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Mediterraneo Mare di Pace
Il Mediterraneo (teatro d’antichi scambi ma anche di problematiche socio-politiche) e l’aspirazione alla Pace: sono questi i temi esplorati nella mostra, nella convinzione che l’arte possa trasformarsi in una sorta di amalgama tra culture diverse
Comunicato stampa
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di Alice Barontini
«Mediterraneo, mare di Pace»: è questo il titolo della mostra collettiva d’arte contemporanea allestita nella Sala Telemaco Signorini di Portoferraio. Un titolo che riassume due temi portanti di quest’esposizione: da un lato il Mediterraneo, culla d’antiche civiltà, mare che bagna tre continenti così diversi e ricchi d’identità come l’Africa, l’Europa e l’Asia. Dall’altro il concetto di Pace che, in questo caso, può esser letta soprattutto come “aspirazione”. In un contesto come quello del Mediterraneo, oggi teatro d’antichi e continui scambi ma anche di situazioni conflittuali e di dolorose problematiche socio-politiche, la condizione di Pace infatti è diventata un obiettivo da raggiungere. Questa mostra che raccoglie le opere di diciotto artisti che, per origine o per lavoro, hanno avuto in qualche modo a che fare con il Mediterraneo, si pone così fin dall’inizio come una speranza e insieme un impegno, nella convinzione che l’arte possa davvero trasformarsi in una sorta di amalgama, in un lasciapassare culturale in grado di oltrepassare i confini dei diversi paesi che si affacciano su questo grande mare.
Tra gli artisti in mostra, colui che è stato legato forse più profondamente al concetto di Mediterraneo è Marino Marini, in mostra con un’incisione su carta che ha come tema quello dei «Giocolieri». La sorella e poetessa Egle ha infatti scritto: «Marino nasce mediterraneo nella conca tirrena, terra d’antica vena in cui egli affonda le sue radici fisiche e morali e ove insistono l’amore per il campo, l’ombra serena di Giotto, la scarnità umana di Masaccio e quella dell’agitato modernissimo Pisano». La serie dei giocolieri che Marini inizia a realizzare nel dopoguerra e che occupa il posto del tema della Pomona (simbolo della fertilità, della femminilità prosperosa ed accogliente) è caratterizzata da forme allungate e quasi scarnificate. Una variazione stilistica rispetto al passato che risente fortemente degli avvenimenti bellici, in cui l’uomo annulla se stesso, la sua dignità e il suo valore. Del resto, quanto un’esperienza tragica come quella della guerra, generatrice di caos interiore ed esteriore, può plasmare lo stile e influire sulle tematiche di un artista, si vede bene nelle poetiche di altri protagonisti di questa esposizione. Per esempio nella gestualità di Emilio Vedova (artista che conobbe bene questa tragica realtà, visto che partecipò anche alla Resistenza) che nell’impeto della sua creatività dà vita a violente pennellate nere che si stagliano potentemente sullo sfondo bianco della composizione, andando a creare una sorta di conflitto tra energie opposte. O, ancora, nel décollage di Mimmo Rotella in cui l’artista interviene pittoricamente su manifesti rossi lacerati e incollati su tela tracciando la scritta nera WAR (ovvero GUERRA), che rimanda per certi versi al mondo dei graffitari. Per non parlare delle figure di Valdimir Velickovic che, nato a Belgrado, è stato spettatore dei conflitti che hanno coinvolto il suo paese: una tragedia che traspare dal segno secco e nudo delle sue opere, in cui è evocato il dramma della morte e della violenza attraverso l’accumulo di membra e muscolature, pezzi d’architetture e inattesi guizzi rossi di colore. Un segno potente anche quello dell’esponente dell’astrattismo italiano Vinicio Berti, presente con un’opera dal singolare impatto e forza espressiva come «Guardare in lato (Decisamene)», in cui il gesto del pittore lacera lo spazio per andare a costruire architetture verticali. Di Giulio Turcato è in mostra un dipinto della serie «Comizi», interessante tanto per l’impianto formale e i cromatismi accesi quanto per l’impegno social-politico dell’artista, evidente in quelle forme rosse triangolari iterate che invadono la tela ed evocano chiaramente le bandiere rosse di un comizio. Un motivo che ritorna nel dipinto di Fulvio Gigli dove i toni del bianco e del grigio della composizione sono interrotti dal rosso vivo di una bandiera, sotto di cui s’intravede il sacrificio di un uomo che giace a terra. Dall’alto tasso simbolico sono poi la scultura «Pressa» di Renzo Manteri, le «Ali» di Mario Ceroli in legno naturale sagomato e la serigrafia su carta di Christo, che punta tutto sulla modificazione percettiva di alcuni luoghi, monumenti o edifici simbolici negando enigmaticamente la loro realtà attraverso l’impacchettamento. E’ maestro del processo d’astrazione simbolica Giuseppe Zigaina che mette al centro della sua opera, impostata sul tonalismo di bruni e bianchi lattiginosi, una farfalla notturna, simbolo dell’anima liberata dall’involucro del corpo. «Tutte stelle» è la serigrafia del 1970 di Mario Schifano che in questa serie di opere dedicate al tema delle stelle mette in luce l’influenza dalla Pop Art e la sua innata vocazione per lo sperimentalismo e la contaminazione mentre l’artista e intellettuale Renato Guttuso, profondamente attento dalla realtà, in un disegno rende con pochi tratti di china una donna in reggicalze messa al rogo: una denuncia forte nei confronti delle condizioni delle donne e dei falsi perbenismi. Ha i toni della denuncia anche l’opera dipinta dall’artista livornese Claudia Cei che, su uno sfondo dorato capace di regalare all’intera composizione il sapore sacrale dell’icona, inserisce una «Camicia di Forza» evocante la presenza umana attraverso le pieghe tese del tessuto e le maniche incrociate in un gesto di costrizione, proprio come se al loro interno si muovessero delle braccia sofferenti: metafora di tutte quelle sovrastrutture che imprigionano la nostra anima impedendoci una pace interiore.
