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Massimo Stefanutti
Comunicato stampa
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Lessness & Lensless
Pinhole & Polaroid
E.M. Cioran e Thomas Beckett , in una conversazione riportata dal primo in “Esercizi di ammirazione“ (Adelphi, 1988) , si confrontano su come tradurre, dal francese all’inglese, il titolo del testo teatrale Sans del medesimo Beckett.
Alla fine lo scrittore irlandese opta per il termine lessness, neologismo che inventa per l’occasione per rendere una mescolanza di privazione e d’infinito, una vacuità sinonimo di apoteosi e ciò con diretto riferimento al proprio testo letterario.
Probabilmente né Cioran né Beckett rammentavano il termine inglese lensless nella sua accezione fotografica ( senza lente ) con il quale si connota un particolare mezzo tecnico di ripresa ed esattamente il pinhole o, in italiano, lo stenopeico.
Ma l’analogia involontaria tra le due parole è straordinaria in quanto lessness appare essere l’applicazione filosofica di lensless.
Il foro, applicato alla macchina, per l’assenza di una struttura di mediazione (la lente) che dia forma compiuta (organizzazione) a quanto c’è davanti a sé, risolve la realtà in una rappresentazione simbolica ed oscura, dove il buio staziona in periferia e convoglia la luce nell’area centrale dell’immagine.
L’assenza della mediazione dovuta dalla lente inibisce all’immagine la fruizione di una serie di strutture formali - che ci si attenderebbe ritrovare una normale fotografia - prima di tutto la messa a fuoco.
E non solo: la prospettiva non è più quella del Brunelleschi, l’ampiezza della focale non è più riconoscibile, le masse hanno rapporti inconosciuti, le proporzioni delle cose all’interno dell’immagine sono assolutamente incongrue, la riconoscibilità del soggetto rasenta sovente il paradosso ed il senso di spaesamento è fortemente marcato.
E il fotografo stenopeico è un sorta di voyeur senza limiti nel senso che deve guardare tutto quanto sta davanti alla macchina e nello stesso tempo non vede nulla di quello che la macchina (rectius: il foro) registra visivamente.
E, per tale motivo, lo stenopeico sembra percepire (ancora questo termine che sembra inappropriato per qualcosa che sembra meramente tecnico) la realtà nella sua interezza e soprattutto, nell’assoluta transitorietà.
Allo stenopeico il tempo come istante non interessa: non deve confrontarsi con momenti decisivi veri o falsi che siano; capisce l’assoluta equivalenza di qualunque momento rispetto ad un altro e rivela lo stato delle cose, in una prospettiva assolutamente simbolica; opera (a causa dei tempi di esposizione spesso molto lunghi) in una situazione di tempo dilatato nella quale il passato non è ancora passato ed il presente non è del tutto presente.
E, ancora, lo stenopeico percepisce la carica emotiva del fotografo nei confronti della realtà e se ne appropria, caricando l’immagine di un plusvalore spesso inatteso; fotografo e stenopeico diventano un’unica entità .
Ma questa è anche “fotografia dell’oscurità”: il nero catramoso accanto a bagliori accecanti, il tono basso, una specie di tunnel visivo dato dalla caduta della luce verso i bordi dell’immagine, i soggetti criptici e quelli che fanno pensare alla morte, l’incertezza della visione, conferiscono una patina misteriosa a queste icone segnate da qualità oniriche e magiche, riconducibili ad un fitto dialogo con gli archetipi della nostra memoria individuale o collettiva.
Lessness, in fondo,
Massimo Stefanutti
Pinhole & Polaroid
E.M. Cioran e Thomas Beckett , in una conversazione riportata dal primo in “Esercizi di ammirazione“ (Adelphi, 1988) , si confrontano su come tradurre, dal francese all’inglese, il titolo del testo teatrale Sans del medesimo Beckett.
Alla fine lo scrittore irlandese opta per il termine lessness, neologismo che inventa per l’occasione per rendere una mescolanza di privazione e d’infinito, una vacuità sinonimo di apoteosi e ciò con diretto riferimento al proprio testo letterario.
Probabilmente né Cioran né Beckett rammentavano il termine inglese lensless nella sua accezione fotografica ( senza lente ) con il quale si connota un particolare mezzo tecnico di ripresa ed esattamente il pinhole o, in italiano, lo stenopeico.
Ma l’analogia involontaria tra le due parole è straordinaria in quanto lessness appare essere l’applicazione filosofica di lensless.
Il foro, applicato alla macchina, per l’assenza di una struttura di mediazione (la lente) che dia forma compiuta (organizzazione) a quanto c’è davanti a sé, risolve la realtà in una rappresentazione simbolica ed oscura, dove il buio staziona in periferia e convoglia la luce nell’area centrale dell’immagine.
L’assenza della mediazione dovuta dalla lente inibisce all’immagine la fruizione di una serie di strutture formali - che ci si attenderebbe ritrovare una normale fotografia - prima di tutto la messa a fuoco.
E non solo: la prospettiva non è più quella del Brunelleschi, l’ampiezza della focale non è più riconoscibile, le masse hanno rapporti inconosciuti, le proporzioni delle cose all’interno dell’immagine sono assolutamente incongrue, la riconoscibilità del soggetto rasenta sovente il paradosso ed il senso di spaesamento è fortemente marcato.
E il fotografo stenopeico è un sorta di voyeur senza limiti nel senso che deve guardare tutto quanto sta davanti alla macchina e nello stesso tempo non vede nulla di quello che la macchina (rectius: il foro) registra visivamente.
E, per tale motivo, lo stenopeico sembra percepire (ancora questo termine che sembra inappropriato per qualcosa che sembra meramente tecnico) la realtà nella sua interezza e soprattutto, nell’assoluta transitorietà.
Allo stenopeico il tempo come istante non interessa: non deve confrontarsi con momenti decisivi veri o falsi che siano; capisce l’assoluta equivalenza di qualunque momento rispetto ad un altro e rivela lo stato delle cose, in una prospettiva assolutamente simbolica; opera (a causa dei tempi di esposizione spesso molto lunghi) in una situazione di tempo dilatato nella quale il passato non è ancora passato ed il presente non è del tutto presente.
E, ancora, lo stenopeico percepisce la carica emotiva del fotografo nei confronti della realtà e se ne appropria, caricando l’immagine di un plusvalore spesso inatteso; fotografo e stenopeico diventano un’unica entità .
Ma questa è anche “fotografia dell’oscurità”: il nero catramoso accanto a bagliori accecanti, il tono basso, una specie di tunnel visivo dato dalla caduta della luce verso i bordi dell’immagine, i soggetti criptici e quelli che fanno pensare alla morte, l’incertezza della visione, conferiscono una patina misteriosa a queste icone segnate da qualità oniriche e magiche, riconducibili ad un fitto dialogo con gli archetipi della nostra memoria individuale o collettiva.
Lessness, in fondo,
Massimo Stefanutti
03
maggio 2008
Massimo Stefanutti
Dal 03 al 16 maggio 2008
fotografia
Location
GALLERIA 43
Palermo, Via Goethe, 43, (Palermo)
Palermo, Via Goethe, 43, (Palermo)
Orario di apertura
Da martedì a sabato 9.30 -13.00 e 16.30-19.30. Lunedì 16.30 – 19.30
Vernissage
3 Maggio 2008, ore 18
Sito web
www.massimostefanutti.it
Autore