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MEAT / NOBODY . Tra psiche e corpo: l’Altro
La carne può diventare ostacolo della psiche, in senso tanto fisico quanto metaforico. In questa installazione, Chiara Ventura utilizza il cibo per presentare come la carne risulti soffocante, difficile da masticare e da ingoiare.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
GATE 26A in collaborazione con ADIACENZE, in occasione del festivalfilosofia 2024, per questa edizione dedicata al tema psiche presenta MEAT/NOBODY di Chiara Ventura.
Non ho mai amato la carne cruda. Non so se gli altri commensali la pensino come me, ma non credo, dato che la tavolata elegante a cui siamo stati invitati sembra apprezzare la tartare di manzo che ci è stata servita. Tra una chiacchiera e l’altra, ingoiano boccone dopo boccone di quel piatto freddo. Io partecipo alla discussione distrattamente, giocherello con il cibo nel piatto. Sul fondo compare, una lettera dopo l’altra, la frase: «Le forze della polizia di Croazia e Slovenia bruciano sacchi a pelo, borsoni, requisiscono oggetti, effettuano pestaggi ai danni di migranti in transito». Potrebbe essere uno dei tanti titoli che ogni giorno scrollo sul mio smartphone. Ma ora Chiara me l’ha messo sul piatto, letteralmente, e lì, isolato tra quei bocconi di carne cruda, mi guarda e vuole essere letto, digerito. Mi rendo conto che era lui, e non la carne, la vera portata della cena. Un concentrato di violenza che chiude lo stomaco. Gli altri se ne sono accorti? La signora al mio fianco, che fino a qualche minuto prima sembrava mangiare con gusto, ora abbandona le posate a lato del piatto, e sospira contrita. Dice che il vino rosso che ha nel calice le sembra sangue. Ma c’è anche chi, dall’altra parte del tavolo, non rinuncia al pasto conviviale. L’ennesimo migrante morto nella traversata non intacca il suo appetito. Solo dopo aver terminato si sofferma sul testo, e scatta una foto con il suo telefono. Dal vociare di sottofondo emergono, una alla volta, le notizie lette ai vicini: «Marzo 2020-Genova: 4 uomini tra i 21 e i 35 anni offrono a una ragazza un passaggio a casa e la violentano in gruppo». «Schiavitù: 152 milioni di bambini nel mondo sono coinvolti nel lavoro minorile». «Una persona su 97 nel mondo è in fuga da conflitti, persecuzioni o violenze, pari a più dell’1 per cento della popolazione mondiale».
Sono dati, statistiche, fatti riguardanti violazioni di diritti umani, ingiustizie e ipocrisie, riportate con lo stile freddo e sintetico tipico delle testate giornalistiche. Sono testimonianze di un male «banale», come lo definisce la Arendt1, quel male che dilaga in superficie e che annienta le radici dell’essere umano, privandolo della libertà di agire, e di pensare, attraverso la violenza fisica e psicologica, l’omicidio, la sottomissione forzata, la negazione dei diritti primari. Penso che Chiara volesse provocarci, farci mettere in discussione davanti alla violenza che quei caratteri racchiudono. Come ci poniamo di fronte a queste informazioni? Come farcene carico?
Ripenso alla tartare. Ai bocconi piccoli che rendono la carne cruda più digeribile. Forse, oggi siamo in grado di assimilare tanta violenza solo per assaggi, in velocità (“mordi-e-fuggi”), per evitare l’indigestione.
MEAT / NOBODY Tra psiche e corpo: l'Altro
CHIARA VENTURA
Testo critico a cura di
Amerigo Mariotti e Giorgia Tronconi
13.09.2024 | 13.10.2024
© Chiara Ventura, Piatto freddo, PH: Nicola Massella
1 Hannah Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, 2016
Mi chiedo se sia una scelta oppure una soluzione obbligata, un meccanismo di difesa psicologico dalla portata dell’onda di informazioni che ogni giorno ci investe. Preferiamo scivolare sulla superficie opaca dell’infosfera che sembra proteggerci, dandoci la sensazione di essere “aggiornati”, ma tenendoci a distanza di sicurezza dalla realtà, senza andare a fondo. Il rischio, come ci ricorda il filosofo Byung Chul Han, è di perdere il contatto con il reale, con la materialità delle cose e dei corpi, con il sentire che ci rende umani. «Ci stiamo dirigendo», scrive Han, «verso un’epoca trans- e post- umana in cui la vita altro non è che mero scambio di informazioni. [...] Umano viene da humus, quindi dalla terra. La digitalizzazione è un passaggio coerente verso l’abolizione dell’humanum»2.
