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Memorie Condivise
Le opere presenti in mostra rappresentano opere pittoriche, scultoree e fotografiche realizzate dagli studenti del Liceo con il supporto
dei docenti Marina Cuccus, Monica Lugas, Mauro Rizzo e Maria Cristina Sotgia.
Comunicato stampa
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Affrontare il tema della Shoah equivale ad aprire una finestra sulla storia del Novecento e su quella ben più ampia dell’intera modernità, della quale questa tragedia mette in luce contraddizioni, matrici culturali e ideologiche.
Se è impensabile immaginare tale fenomeno storico al di fuori di un’organizzazione razionale e industriale della società e dei suoi moderni sistemi di produzione, allora affrontare il tema dell’Olocausto significa anche misurarsi con le caratteristiche fondanti e peculiari del nostro stesso sistema e della nostra cultura, come amava ripetere Hannah Arendt.
Ecco perché la scuola deve assumersi per intero la responsabilità di insegnare e di ricordare la Shoah. Ricordare come imperativo categorico, come dovere morale, come consapevolezza storica, come interrogazione, come incessante ricerca nel passato di una risposta per il presente e il futuro. Una risposta che non è solo nella memoria e nel pensiero, ma che si manifesta piuttosto nell’azione e nella libertà critica che solo a una cultura democratica si possono pretendere.
Ricordare, dunque, e raccontare, ovunque e comunque, non importa con quale strumento narrativo, non importa se in antitesi a quelle voci pur autorevoli che – se già in passato Adorno ammoniva che scrivere una poesia dopo Auschwitz poteva essere un “atto di barbarie” - ancora oggi sostengono l’impossibilità di una rappresentazione adeguata di fatti così enormi nella loro spaventevole atrocità.
Ma quale può essere, fra i tanti possibili o impossibili in questa galleria di indicibili orrori, l’oggetto di tale narrazione? Quale, se non quello intimamente frutto della soggettiva sensibilità di chi umile si affaccia a quella finestra e con sgomento si appresta a tentare di comprendere, volgendo lo sguardo verso il mistero della conoscenza?
Se, sotto l’aspetto teorico, il percorso didattico si è sviluppato principalmente intorno al rapporto tra i totalitarismi e l’arte, nel tentativo di mettere in luce la duplice natura – funzionale o “degenerata” - che quest’ultima può agli estremi assumere in relazione ai primi, dal punto di vista dell’approccio tecnico/pittorico il filo conduttore è stato proprio la ricerca dell’oggetto semantico narrabile e della sua soggettiva rappresentazione.
Come prevedibile, la ricerca ha condotto a risultati diversi e per contenuto (la scelta dell’oggetto della narrazione) e per modalità di rappresentazione (la scelta della tecnica pittorica) e per qualità esecutiva. Tuttavia l’osservatore attento dell’intero percorso conoscitivo non potrà non cogliere, tra le diversità, un elemento comune: la rappresentazione non rimane mai a livello di semplice traslitterazione di pensiero ed emozioni. Si fa essa stessa narrazione .
Narra ad esempio della sofferenza dei corpi, della triste condizione del prigioniero, della coercizione, dei fili spinati, della deformazione del senso della vita e della morte, e lo fa attraverso la rappresentazione di immagini di corpi pittorici che divengono didascalia dei corrispettivi corpi di carne, lasciando emergere una familiarità innaturale con la violenza e l’annientamento.
In altre opere il piano della ricerca si sposta invece su un livello critico più profondo, il taglio si fa psicologico e in alcuni casi perfino “intimo”. La metamorfosi qui è già compiuta: i prigionieri del Lager hanno ormai perduto definitivamente la condizione umana, trasformandosi in un “nessuno” indistinto e irriconoscibile destinato a sprofondare nell’abisso della morte. Prevalgono i temi della perdita d’identità, della disumanizzazione, del totale smarrimento del senso del sé, della lenta graduale e inesorabile demolizione dell’uomo.
Ecco allora che la fisicità oggettiva dei corpi si deforma, si trasfigura, si disgrega, lasciando solo occhi enormi e orecchie dilatate a riempire il non-luogo delle tele. Appaiono corpi e volti-contenitori, scatole vuote, sguardi che non conservano più alcun barlume d’umanità, sospesi su sfondi neri come l’abisso. Le anime son bruciate nei forni insieme ai corpi che le avevano ospitate.
Questo catalogo è in effetti la sintesi dei tentativi di rappresentazione operati dagli studenti/artisti – artisti/studenti. Esso non si propone quale contenitore di “opere prime” – che pure sono presenti -, né tanto meno quale vetrina per “giovani talenti”; vuole piuttosto attirare l’attenzione sulla loro passionale ricerca e mostrarne i risultati.
