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Maurizio Romani – Il Mistero di Dio
La vicenda umana di Maurizio Romani, entrato da giovanissimo nell’Ordine dei Cappuccini di
Parma e qui iniziato alla pittura, si lascia intuire da una ricerca pittorica figurativa che spazia dalla
paesaggistica alle nature morte, pur rimanendo sempre nell’ambito dell’arte sacra.
Attraversando esperienze pittoriche differenti ed esercitando varie tecniche artistiche, come
l’incisione, il disegno, l’acquerello, oltre che la pittura ad olio, Maurizio Romani ha rinnovato
il desiderio di svegliare le coscienze sulla verità dell’esistenza, senza avere mai la pretesa di
comprendere appieno la vita. Egli si è riappropriato di un ruolo che in passato ha reso illustre
la figura dell’artista, passando dalla riflessione sul cammino spirituale dell’uomo alla giusta
testimonianza della meraviglia di Dio e delle sue opere. La bellezza trionfa nei paesaggi montani,
nelle nature morte, nelle scene sacre, diventando apologia della fede.
di Chiara Strozzieri
La vicenda umana di Maurizio Romani, entrato da giovanissimo nell’Ordine dei Cappuccini di
Parma e qui iniziato alla pittura, si lascia intuire da una ricerca pittorica figurativa che spazia dalla
paesaggistica alle nature morte, pur rimanendo sempre nell’ambito dell’arte sacra.
L’osservatore acritico è colpevole di banalizzare una pittura realista che ha la pretesa di
sopravvivere tra le sperimentazioni ormai sempre più ardite dell’arte contemporanea. Ma quella
di Romani è una presa di posizione, è l’affermazione di un autentico interesse in tutto ciò che lo
circonda, preso dal desiderio di vedere il mondo e non solo guardarlo, di racchiudere nella memoria
ogni suo dettaglio. Le sue sono realtà riflettute che trasformano talora il realismo in un surrealismo
fatto di accostamenti oggettuali audaci e di significati nascosti che chiedono grande intuizione
all’occhio di chi osserva. Di fatto l’artista fa suo un simbolismo che ripete in molti pezzi, per aiutare
l’attenzione e la ricezione del suo messaggio, che si sostanzia nella presa di coscienza del Mistero
di Dio.
Che la ragione umana non sia in grado di accedere all’essenza della verità lo dicono quelle scatole
di legno chiuse, dalle cui serrature si può solo sbirciare, intravedere una luce, immaginare qualcosa.
La scena rappresentata non è mai conclusa, in quanto avvia un ragionamento sull’esistenza di Dio,
che chiunque può finire a suo modo, accettando o meno l’idea di credere con l’aiuto della fede.
Ciò che viene inequivocabilmente raccontato invece è il viaggio dell’uomo verso la morte, vista
come momento fondamentale in cui l’enigma dell’esistenza umana viene rischiarato dalla luce
eterna. È proprio alla fine della sua vita terrena che l’uomo ha la possibilità di aprire quella serratura
impossibile e comprendere appieno ogni cosa.
Il Mistero di Dio, simboleggiato nel quadro dallo scrigno ligneo, è custodito da elementi che
ricordano il passaggio dalla vita alla morte: boccioli di rose bianche, fiori recisi, gusci di lumachine
vuoti e biglie di vetro rotolate via, che indicano la fine dei giochi. Forte è dunque il contrasto tra
questi oggetti così concreti, illuminati da una luce tersa e addolciti da colori tenui quasi fiabeschi,
e un pensiero impalpabile di cui si avverte solo la presenza e che lascia presagire un grande
mutamento dell’atmosfera attraverso una tinta rosso sangue che talvolta emerge dal buco della
serratura.
Se Maurizio Romani dà un ruolo centrale alla morte corporale e l’ingresso in Dio, egli resta
affascinato dal sacrificio di Cristo e dai sentimenti umani che l’hanno accompagnato. Non solo
Dio si è fatto Uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi, ma ha sofferto e provato la morte del
corpo per la nostra salvezza. Questo pensiero tormenta l’artista e lo convince ancora di più che sia
nostro dovere accettare un tempo nel mondo limitato, che è solo preludio all’Eterno. La scatola che
contiene il Mistero di Dio prende dunque su di sé i simboli della Crocifissione: una corona di spine
si poggia sulla sommità, mentre altri aculei si conficcano nel suo corpo di legno.