Questa volta è Chiara a mangiare. Si è apparecchiata una lingua di manzo bollita su un tagliere di legno. La camera è fissa su di lei, che con metodo taglia e ingoia un pezzo di carne alla volta. Mentre mastica, cerca di pronunciare i nomi delle vittime di femminicidio in Italia nell’arco di un anno, il 2020. Ma la bocca è piena, l’elenco è censurato, la sua voce distorta. Si intitola Mi chiamo fuori. Potrebbe sembrare una resa, un cedimento di indignazione di fronte all’impossibilità di contrastare un fenomeno di violenza dilagante. Invece è una spinta a reagire, a lottare, a non farsi tappare la bocca: “io non ci sto più”. Vuol dire mettere in scena il tentativo di ridare voce, rivendicare, far uscire allo scoperto i nomi delle vittime a cui insieme alla parola è stata tolta la vita, contro l’indifferenza di chi non vuole ascoltare, oltre la paura di chi non riesce a denunciare.
Forse sta qui, l’antidoto di Chiara all’informazione che anestetizza il dolore, alla violenza che rende disumani: andare alla ricerca dell’Altro, ridare dignità e presenza al suo corpo negato, aprire attraverso azioni empatiche nuove forme di riflessione su ciò che avviene dentro e fuori di noi. Un ponte per scalfire la superficie.
Testo di Giorgia Tronconi
Non ho mai amato la carne cruda. Non so se gli altri commensali la pensino come me, ma non credo, dato che la tavolata elegante a cui siamo stati invitati sembra apprezzare la tartare di manzo che ci è stata servita. Tra una chiacchiera e l’altra, ingoiano boccone dopo boccone di quel piatto freddo. Io partecipo alla discussione distrattamente, giocherello con il cibo nel piatto. Sul fondo compare, una lettera dopo l’altra, la frase: «Le forze della polizia di Croazia e Slovenia bruciano sacchi a pelo, borsoni, requisiscono oggetti, effettuano pestaggi ai danni di migranti in transito». Potrebbe essere uno dei tanti titoli che ogni giorno scrollo sul mio smartphone. Ma ora Chiara me l’ha messo sul piatto, letteralmente, e lì, isolato tra quei bocconi di carne cruda, mi guarda e vuole essere letto, digerito. Mi rendo conto che era lui, e non la carne, la vera portata della cena. Un concentrato di violenza che chiude lo stomaco. Gli altri se ne sono accorti? La signora al mio fianco, che fino a qualche minuto prima sembrava mangiare con gusto, ora abbandona le posate a lato del piatto, e sospira contrita. Dice che il vino rosso che ha nel calice le sembra sangue. Ma c’è anche chi, dall’altra parte del tavolo, non rinuncia al pasto conviviale. L’ennesimo migrante morto nella traversata non intacca il suo appetito. Solo dopo aver terminato si sofferma sul testo, e scatta una foto con il suo telefono. Dal vociare di sottofondo emergono, una alla volta, le notizie lette ai vicini: «Marzo 2020-Genova: 4 uomini tra i 21 e i 35 anni offrono a una ragazza un passaggio a casa e la violentano in gruppo». «Schiavitù: 152 milioni di bambini nel mondo sono coinvolti nel lavoro minorile». «Una persona su 97 nel mondo è in fuga da conflitti, persecuzioni o violenze, pari a più dell’1 per cento della popolazione mondiale».
