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Matteo di Giovanni – Cronaca di una strage dipinta
La mostra, promossa dal Comune di Siena, dall’Istituzione Santa Maria della Scala e dalla Soprintendenza per il Patrimonio Storico di Siena e Grosseto, nasce dal recente restauro delle due pale senesi, una realizzata per Sant’Agostino e l’altra per la chiesa dei Servi, che hanno per soggetto la Strage degli Innocenti
Comunicato stampa
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La mostra, promossa dal Comune di Siena, dall’Istituzione Santa Maria della Scala e dalla Soprintendenza per il Patrimonio Storico di Siena e Grosseto, nasce dal recente restauro delle due pale senesi, una realizzata per Sant’Agostino e l’altra per la chiesa dei Servi, che hanno per soggetto la Strage degli Innocenti. Ogni restauro è motivo di conoscenza e di riflessione critica ed anche questa volta l’intervento sulle due tavole ha riproposto tutti quegli interrogativi critici di un soggetto che per quattro volte, nel giro di un decennio, fa la sua comparsa nell’arte senese ad opera dello stesso artista, Matteo di Giovanni. Tre grandi ancone, una delle quali per la chiesa napoletana di Santa Maria a Formello precedute dallo “spiazzo” del pavimento del Duomo, commissionato dall’Operaio Alberto Aringhieri, che inaugura la serie e che ha posto in anni recenti il problema dell’attribuzione tra Matteo e Francesco di Giorgio. La mostra è anche l’occasione per chiarire il ruolo dell’artista nell’arte senese e per riesaminare, alla luce di nuove informazioni documentarie e di costanti paralleli con la tecnica pittorica e con la preziosità dei pigmenti usati, le committenze delle tre Stragi su tavola.
Fulcro dell’esposizione sono infatti le tavole del pittore aventi come soggetto la Strage degli Innocenti: il testo scarno ma ricco di drammatiche suggestioni del Vangelo di Matteo, utilizzato per la prima volta nella storia del pavimento del Duomo di Siena, dovette sembrare ai contemporanei la fonte letteraria che meglio poteva rimandare alla drammaticità di quelle figurazioni e forse anche alla tragica attualità del massacro di Otranto del 1480 ad opera di Maometto II. Benché la critica storica sia ancora divisa sul legame che corse tra quell’evento e la realizzazione delle quattro Stragi, certo è che i fatti di Otranto ebbero subito un’eco enorme: cronache scritte e testimonianze percorsero tutta l’Italia e non solo. Il pericolo turco del resto era un problema concreto - gli Ottomani erano già penetrati in Friuli e le divisioni politiche tra i vari stati italiani non sembravano garantire una difesa sicura. E poi dal 1453, cioè dalla presa di Costantinopoli da parte dello stesso Maometto II, il papato aveva cercato di riunire tutta la cristianità in una crociata per riconquistare la città alla fede di Roma. Il concetto di “scontro di civiltà” nasce da qui ed allora quella riconquista rappresentava nelle intenzioni dei suoi fautori una sorta di riaffermazione delle ragioni della propria cultura.
Matteo di Giovanni, nato a Borgo San Sepolcro attorno al 1430, già nel 1452 è presente a Siena: è probabile che nella sua prima formazione grande influenza abbia avuto l’opera del conterraneo Piero della Francesca e che, una volta giunto a Siena, il suo percorso artistico si sia però completato sotto l’egida di Lorenzo di Pietro detto “Il Vecchietta”. Né sarà da sottovalutare l’attività senese di Donatello, che lascia tracce profonde e ineludibili anche per artisti che, come Matteo, hanno costituito la “prima generazione” dei seguaci del Vecchietta.
Le tre tavole che il pittore ha dedicato allo stesso tema nell’arco di un decennio si inseriscono in una tradizione iconografica che avrà largo seguito nella pittura senese di fine Quattrocento.
La mostra si propone tra l’altro di illustrare in sequenza cronologica il percorso artistico di Matteo e le tre famose tavole per verificarne gli sviluppi compositivi-sostanziali (specie nell’ultima eseguita per la potente famiglia senese degli Spannocchi), i punti di contatto e le differenze con il commesso marmoreo del Duomo, con il quale la tavola di Sant’Agostino dimostra una filiazione più diretta e riferimenti più precisi.
Il ricorso ai repertori classici, un vocabolario che in quegli stessi anni a Siena sembra patrimonio comune di pittori e di scultori, ed il suo uso in pittura per simulare un’ornamentazione scolpita era già stato praticato a più riprese da Lorenzo Vecchietta fin dall’affresco del Pellegrinaio del complesso di Santa Maria della Scala.
Proprio le rappresentazioni della Strage degli Innocenti messe a confronto costituiscono per l’arte senese una sorta di tracciato sul quale leggere il passaggio tra tradizione e rinnovamento del lessico pittorico, il suo sviluppo nel senso di una presa di coscienza delle novità del Rinascimento pieno, che ebbe il suo punto di partenza nelle sperimentazioni messe in atto nella bottega del Vecchietta da una parte e nel percorso parallelo di uno scultore sensibile alle istanze di Jacopo della Quercia come Antonio Federighi dall’altra, che dette dell’antico una versione di più spiccata concezione antiquaria, come si fosse lasciato affascinare da fonti classiche di intonazione più eccentrica, tipiche dell’arte romana nella sua redazione “provinciale”.
