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Mauro Soggiu – Légèrement manipulés
Mostra personale
Comunicato stampa
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M A U R O S O G G I U NEW YORK VLORE
Légèrement manipulés Curator. luciana Memetaj
www.thepromenadegallery.org
La Pop Art comunque la si vede, da destra o da sinistra, ha influenzato il nostro inconscio. Difficile dire se senza i targets di Jasper Johns o il Brillo di Warhol saremmo stati felici lo stesso, però è certo che se non ci fossero stati, l’arte contemporanea sarebbe stata diversa e noi con lei. Quello che la Pop non è stata, è certamente una moda artistica legata alla jet society: è stato un fenomeno culturale e sociale mondiale (che dura ancora), un cambiamento di visione della realtà, il vero realismo per chi è nato dopo il 1945. È stata una deriva che ha saputo affermarsi come linguaggio dominante. E ciò è accaduto perché in Europa o negli USA soffiava lo stesso zeitgeist, che ha raccolto e portato in cielo un’armata di artisti che hanno saputo sbattere in faccia la realtà anche a chi stava ancora a baloccarsi con le tristezze dell’informale o le pitture&pitture che ormai facevano sbadigliare anche nelle accademie. Quello che resta non è la parrucca di Warhol, eroe tragico di un mondo che è ancora lì che festeggia, ma il fatto che il linguaggio dell’arte è sceso finalmente dal pero del romanticismo e dell’ineffabile, e ha parlato l’unico linguaggio possibile: quello delle cose attorno a noi. Per questo che Mauro Soggiu, dopo un bagno nell’Hudson, affronti i temi della Pop Art e soprattutto i suoi problemi, sembra la conferma che anche una generazione come quella attuale, o almeno i migliori di essa, si diano da fare per porsi il problema dell’origine: da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo. Senza fare della facile filosofia da talk show, Soggiu ha le idee chiare perché parte non dalla nascita della Pop, ovviamente, ma dai suoi esiti, cioè da ciò che è diventato nell’immaginario sociale. Certamente rifiuta il fatto che l’oggettualità si sia così fortemente legata al linguaggio pubblicitario e rifiuta anche la Pop come sistema di riferimento per buona parte del mercato dell’arte, con annessa la sua buona dose di violenza economica. Ma capisce che è sempre da lì che bisogna partire per qualsiasi discorso sulla contemporaneità. Non a caso gli sfondi dei suoi lavori sono dei blow up di bersagli più o meno alla Jasper Johns, magari con qualche memoria di Stella junior. C’è ancora il famoso potere del centro che sarà anche una costante della percezione umana, come ben sappiamo da Arnheim, ma certamente il linguaggio dei media l’ha saputo tradurre in una regola. E poi c’è l’effetto optical e psichedelico, allucinogeno, come se l’artista avesse sniffato al Moma o al Whitney la polvere di quella irripetibile stagione. In più Soggiu si cimenta egli stesso con il mondo degli oggetti: dalle bistecche pantagrueliche o flinstoniane (per restare in un immaginario pop da cui non si può uscire) fino a pesci, pillole, bicchieri pronti da bere, pistole e teschi (di mucca o bucrani, diremmo noi italici). Simboli a ben vedere tutti americani, perché le pistole lì si vendono nei supermercati, le pillole si producono e consumano alla grande e i teschi di mucca ricordano quelli celebri dell’artista simbolo delle stelle e strisce, quella Georgia O’Keefe che per prima ha raccontato in pittura la realtà del suo paese, usando spesso i colori della bandiera (bianco, rosso e azzurro) con evidente nazionalistico simbolismo. Questa immersione yankee di Soggiu non gli ha fatto perdere di vista né che è nato nel 1975 e neppure che proviene dalla profonda Europa. L’uso dei timbri per rimarcare le figure, per trasportare in chiave seriale ma non troppo le figure sulla tela, è un accorgimento che gli consente di essere Pop, ma nello stesso tempo di prenderne le distanze dall’eccessivo marketing consumistico secondo cui “essere è comprare”. Le immagini sono oggetti concreti, semplici, molto disegnati per forza di cose e di tecnica, ma sono liberi da ogni etichettatura. Non sono i prodotti di consumo, sono le “cose” che tutti, proprio tutti, possono usare e consumare. Il timbro è comunque una pratica manuale, non è certo il silkscreen warholiano. Ci vuole forza, l’intensità d’inchiostrazione è incostante. Allora questi oggetti sugli sfondi ipercolorati e felici che irradiano felicità dal centro alla periferia, cosa più che naturale e solare, costituiscono un modo per confermare di avere appreso la lezione, ma anche che bisogna, su questa, costruire un linguaggio proprio, anche se non condiviso a livello generazionale. Perché questo è un punto molto interessante: Soggiu non ha voglia di mettersi in fila per fare l’ennesima fotografia e l’ennesimo video in cui non accade nulla per troppi lunghissimi minuti. Vuole fare pittura perché ritiene che sia questa la frontiera attuale. La Storia, le storie, vanno amate per poter essere dimenticate. Così come la realtà ha bisogno di tempo per essere guardata: ogni sua replica non appartiene all’arte, ma alla sua eterna riproducibilità. Questo lo sappiamo bene perché tutto s’inscrive nel recinto del Tempo, invece la pittura ne vuole fare a meno, non può perdersi a contare le ore e i giorni. Per essere contemporanei bisogna starsene fuori, magari con un cavalletto e dei timbri in mano.