Anche quando l’artista si rivolge a soggetti tradizionali dell’arte sacra, egli si concentra sulla Croce
e sceglie di non rappresentare mai la Resurrezione. Una luce spiritualizzante domina la scena
completamente imporporata, tanto che la figura sembra dissolversi nel colore e non è possibile
riconoscere il volto di Cristo, che in fondo è il volto dell’uomo destinato alla morte. Solo le ferite
sono ben visibili, mentre un chiarore soffuso si diffonde sulla carne diventata vera testimonianza.
La ragione umana viene infine illuminata dalla rivelazione e resa partecipe della grazia divina.
Per Romani si tratta di un’Annunciazione, come quella che venne fatta a Maria, e inevitabile
diventa la comparsa di figure di angeli, che rompono la staticità di paesaggi freddi, passano
attraverso finestre metafisiche e giungono a riscaldare con la fiammella della conoscenza o a
proteggere l’uomo lungo il cammino spirituale. A volte essi sono ritratti come presenze che
appaiono inaspettate nel quotidiano, altre volte prendono sembianze concrete mostrando il grande
valore ausiliare.
Iniziano in queste tele a stagliarsi sullo sfondo paesaggi ghiacciati, che sembrano cristallizzare il
tempo e con esso la bellezza del mondo. Tra terreno e ultraterreno viene stabilita una sottile linea di
confine che in tutto un ciclo pittorico a parte si concretizza attraverso la montagna, la quale ancora
una volta priva l’opera della presenza umana e le dona una fascinazione mistica.
Questo è l’apice della ricerca artistica di Maurizio Romani, che non sente più il bisogno di attingere
a qualsivoglia simbologia e non cerca più di descrivere la sacralità del sentimento che lo muove, ma
semplicemente si abbandona all’esperienza del sublime, che è l’unica a poter avvicinare davvero
all’idea di Dio. Alla base della sublimità c’è il terrore, perché nell’uomo deve esserci il timore di
Dio, ma anche il piacere estetico prodotto da paesaggi montani che testimoniano la perfezione e la
grandezza del suo progetto.
L’artista riproduce “l’orrore delizioso, la gioia terribile”, come scriveva il critico inglese John
Dennis, che certi scenari naturali provocano, inducendo anche a un certo entusiasmo religioso. Dio
dimostra tutta la sua potenza attraverso la vastità e magnificenza della montagna, attraverso la luce
accecante del sole che si riflette sulla neve e tutto il vuoto che le fa attorno. Il nostro avvicinarci
al Mistero divino grazie alla natura viene accompagnato da un silenzio sacro che ovatta ogni
pensiero e dà respiro a quel soffio di vita che è lo Spirito Santo, mentre porta i frutti di amore, gioia,
pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo (Gal 5,22). Il messaggio
silenzioso e potentissimo dell’Infinito fa sì che un paesaggio mentale diventi paesaggio fisico e lasci
una traccia concreta a cui attingere in ogni momento.
Attraversando esperienze pittoriche differenti ed esercitando varie tecniche artistiche, come
l’incisione, il disegno, l’acquerello, oltre che la pittura ad olio, Maurizio Romani ha rinnovato
il desiderio di svegliare le coscienze sulla verità dell’esistenza, senza avere mai la pretesa di
comprendere appieno la vita. Egli si è riappropriato di un ruolo che in passato ha reso illustre
la figura dell’artista, passando dalla riflessione sul cammino spirituale dell’uomo alla giusta
testimonianza della meraviglia di Dio e delle sue opere. La bellezza trionfa nei paesaggi montani,
nelle nature morte, nelle scene sacre, diventando apologia della fede. L’arte di Maurizio Romani si
fa arte cristiana nell’accezione che ne dà Benedetto XVI: “L’arte cristiana è un’arte razionale, ma
è espressione artistica di una ragione molto più ampia, nella quale cuore e ragione si incontrano.
Questa è in qualche modo la prova della verità del Cristianesimo: cuore e ragione si incontrano,
bellezza e verità si toccano. E quanto più noi stessi riusciamo a vivere nella bellezza della verità,
tanto più la fede potrà tornare ad essere creativa anche nel nostro tempo e ad esprimersi in una
forma artistica convincente”.
Maurizio Romani – Il Mistero di Dio
L'aquila, Via Dell'arcivescovado, 6, (L'aquila)