Sono dati, statistiche, fatti riguardanti violazioni di diritti umani, ingiustizie e ipocrisie, riportate con lo stile freddo e sintetico tipico delle testate giornalistiche. Sono testimonianze di un male «banale», come lo definisce la Arendt1, quel male che dilaga in superficie e che annienta le radici dell’essere umano, privandolo della libertà di agire, e di pensare, attraverso la violenza fisica e psicologica, l’omicidio, la sottomissione forzata, la negazione dei diritti primari. Penso che Chiara volesse provocarci, farci mettere in discussione davanti alla violenza che quei caratteri racchiudono. Come ci poniamo di fronte a queste informazioni? Come farcene carico?
Ripenso alla tartare. Ai bocconi piccoli che rendono la carne cruda più digeribile. Forse, oggi siamo in grado di assimilare tanta violenza solo per assaggi, in velocità (“mordi-e-fuggi”), per evitare l’indigestione.
MEAT / NOBODY Tra psiche e corpo: l'Altro
CHIARA VENTURA
Testo critico a cura di
Amerigo Mariotti e Giorgia Tronconi
13.09.2024 | 13.10.2024
© Chiara Ventura, Piatto freddo, PH: Nicola Massella
1 Hannah Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, 2016
Mi chiedo se sia una scelta oppure una soluzione obbligata, un meccanismo di difesa psicologico dalla portata dell’onda di informazioni che ogni giorno ci investe. Preferiamo scivolare sulla superficie opaca dell’infosfera che sembra proteggerci, dandoci la sensazione di essere “aggiornati”, ma tenendoci a distanza di sicurezza dalla realtà, senza andare a fondo. Il rischio, come ci ricorda il filosofo Byung Chul Han, è di perdere il contatto con il reale, con la materialità delle cose e dei corpi, con il sentire che ci rende umani. «Ci stiamo dirigendo», scrive Han, «verso un’epoca trans- e post- umana in cui la vita altro non è che mero scambio di informazioni. [...] Umano viene da humus, quindi dalla terra. La digitalizzazione è un passaggio coerente verso l’abolizione dell’humanum»2.
Questa volta è Chiara a mangiare. Si è apparecchiata una lingua di manzo bollita su un tagliere di legno. La camera è fissa su di lei, che con metodo taglia e ingoia un pezzo di carne alla volta. Mentre mastica, cerca di pronunciare i nomi delle vittime di femminicidio in Italia nell’arco di un anno, il 2020. Ma la bocca è piena, l’elenco è censurato, la sua voce distorta. Si intitola Mi chiamo fuori. Potrebbe sembrare una resa, un cedimento di indignazione di fronte all’impossibilità di contrastare un fenomeno di violenza dilagante. Invece è una spinta a reagire, a lottare, a non farsi tappare la bocca: “io non ci sto più”. Vuol dire mettere in scena il tentativo di ridare voce, rivendicare, far uscire allo scoperto i nomi delle vittime a cui insieme alla parola è stata tolta la vita, contro l’indifferenza di chi non vuole ascoltare, oltre la paura di chi non riesce a denunciare.
Forse sta qui, l’antidoto di Chiara all’informazione che anestetizza il dolore, alla violenza che rende disumani: andare alla ricerca dell’Altro, ridare dignità e presenza al suo corpo negato, aprire attraverso azioni empatiche nuove forme di riflessione su ciò che avviene dentro e fuori di noi. Un ponte per scalfire la superficie.
Testo di Giorgia Tronconi
13
settembre 2024
MEAT / NOBODY . Tra psiche e corpo: l’Altro
Dal 13 settembre al 13 ottobre 2024
arti performative
Location
GATE 26A
Modena, Via Carteria, 26A, (Modena)
Modena, Via Carteria, 26A, (Modena)
Orario di apertura
Orari durante il festivalfilosofia:
Venerdì 13 settembre ore 9.00 – 23.00
Sabato 14 settembre ore 9.00 – 23.00
Domenica 15 settembre ore 9.00 – 21.00
Dopo il festival:
Sabato e domenica ore 16.00 – 20.00
Vernissage
14 Settembre 2024, 18.00
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