sintesi 39” a ricomporre l’ora prima e l’ora ultima – e qui la memoria rispolvera quel delizioso dialogo leopardiano tra il Sole e Copernico –, nella struttura di collegamento, decisamente fisico, che la Cervo realizza si individuano tutti significati che la scala possiede: di rappresentazione, di riduzione, di parametro, ma non di accesso ad un luogo definito (trascendenza dell’utopia). Nei kakemono di Pastore c’è la via immanente che indica quella della trascendenza (probabilmente della vacuità) e nella decisione dell’artista di organizzare le immagini in tale forma, ravvedo la volontà di verificare l’impermanenza visiva dell’opera stessa che, nella possibilità di essere avvolta, diviene effimera.
Lo spazio sacro è un dialogo in corso che Pastore e Cervo hanno avviato trovando un’arte per giovare agli uomini così che ne siano moltiplicate di numero e di gagliardia le sensazioni e le azioni loro.
08
febbraio 2018
Massimo Pastore / Teresa Cervo – Lo Spazio Sacro
Dall'otto febbraio al 15 marzo 2018
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
PRIMOPIANO HOMEPHOTOGALLERY
Napoli, Via Foria, 118, (Napoli)
Napoli, Via Foria, 118, (Napoli)
Orario di apertura
Dal 19 febbraio da martedì a giovedì ore 16,30-18,30 o su appunamento
Vernissage
8 Febbraio 2018, ore 18,00
Autore
Curatore