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Mauro Presutti – SILENT PLACES
I lavori di Mauro Presutti sono scatti legati al viaggio e per tanto vivono dell’intimo legame che si viene a creare, celandosi, tra l’artista e i luoghi, un legame che è sempre interiore e che in foto percepiamo esclusivamente come engramma, come leggera traccia veritativa di un determinato spazio colto in un determinato tempo
Comunicato stampa
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La lentezza del viaggio.
«Il viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma». Così scriveva Bruce Chatwin nei suoi diari e
l’idea dell’irrequieto viaggiatore mi sembra particolarmente felice in quanto nasconde anche una
piccola riflessione di ordine estetico. Il viaggio incidendo sulla nostra percezione delle cose riesce a
modificarne la visione, ovvero dà forma alla mente, intesa come strumento di costruzione di
immagini, attraverso una lenta educazione al visibile. Anatomia dell’esperienza che è capace di
alterare i punti di vista per aprire al senso e alla contemplazione. Se viriamo il discorso sulla
fotografia la riflessione ci appare ancor più interessante poiché se il mezzo espressivo del
fotografo è la “scelta”, intesa come opzione valutativa sulla realtà che si ha di fronte attraverso la
selezione e la separazione, tale scelta può assumere delle precise fisionomie, delle matrici, dei
punti espressivi, anche inconsci, rintracciabili e valutabili. I lavori di Mauro Presutti sono scatti
legati al viaggio e per tanto vivono dell’intimo legame che si viene a creare, celandosi, tra l’artista
e i luoghi, un legame che è sempre interiore e che in foto percepiamo esclusivamente come
engramma, come leggera traccia veritativa di un determinato spazio colto in un determinato
tempo. In una cultura visuale, anche e soprattutto fotografica, dominata dall’elettronica e dalla
saturazione del ritocco dove assistiamo alla fine di quello che gli studiosi chiamano indexicalità
(enunciazione della sua contiguità analogica con il denotato), la fine cioè della necessaria presenza
del reale per l’immagine cine-fotografica, un ritorno ad un preciso e nascosto lavoro sul paesaggio
reale mi sembra interessante. Presutti interpreta e cattura i propri stati d’animo nati dal confronto
con luoghi estremi e desolati, ma mai desolanti, e lo fa attraverso il mezzo fotografico che fissando
luci e colori scava nel fenomeno ottico per trasportarlo sul piano immateriale dell’idea intima di
quel luogo. La sensazione è che lo spazio, con le sue vastità inquiete, si perda in una circolare
solitudine per poi ritornare, purificato, nel punto immateriale di messa a fuoco rimanendovi
sospeso. La lontananza è priva di riferimenti ma mentre l’ambiente può risultarci indistinto,
“esotico” e non facilmente accessibile, quasi respingente, ad una prima occhiata, l’orizzonte ci
appare sempre netto e regolare. Una linea marcata e precisa taglia in due la foto dividendo in
maniera ora dolce ora violenta le forme naturali di dune e montagne da cieli carichi di luci e giochi
di nuvole; questa linea assurge quasi a stilema raccontandoci dei siti, delle regioni esplorate, ma
anche delle attese e delle aspettative in quanto apre ad un oltre inedito e nascosto. Il senso
profondo dei territori esplorati da Presutti affiora nei lavori lentamente, attraverso calcolati giochi
di luci e ombre, contrasti e chiaroscuri ora leggeri ora più marcati ma mai eccessivamente violenti
e spiazzanti, con la macchina se si adegua agli spazi e non ricerca il punto di vista distorto o urlato.
La vista (e anche la fotografia), infatti, va educata alla lentezza del viaggio.
Tommaso Evangelista.
«Il viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma». Così scriveva Bruce Chatwin nei suoi diari e
l’idea dell’irrequieto viaggiatore mi sembra particolarmente felice in quanto nasconde anche una
piccola riflessione di ordine estetico. Il viaggio incidendo sulla nostra percezione delle cose riesce a
modificarne la visione, ovvero dà forma alla mente, intesa come strumento di costruzione di
immagini, attraverso una lenta educazione al visibile. Anatomia dell’esperienza che è capace di
alterare i punti di vista per aprire al senso e alla contemplazione. Se viriamo il discorso sulla
fotografia la riflessione ci appare ancor più interessante poiché se il mezzo espressivo del
fotografo è la “scelta”, intesa come opzione valutativa sulla realtà che si ha di fronte attraverso la
selezione e la separazione, tale scelta può assumere delle precise fisionomie, delle matrici, dei
punti espressivi, anche inconsci, rintracciabili e valutabili. I lavori di Mauro Presutti sono scatti
legati al viaggio e per tanto vivono dell’intimo legame che si viene a creare, celandosi, tra l’artista
e i luoghi, un legame che è sempre interiore e che in foto percepiamo esclusivamente come
engramma, come leggera traccia veritativa di un determinato spazio colto in un determinato
tempo. In una cultura visuale, anche e soprattutto fotografica, dominata dall’elettronica e dalla
saturazione del ritocco dove assistiamo alla fine di quello che gli studiosi chiamano indexicalità
(enunciazione della sua contiguità analogica con il denotato), la fine cioè della necessaria presenza
del reale per l’immagine cine-fotografica, un ritorno ad un preciso e nascosto lavoro sul paesaggio
reale mi sembra interessante. Presutti interpreta e cattura i propri stati d’animo nati dal confronto
con luoghi estremi e desolati, ma mai desolanti, e lo fa attraverso il mezzo fotografico che fissando
luci e colori scava nel fenomeno ottico per trasportarlo sul piano immateriale dell’idea intima di
quel luogo. La sensazione è che lo spazio, con le sue vastità inquiete, si perda in una circolare
solitudine per poi ritornare, purificato, nel punto immateriale di messa a fuoco rimanendovi
sospeso. La lontananza è priva di riferimenti ma mentre l’ambiente può risultarci indistinto,
“esotico” e non facilmente accessibile, quasi respingente, ad una prima occhiata, l’orizzonte ci
appare sempre netto e regolare. Una linea marcata e precisa taglia in due la foto dividendo in
maniera ora dolce ora violenta le forme naturali di dune e montagne da cieli carichi di luci e giochi
di nuvole; questa linea assurge quasi a stilema raccontandoci dei siti, delle regioni esplorate, ma
anche delle attese e delle aspettative in quanto apre ad un oltre inedito e nascosto. Il senso
profondo dei territori esplorati da Presutti affiora nei lavori lentamente, attraverso calcolati giochi
di luci e ombre, contrasti e chiaroscuri ora leggeri ora più marcati ma mai eccessivamente violenti
e spiazzanti, con la macchina se si adegua agli spazi e non ricerca il punto di vista distorto o urlato.
La vista (e anche la fotografia), infatti, va educata alla lentezza del viaggio.
Tommaso Evangelista.
15
dicembre 2012
Mauro Presutti – SILENT PLACES
Dal 15 al 29 dicembre 2012
fotografia
Location
OFFICINA SOLARE GALLERY
Termoli, Via Guglielmo Marconi, 2, (Campobasso)
Termoli, Via Guglielmo Marconi, 2, (Campobasso)
Vernissage
15 Dicembre 2012, h 18.30
Autore
Curatore