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Mauro Biffaro – Il baro
L’artista ha raccolto nel tempo migliaia di gadgets, oggetti in miniatura (tipo quelli delle ‘sorpresine’ dei prodotti commestibili tanto care ai bambini) e componenti della piccola modellistica con cui assembla sculture e costruisce opere pittoplastiche.
Comunicato stampa
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(In ludendo) fraudo… ergo sum
Sull’opera di Mauro Biffaro
La scena è questa: uno sfondo neutro, che allarga progressivamente verso il chiaro da sinistra a destra, incornicia tre figure distinte di giocatori aggruppate dall’accavallarsi di quattro piani che ne sensibilizzano la profondità. Il secondo piano è scandito da un tavolo su cui poggiano la mano del primo giocatore, le carte e il contenitore con i pezzi del tric trac. Quasi in asse con le dita serrate sulle carte del primo personaggio, procombe dall’alto l’indicazione triadica del medio, indice e pollice di uno spettatore mariuolo che, sbirciando alle spalle del pensieroso e inavvertito secondo giocatore, suggerisce al compagno di imbroglio, mentre questo con la destra dietro la schiena armeggia tra la possibilità di scegliere un sette di cuori o un sei di fiori, la carta da calare per assicurarsi il piatto. Il tutto è sospeso intemporalmente dalla maestria della composizione, che trattiene l’impazienza controllata dei bari e la ponderazione assorta del giovane raggirato ad un eterno presente in cui l’azione ghiaccia prima del suo svolgersi. Solo indizio del reale, sul punto di schiudersi, è il guanto scucito del suggeritore truffaldino, che lascia nude le dita ad indicare il tre che servirà al compare per scompaginare con l’inganno la trama strategica del suo ingenuo avversario.
Si tratta de I bari, uno dei capolavori ‘picareschi’ di Caravaggio, di cui Bernard Berenson ebbe a scrivere:« Pochi artisti hanno saputo rendere la concentrazione in modo più convincente»(1).
Ora, una riproduzione di questo quadro funge da mallevadrice per accompagnare le opere che Mauro Biffaro espone presso la Galleria Paolo Tonin di Torino. L’artista l’ha scelta come viatico per ostendere, con mossa da baro, la sua declinazione sinestetica della concentrazione. Se per Caravaggio si trattava di ‘mettere in opera’ visualmente il lato soggettivo dello ‘spirito’, che la raffigurazione delle psicologie dei personaggi rimanda allo spettatore in quanto metafore del confronto tra vizio e virtù, per l’artista torinese l’effetto ‘concentrato’ non pertiene all’accumulo delle esperienze interiori o all’ambito qualificato degli stati d’animo ma si sedimenta attraverso le aspettative, i desideri e le proiezioni che questi lasciano, come traccia incapsulata, sugli oggetti.
Ma quali oggetti sono i portatori della devoluzione metaforica del soggetto a cui Biffaro ci sollecita?
Riprendendo in parte l’attitudine che, per una sua personale del 2003 presso Infinito Ltd Gallery, avevamo definito come «vampirismo di ritorno», cioè la ‘riappropriazione’ dell’immaginario dei ragazzi che egli aveva contribuito a sollecitare come didatta durante il loro avvicinamento agli ambiti creativi dell’arte contemporanea, l’artista ha raccolto nel tempo migliaia di gadgets , oggetti in miniatura (tipo quelli delle ‘sorpresine’ dei prodotti commestibili tanto care ai bambini) e componenti della piccola modellistica con cui assembla sculture e costruisce opere pittoplastiche.
In questa operazione, il target di riferimento non è solo più quello infantile o adolescenziale (che rimane tuttavia preponderante essendo buona parte degli oggetti icone miniaturizzate dei personaggi dei fumetti o dei cartoni animati), ma abbraccia anche l’universo degli adulti (dal momento che i modelli possono essere riduzioni in scala di status symbols consumistici come prototipi sportivi o oggetti di moda e design).
1) Cfr. Bernard Berenson, Del Caravaggio delle sue incongruenze e della sua fama, vers. it. di Luisa Vertova, Firenze, Electa Editrice, 1951, p.18.