La mostra, curata da Cecilia Alessi e Alessandro Bagnoli della Soprintendenza per il Patrimonio Storico di Siena e Grosseto, è sostenuta dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena ed è realizzata con il contributo della Banca Monte dei Paschi, main sponsor della mostra.
Fulcro dell’esposizione sono infatti le tavole del pittore aventi come soggetto la Strage degli Innocenti: il testo scarno ma ricco di drammatiche suggestioni del Vangelo di Matteo, utilizzato per la prima volta nella storia del pavimento del Duomo di Siena, dovette sembrare ai contemporanei la fonte letteraria che meglio poteva rimandare alla drammaticità di quelle figurazioni e forse anche alla tragica attualità del massacro di Otranto del 1480 ad opera di Maometto II. Benché la critica storica sia ancora divisa sul legame che corse tra quell’evento e la realizzazione delle quattro Stragi, certo è che i fatti di Otranto ebbero subito un’eco enorme: cronache scritte e testimonianze percorsero tutta l’Italia e non solo. Il pericolo turco del resto era un problema concreto - gli Ottomani erano già penetrati in Friuli e le divisioni politiche tra i vari stati italiani non sembravano garantire una difesa sicura. E poi dal 1453, cioè dalla presa di Costantinopoli da parte dello stesso Maometto II, il papato aveva cercato di riunire tutta la cristianità in una crociata per riconquistare la città alla fede di Roma. Il concetto di “scontro di civiltà” nasce da qui ed allora quella riconquista rappresentava nelle intenzioni dei suoi fautori una sorta di riaffermazione delle ragioni della propria cultura.
Matteo di Giovanni, nato a Borgo San Sepolcro attorno al 1430, già nel 1452 è presente a Siena: è probabile che nella sua prima formazione grande influenza abbia avuto l’opera del conterraneo Piero della Francesca e che, una volta giunto a Siena, il suo percorso artistico si sia però completato sotto l’egida di Lorenzo di Pietro detto “Il Vecchietta”. Né sarà da sottovalutare l’attività senese di Donatello, che lascia tracce profonde e ineludibili anche per artisti che, come Matteo, hanno costituito la “prima generazione” dei seguaci del Vecchietta.
Le tre tavole che il pittore ha dedicato allo stesso tema nell’arco di un decennio si inseriscono in una tradizione iconografica che avrà largo seguito nella pittura senese di fine Quattrocento.
La mostra si propone tra l’altro di illustrare in sequenza cronologica il percorso artistico di Matteo e le tre famose tavole per verificarne gli sviluppi compositivi-sostanziali (specie nell’ultima eseguita per la potente famiglia senese degli Spannocchi), i punti di contatto e le differenze con il commesso marmoreo del Duomo, con il quale la tavola di Sant’Agostino dimostra una filiazione più diretta e riferimenti più precisi.
Il ricorso ai repertori classici, un vocabolario che in quegli stessi anni a Siena sembra patrimonio comune di pittori e di scultori, ed il suo uso in pittura per simulare un’ornamentazione scolpita era già stato praticato a più riprese da Lorenzo Vecchietta fin dall’affresco del Pellegrinaio del complesso di Santa Maria della Scala.
Proprio le rappresentazioni della Strage degli Innocenti messe a confronto costituiscono per l’arte senese una sorta di tracciato sul quale leggere il passaggio tra tradizione e rinnovamento del lessico pittorico, il suo sviluppo nel senso di una presa di coscienza delle novità del Rinascimento pieno, che ebbe il suo punto di partenza nelle sperimentazioni messe in atto nella bottega del Vecchietta da una parte e nel percorso parallelo di uno scultore sensibile alle istanze di Jacopo della Quercia come Antonio Federighi dall’altra, che dette dell’antico una versione di più spiccata concezione antiquaria, come si fosse lasciato affascinare da fonti classiche di intonazione più eccentrica, tipiche dell’arte romana nella sua redazione “provinciale”.
La mostra, curata da Cecilia Alessi e Alessandro Bagnoli della Soprintendenza per il Patrimonio Storico di Siena e Grosseto, è sostenuta dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena ed è realizzata con il contributo della Banca Monte dei Paschi, main sponsor della mostra.
22
giugno 2006
Matteo di Giovanni – Cronaca di una strage dipinta
Dal 22 giugno al 05 novembre 2006
arte antica
Location
SANTA MARIA DELLA SCALA
Siena, Piazza Del Duomo, 2, (Siena)
Siena, Piazza Del Duomo, 2, (Siena)
Biglietti
Intero € 7
Orario di apertura
tutti i giorni dalle 10,30 – 18,30 (chiusura biglietteria ore 18,00)
Vernissage
22 Giugno 2006, ore 21.15
Ufficio stampa
BONDARDO
Ufficio stampa
VERNICE PROGETTI
Autore
Curatore