29 settembre - 3 novembre 2007
testo di Valerio Dehò per la galleria delle Bataglie di Brescia
Légèrement manipulés Curator. luciana Memetaj
www.thepromenadegallery.org
La Pop Art comunque la si vede, da destra o da sinistra, ha influenzato il nostro inconscio. Difficile dire se senza i targets di Jasper Johns o il Brillo di Warhol saremmo stati felici lo stesso, però è certo che se non ci fossero stati, l’arte contemporanea sarebbe stata diversa e noi con lei. Quello che la Pop non è stata, è certamente una moda artistica legata alla jet society: è stato un fenomeno culturale e sociale mondiale (che dura ancora), un cambiamento di visione della realtà, il vero realismo per chi è nato dopo il 1945. È stata una deriva che ha saputo affermarsi come linguaggio dominante. E ciò è accaduto perché in Europa o negli USA soffiava lo stesso zeitgeist, che ha raccolto e portato in cielo un’armata di artisti che hanno saputo sbattere in faccia la realtà anche a chi stava ancora a baloccarsi con le tristezze dell’informale o le pitture&pitture che ormai facevano sbadigliare anche nelle accademie. Quello che resta non è la parrucca di Warhol, eroe tragico di un mondo che è ancora lì che festeggia, ma il fatto che il linguaggio dell’arte è sceso finalmente dal pero del romanticismo e dell’ineffabile, e ha parlato l’unico linguaggio possibile: quello delle cose attorno a noi. Per questo che Mauro Soggiu, dopo un bagno nell’Hudson, affronti i temi della Pop Art e soprattutto i suoi problemi, sembra la conferma che anche una generazione come quella attuale, o almeno i migliori di essa, si diano da fare per porsi il problema dell’origine: da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo. Senza fare della facile filosofia da talk show, Soggiu ha le idee chiare perché parte non dalla nascita della Pop, ovviamente, ma dai suoi esiti, cioè da ciò che è diventato nell’immaginario sociale. Certamente rifiuta il fatto che l’oggettualità si sia così fortemente legata al linguaggio pubblicitario e rifiuta anche la Pop come sistema di riferimento per buona parte del mercato dell’arte, con annessa la sua buona dose di violenza economica. Ma capisce che è sempre da lì che bisogna partire per qualsiasi discorso sulla contemporaneità. Non a caso gli sfondi dei suoi lavori sono dei blow up di bersagli più o meno alla Jasper Johns, magari con qualche memoria di Stella junior. C’è ancora il famoso potere del centro che sarà anche una costante della percezione umana, come ben sappiamo da Arnheim, ma certamente il linguaggio dei media l’ha saputo tradurre in una regola. E poi c’è l’effetto optical e psichedelico, allucinogeno, come se l’artista avesse sniffato al Moma o al Whitney la polvere di quella irripetibile stagione. In più Soggiu si cimenta egli stesso con il mondo degli oggetti: dalle bistecche pantagrueliche o flinstoniane (per restare in un immaginario pop da cui non si può uscire) fino a pesci, pillole, bicchieri pronti da bere, pistole e teschi (di mucca o bucrani, diremmo noi italici). Simboli a ben vedere tutti americani, perché le pistole lì si vendono nei supermercati, le pillole si producono e consumano alla grande e i teschi di mucca ricordano quelli celebri dell’artista simbolo delle stelle e strisce, quella Georgia O’Keefe che per prima ha raccontato in pittura la realtà del suo paese, usando spesso i colori della bandiera (bianco, rosso e azzurro) con evidente nazionalistico simbolismo. Questa immersione yankee di Soggiu non gli ha fatto perdere di vista né che è nato nel 1975 e neppure che proviene dalla profonda Europa. L’uso dei timbri per rimarcare le figure, per trasportare in chiave seriale ma non troppo le figure sulla tela, è un accorgimento che gli consente di essere Pop, ma nello stesso tempo di prenderne le distanze dall’eccessivo marketing consumistico secondo cui “essere è comprare”. Le immagini sono oggetti concreti, semplici, molto disegnati per forza di cose e di tecnica, ma sono liberi da ogni etichettatura. Non sono i prodotti di consumo, sono le “cose” che tutti, proprio tutti, possono usare e consumare. Il timbro è comunque una pratica manuale, non è certo il silkscreen warholiano. Ci vuole forza, l’intensità d’inchiostrazione è incostante. Allora questi oggetti sugli sfondi ipercolorati e felici che irradiano felicità dal centro alla periferia, cosa più che naturale e solare, costituiscono un modo per confermare di avere appreso la lezione, ma anche che bisogna, su questa, costruire un linguaggio proprio, anche se non condiviso a livello generazionale. Perché questo è un punto molto interessante: Soggiu non ha voglia di mettersi in fila per fare l’ennesima fotografia e l’ennesimo video in cui non accade nulla per troppi lunghissimi minuti. Vuole fare pittura perché ritiene che sia questa la frontiera attuale. La Storia, le storie, vanno amate per poter essere dimenticate. Così come la realtà ha bisogno di tempo per essere guardata: ogni sua replica non appartiene all’arte, ma alla sua eterna riproducibilità. Questo lo sappiamo bene perché tutto s’inscrive nel recinto del Tempo, invece la pittura ne vuole fare a meno, non può perdersi a contare le ore e i giorni. Per essere contemporanei bisogna starsene fuori, magari con un cavalletto e dei timbri in mano.
29 settembre - 3 novembre 2007
testo di Valerio Dehò per la galleria delle Bataglie di Brescia
21
aprile 2010
Mauro Soggiu – Légèrement manipulés
Dal 21 aprile al 31 maggio 2010
arte contemporanea
Location
PROMENADE GALLERY CONTEMPORARY ART
Valona, Bulevardi Skele Uji Ftohte, AL_9401, (Valona)
Valona, Bulevardi Skele Uji Ftohte, AL_9401, (Valona)
Orario di apertura
da lunedì pomeriggio a sabato ore 10-12.30 e 16-19.30
Vernissage
21 Aprile 2010, ore 18
Autore
Curatore