Quella per cui lotta anche il Sant’Antonio di Dalì nella litografia su carta «Le tentazioni di Sant’Antonio» dove il santo appare tormentato da inquietanti e fantastiche visioni, contro di cui si oppone sollevando in aria un crocefisso. I toni aerei ed eleganti di questa litografia ci riportano in qualche modo all’atmosfera sospesa e quasi sacrale emanata dalla scultura di legno naturale firmata dall’artista Antonio Vinciguerra che indagando la forma chiusa, essenziale e mistica dell’uovo - da sempre simbolo di vita - innesca in chi osserva continue riflessioni sul senso ultimo dell’esistenza, misteriosamente evocato da un cassetto che intervalla la forma assoluta dell’uovo e che lascia intravedere al suo interno un altro piccolo uovo ligneo.
Dalle atmosfere vagamente metafisiche il dittico di Mauro Rossetti, artista livornese che punta l’accento sul tema ecologico mettendo in scena una sorta di “teatro” in cui si effettua la biopsia di una rana, inserita in un ambiente silenzioso e freddo, quasi chirurgico.
Per concludere infine con Roberto Colonnacchi che porta un dipinto della serie ispirata al «Don Chisciotte», il cavaliere errante che si batte contro le ingiustizie e le nefandezze della guerra seguendo ideali di pace. Un esempio cui si dovrebbe far riferimento più spesso, anche a costo di essere guardati qualche volta come folli e testardi idealisti.
«Mediterraneo, mare di Pace»: è questo il titolo della mostra collettiva d’arte contemporanea allestita nella Sala Telemaco Signorini di Portoferraio. Un titolo che riassume due temi portanti di quest’esposizione: da un lato il Mediterraneo, culla d’antiche civiltà, mare che bagna tre continenti così diversi e ricchi d’identità come l’Africa, l’Europa e l’Asia. Dall’altro il concetto di Pace che, in questo caso, può esser letta soprattutto come “aspirazione”. In un contesto come quello del Mediterraneo, oggi teatro d’antichi e continui scambi ma anche di situazioni conflittuali e di dolorose problematiche socio-politiche, la condizione di Pace infatti è diventata un obiettivo da raggiungere. Questa mostra che raccoglie le opere di diciotto artisti che, per origine o per lavoro, hanno avuto in qualche modo a che fare con il Mediterraneo, si pone così fin dall’inizio come una speranza e insieme un impegno, nella convinzione che l’arte possa davvero trasformarsi in una sorta di amalgama, in un lasciapassare culturale in grado di oltrepassare i confini dei diversi paesi che si affacciano su questo grande mare.