1
I lavori presenti in mostra articolano dunque il tentativo di offrire un quadro ‘evolutivo’ delle proiezioni, aspettative e desideri immaginari che i singoli oggetti hanno potuto rappresentare in origine, formalizzato però, come per i personaggi di Caravaggio, in unità sintetiche che immediatamente lo dissimulano, attraverso la loro autonomia di costrutti geometrici, eidetici o naturali.
Tali sono le sfere, la cui conformazione armillare, con cerchi costruiti saldando in sequenze ‘narrative’ un pezzo appresso all’altro, metaforizza la distribuzione bilanciata dei sistemi linfatico e sanguigno attraverso l’equilibrio sempre ritrovato della loro statica strutturale.
E ancora le immagini autoreferenziali dei ‘pensieri’, la cui aggettanza minima è data dall’accostamento contiguo e modulare degli oggetti sulla superficie bidimensionale del supporto (tela o tavola), sia che si confrontino a specchio in un raddoppio tautologico o si espandano come le nuvolette inquadranti messaggi perduti dei cartoons.
Oppure il proliferare di un archetipo (quello della generazione) quasi a scandire il ritmo in cui il fecondato si riproduce in narcisistica baldanza (viva-io), anche qui elevando concrezioni di figure che si articolano in verticali slanci fitomorfici.
In questo spostamento incessante dalla cosalità riconoscibile dei tasselli che puntellano le opere, e mediante la quale avrebbe potuto fare capolino l’indulgere di una riflessione socio-concettuale didascalica sull’importanza della mercificazione delle istanze identitarie per il soggetto veicolate dagli oggetti nella società attuale, alla sua metamorfosi in organismi centrati sull’evolvere di un proprio telos destinale (che l’artista ha attivato con certosina e artigianale perizia in peripezia originale, dipingendo con colori primari i vari lavori) risiede lo specifico della proposta artistica di Mauro Biffaro e la sua capacità di ‘dare corpo’ al senso, facendo restare concentrato lo spettatore sul fatto che il gioco della creazione non consente distrazione alcuna.
GianCarlo Pagliasso
Sull’opera di Mauro Biffaro
La scena è questa: uno sfondo neutro, che allarga progressivamente verso il chiaro da sinistra a destra, incornicia tre figure distinte di giocatori aggruppate dall’accavallarsi di quattro piani che ne sensibilizzano la profondità. Il secondo piano è scandito da un tavolo su cui poggiano la mano del primo giocatore, le carte e il contenitore con i pezzi del tric trac. Quasi in asse con le dita serrate sulle carte del primo personaggio, procombe dall’alto l’indicazione triadica del medio, indice e pollice di uno spettatore mariuolo che, sbirciando alle spalle del pensieroso e inavvertito secondo giocatore, suggerisce al compagno di imbroglio, mentre questo con la destra dietro la schiena armeggia tra la possibilità di scegliere un sette di cuori o un sei di fiori, la carta da calare per assicurarsi il piatto. Il tutto è sospeso intemporalmente dalla maestria della composizione, che trattiene l’impazienza controllata dei bari e la ponderazione assorta del giovane raggirato ad un eterno presente in cui l’azione ghiaccia prima del suo svolgersi. Solo indizio del reale, sul punto di schiudersi, è il guanto scucito del suggeritore truffaldino, che lascia nude le dita ad indicare il tre che servirà al compare per scompaginare con l’inganno la trama strategica del suo ingenuo avversario.
Si tratta de I bari, uno dei capolavori ‘picareschi’ di Caravaggio, di cui Bernard Berenson ebbe a scrivere:« Pochi artisti hanno saputo rendere la concentrazione in modo più convincente»(1).
Ora, una riproduzione di questo quadro funge da mallevadrice per accompagnare le opere che Mauro Biffaro espone presso la Galleria Paolo Tonin di Torino. L’artista l’ha scelta come viatico per ostendere, con mossa da baro, la sua declinazione sinestetica della concentrazione. Se per Caravaggio si trattava di ‘mettere in opera’ visualmente il lato soggettivo dello ‘spirito’, che la raffigurazione delle psicologie dei personaggi rimanda allo spettatore in quanto metafore del confronto tra vizio e virtù, per l’artista torinese l’effetto ‘concentrato’ non pertiene all’accumulo delle esperienze interiori o all’ambito qualificato degli stati d’animo ma si sedimenta attraverso le aspettative, i desideri e le proiezioni che questi lasciano, come traccia incapsulata, sugli oggetti.