Maria Cristina Sotgia
Se è impensabile immaginare tale fenomeno storico al di fuori di un’organizzazione razionale e industriale della società e dei suoi moderni sistemi di produzione, allora affrontare il tema dell’Olocausto significa anche misurarsi con le caratteristiche fondanti e peculiari del nostro stesso sistema e della nostra cultura, come amava ripetere Hannah Arendt.
Ecco perché la scuola deve assumersi per intero la responsabilità di insegnare e di ricordare la Shoah. Ricordare come imperativo categorico, come dovere morale, come consapevolezza storica, come interrogazione, come incessante ricerca nel passato di una risposta per il presente e il futuro. Una risposta che non è solo nella memoria e nel pensiero, ma che si manifesta piuttosto nell’azione e nella libertà critica che solo a una cultura democratica si possono pretendere.
Ricordare, dunque, e raccontare, ovunque e comunque, non importa con quale strumento narrativo, non importa se in antitesi a quelle voci pur autorevoli che – se già in passato Adorno ammoniva che scrivere una poesia dopo Auschwitz poteva essere un “atto di barbarie” - ancora oggi sostengono l’impossibilità di una rappresentazione adeguata di fatti così enormi nella loro spaventevole atrocità.
Ma quale può essere, fra i tanti possibili o impossibili in questa galleria di indicibili orrori, l’oggetto di tale narrazione? Quale, se non quello intimamente frutto della soggettiva sensibilità di chi umile si affaccia a quella finestra e con sgomento si appresta a tentare di comprendere, volgendo lo sguardo verso il mistero della conoscenza?
Se, sotto l’aspetto teorico, il percorso didattico si è sviluppato principalmente intorno al rapporto tra i totalitarismi e l’arte, nel tentativo di mettere in luce la duplice natura – funzionale o “degenerata” - che quest’ultima può agli estremi assumere in relazione ai primi, dal punto di vista dell’approccio tecnico/pittorico il filo conduttore è stato proprio la ricerca dell’oggetto semantico narrabile e della sua soggettiva rappresentazione.
Come prevedibile, la ricerca ha condotto a risultati diversi e per contenuto (la scelta dell’oggetto della narrazione) e per modalità di rappresentazione (la scelta della tecnica pittorica) e per qualità esecutiva. Tuttavia l’osservatore attento dell’intero percorso conoscitivo non potrà non cogliere, tra le diversità, un elemento comune: la rappresentazione non rimane mai a livello di semplice traslitterazione di pensiero ed emozioni. Si fa essa stessa narrazione .
Narra ad esempio della sofferenza dei corpi, della triste condizione del prigioniero, della coercizione, dei fili spinati, della deformazione del senso della vita e della morte, e lo fa attraverso la rappresentazione di immagini di corpi pittorici che divengono didascalia dei corrispettivi corpi di carne, lasciando emergere una familiarità innaturale con la violenza e l’annientamento.
In altre opere il piano della ricerca si sposta invece su un livello critico più profondo, il taglio si fa psicologico e in alcuni casi perfino “intimo”. La metamorfosi qui è già compiuta: i prigionieri del Lager hanno ormai perduto definitivamente la condizione umana, trasformandosi in un “nessuno” indistinto e irriconoscibile destinato a sprofondare nell’abisso della morte. Prevalgono i temi della perdita d’identità, della disumanizzazione, del totale smarrimento del senso del sé, della lenta graduale e inesorabile demolizione dell’uomo.
Ecco allora che la fisicità oggettiva dei corpi si deforma, si trasfigura, si disgrega, lasciando solo occhi enormi e orecchie dilatate a riempire il non-luogo delle tele. Appaiono corpi e volti-contenitori, scatole vuote, sguardi che non conservano più alcun barlume d’umanità, sospesi su sfondi neri come l’abisso. Le anime son bruciate nei forni insieme ai corpi che le avevano ospitate.
Questo catalogo è in effetti la sintesi dei tentativi di rappresentazione operati dagli studenti/artisti – artisti/studenti. Esso non si propone quale contenitore di “opere prime” – che pure sono presenti -, né tanto meno quale vetrina per “giovani talenti”; vuole piuttosto attirare l’attenzione sulla loro passionale ricerca e mostrarne i risultati.
Maria Cristina Sotgia
30
maggio 2009
Memorie Condivise
Dal 30 al 31 maggio 2009
fotografia
arte contemporanea
giovane arte
arte contemporanea
giovane arte
Location
CONVENTO DEI CAPPUCCINI
Quartu Sant'elena, Via Brigata Sassari, (Cagliari)
Quartu Sant'elena, Via Brigata Sassari, (Cagliari)
Vernissage
30 Maggio 2009, ore 18 e Performance teatrale dal titolo
“Memorie Condivise” ore 19
Sito web
www.liceoartisticocagliari.it