Tra gli artisti in mostra, colui che è stato legato forse più profondamente al concetto di Mediterraneo è Marino Marini, in mostra con un’incisione su carta che ha come tema quello dei «Giocolieri». La sorella e poetessa Egle ha infatti scritto: «Marino nasce mediterraneo nella conca tirrena, terra d’antica vena in cui egli affonda le sue radici fisiche e morali e ove insistono l’amore per il campo, l’ombra serena di Giotto, la scarnità umana di Masaccio e quella dell’agitato modernissimo Pisano». La serie dei giocolieri che Marini inizia a realizzare nel dopoguerra e che occupa il posto del tema della Pomona (simbolo della fertilità, della femminilità prosperosa ed accogliente) è caratterizzata da forme allungate e quasi scarnificate. Una variazione stilistica rispetto al passato che risente fortemente degli avvenimenti bellici, in cui l’uomo annulla se stesso, la sua dignità e il suo valore. Del resto, quanto un’esperienza tragica come quella della guerra, generatrice di caos interiore ed esteriore, può plasmare lo stile e influire sulle tematiche di un artista, si vede bene nelle poetiche di altri protagonisti di questa esposizione. Per esempio nella gestualità di Emilio Vedova (artista che conobbe bene questa tragica realtà, visto che partecipò anche alla Resistenza) che nell’impeto della sua creatività dà vita a violente pennellate nere che si stagliano potentemente sullo sfondo bianco della composizione, andando a creare una sorta di conflitto tra energie opposte. O, ancora, nel décollage di Mimmo Rotella in cui l’artista interviene pittoricamente su manifesti rossi lacerati e incollati su tela tracciando la scritta nera WAR (ovvero GUERRA), che rimanda per certi versi al mondo dei graffitari. Per non parlare delle figure di Valdimir Velickovic che, nato a Belgrado, è stato spettatore dei conflitti che hanno coinvolto il suo paese: una tragedia che traspare dal segno secco e nudo delle sue opere, in cui è evocato il dramma della morte e della violenza attraverso l’accumulo di membra e muscolature, pezzi d’architetture e inattesi guizzi rossi di colore. Un segno potente anche quello dell’esponente dell’astrattismo italiano Vinicio Berti, presente con un’opera dal singolare impatto e forza espressiva come «Guardare in lato (Decisamene)», in cui il gesto del pittore lacera lo spazio per andare a costruire architetture verticali. Di Giulio Turcato è in mostra un dipinto della serie «Comizi», interessante tanto per l’impianto formale e i cromatismi accesi quanto per l’impegno social-politico dell’artista, evidente in quelle forme rosse triangolari iterate che invadono la tela ed evocano chiaramente le bandiere rosse di un comizio. Un motivo che ritorna nel dipinto di Fulvio Gigli dove i toni del bianco e del grigio della composizione sono interrotti dal rosso vivo di una bandiera, sotto di cui s’intravede il sacrificio di un uomo che giace a terra. Dall’alto tasso simbolico sono poi la scultura «Pressa» di Renzo Manteri, le «Ali» di Mario Ceroli in legno naturale sagomato e la serigrafia su carta di Christo, che punta tutto sulla modificazione percettiva di alcuni luoghi, monumenti o edifici simbolici negando enigmaticamente la loro realtà attraverso l’impacchettamento. E’ maestro del processo d’astrazione simbolica Giuseppe Zigaina che mette al centro della sua opera, impostata sul tonalismo di bruni e bianchi lattiginosi, una farfalla notturna, simbolo dell’anima liberata dall’involucro del corpo. «Tutte stelle» è la serigrafia del 1970 di Mario Schifano che in questa serie di opere dedicate al tema delle stelle mette in luce l’influenza dalla Pop Art e la sua innata vocazione per lo sperimentalismo e la contaminazione mentre l’artista e intellettuale Renato Guttuso, profondamente attento dalla realtà, in un disegno rende con pochi tratti di china una donna in reggicalze messa al rogo: una denuncia forte nei confronti delle condizioni delle donne e dei falsi perbenismi. Ha i toni della denuncia anche l’opera dipinta dall’artista livornese Claudia Cei che, su uno sfondo dorato capace di regalare all’intera composizione il sapore sacrale dell’icona, inserisce una «Camicia di Forza» evocante la presenza umana attraverso le pieghe tese del tessuto e le maniche incrociate in un gesto di costrizione, proprio come se al loro interno si muovessero delle braccia sofferenti: metafora di tutte quelle sovrastrutture che imprigionano la nostra anima impedendoci una pace interiore.
Quella per cui lotta anche il Sant’Antonio di Dalì nella litografia su carta «Le tentazioni di Sant’Antonio» dove il santo appare tormentato da inquietanti e fantastiche visioni, contro di cui si oppone sollevando in aria un crocefisso. I toni aerei ed eleganti di questa litografia ci riportano in qualche modo all’atmosfera sospesa e quasi sacrale emanata dalla scultura di legno naturale firmata dall’artista Antonio Vinciguerra che indagando la forma chiusa, essenziale e mistica dell’uovo - da sempre simbolo di vita - innesca in chi osserva continue riflessioni sul senso ultimo dell’esistenza, misteriosamente evocato da un cassetto che intervalla la forma assoluta dell’uovo e che lascia intravedere al suo interno un altro piccolo uovo ligneo.
Dalle atmosfere vagamente metafisiche il dittico di Mauro Rossetti, artista livornese che punta l’accento sul tema ecologico mettendo in scena una sorta di “teatro” in cui si effettua la biopsia di una rana, inserita in un ambiente silenzioso e freddo, quasi chirurgico.
Per concludere infine con Roberto Colonnacchi che porta un dipinto della serie ispirata al «Don Chisciotte», il cavaliere errante che si batte contro le ingiustizie e le nefandezze della guerra seguendo ideali di pace. Un esempio cui si dovrebbe far riferimento più spesso, anche a costo di essere guardati qualche volta come folli e testardi idealisti.
15
maggio 2009
Mediterraneo Mare di Pace
Dal 15 al 24 maggio 2009
arte contemporanea
Location
SALA TELEMACO SIGNORINI
Portoferraio, Calata Giuseppe Mazzini, (Livorno)
Portoferraio, Calata Giuseppe Mazzini, (Livorno)
Orario di apertura
10-13 e 18-23
Vernissage
15 Maggio 2009, ore 18
Autore