Ma quali oggetti sono i portatori della devoluzione metaforica del soggetto a cui Biffaro ci sollecita?
Riprendendo in parte l’attitudine che, per una sua personale del 2003 presso Infinito Ltd Gallery, avevamo definito come «vampirismo di ritorno», cioè la ‘riappropriazione’ dell’immaginario dei ragazzi che egli aveva contribuito a sollecitare come didatta durante il loro avvicinamento agli ambiti creativi dell’arte contemporanea, l’artista ha raccolto nel tempo migliaia di gadgets , oggetti in miniatura (tipo quelli delle ‘sorpresine’ dei prodotti commestibili tanto care ai bambini) e componenti della piccola modellistica con cui assembla sculture e costruisce opere pittoplastiche.
In questa operazione, il target di riferimento non è solo più quello infantile o adolescenziale (che rimane tuttavia preponderante essendo buona parte degli oggetti icone miniaturizzate dei personaggi dei fumetti o dei cartoni animati), ma abbraccia anche l’universo degli adulti (dal momento che i modelli possono essere riduzioni in scala di status symbols consumistici come prototipi sportivi o oggetti di moda e design).
1) Cfr. Bernard Berenson, Del Caravaggio delle sue incongruenze e della sua fama, vers. it. di Luisa Vertova, Firenze, Electa Editrice, 1951, p.18.
1
I lavori presenti in mostra articolano dunque il tentativo di offrire un quadro ‘evolutivo’ delle proiezioni, aspettative e desideri immaginari che i singoli oggetti hanno potuto rappresentare in origine, formalizzato però, come per i personaggi di Caravaggio, in unità sintetiche che immediatamente lo dissimulano, attraverso la loro autonomia di costrutti geometrici, eidetici o naturali.
Tali sono le sfere, la cui conformazione armillare, con cerchi costruiti saldando in sequenze ‘narrative’ un pezzo appresso all’altro, metaforizza la distribuzione bilanciata dei sistemi linfatico e sanguigno attraverso l’equilibrio sempre ritrovato della loro statica strutturale.
E ancora le immagini autoreferenziali dei ‘pensieri’, la cui aggettanza minima è data dall’accostamento contiguo e modulare degli oggetti sulla superficie bidimensionale del supporto (tela o tavola), sia che si confrontino a specchio in un raddoppio tautologico o si espandano come le nuvolette inquadranti messaggi perduti dei cartoons.
Oppure il proliferare di un archetipo (quello della generazione) quasi a scandire il ritmo in cui il fecondato si riproduce in narcisistica baldanza (viva-io), anche qui elevando concrezioni di figure che si articolano in verticali slanci fitomorfici.
In questo spostamento incessante dalla cosalità riconoscibile dei tasselli che puntellano le opere, e mediante la quale avrebbe potuto fare capolino l’indulgere di una riflessione socio-concettuale didascalica sull’importanza della mercificazione delle istanze identitarie per il soggetto veicolate dagli oggetti nella società attuale, alla sua metamorfosi in organismi centrati sull’evolvere di un proprio telos destinale (che l’artista ha attivato con certosina e artigianale perizia in peripezia originale, dipingendo con colori primari i vari lavori) risiede lo specifico della proposta artistica di Mauro Biffaro e la sua capacità di ‘dare corpo’ al senso, facendo restare concentrato lo spettatore sul fatto che il gioco della creazione non consente distrazione alcuna.
GianCarlo Pagliasso
23
aprile 2009
Mauro Biffaro – Il baro
Dal 23 aprile al 30 maggio 2009
arte contemporanea
Location
PAOLO TONIN ARTE CONTEMPORANEA
Torino, Via San Tommaso, 6, (Torino)
Torino, Via San Tommaso, 6, (Torino)
Orario di apertura
da lunedì a venerdì 10,30/13 - 14,30/19
sabato su appuntamento
Vernissage
23 Aprile 2009, 0re 19
Autore
Curatore