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Metafotografia (2). Le mutazioni delle immagini
Metafotografia è una mostra collettiva che raccoglie gli artisti inclusi in una ricerca, e una pubblicazione, iniziata nell’ambito della fotografia italiana a cavallo tra il primo e il secondo decennio del Duemila.
Comunicato stampa
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Metafotografia non è un movimento artistico. Non è nemmeno una forma tardiva di avanguardia. È il nome modificabile che è stato dato a un processo aperto, a una ricerca iniziata nell’ambito della fotografia italiana a cavallo tra il primo e il secondo decennio del Duemila.
Mauro Zanchi e Sara Benaglia hanno aperto un dialogo con ciascun/a artista, al fine di dare voce a ognuno/a, evitando di sovrascrivere e di sovra-determinare.
La direzione esplorativa è la distinzione disciplinare tra fotografia e arti visive, per cui sono state privilegiate quelle ricerche che rendono sempre meno netto questo confine.
La distinzione tra fotografia e immagine si fa ogni giorno più sottile.
Metafotografia non è solo un testo che non parla di fotografia, ma è anche una pubblicazione che vuole immaginare come si possa costruire un coro a più voci per raccontare come stia cambiando oggi il modo di fare e pensare l’immagine, dentro e oltre i mezzi che le producono. Si è dato spazio, senza manometterlo, al modo di pensare dell’artista, aprendo con lui/lei/loro una riflessione sul modo di lavorare.
Metafotografia non è il catalogo di una mostra collettiva, ma piuttosto è un tentativo collettivo di ripensare insieme i termini, i limiti e le logiche con cui scriviamo la fotografia e avanziamo sconfinamenti da essa.
Metafotografia non è (solo) fotografia: le immagini artificiali, create da algoritmi che elaborano dati hanno una temporalità diversa da quella della fotografia classica. Esse accolgono nel loro processo produttivo una prevedibilità che distorce in esse una certa linearità temporale. L’algoritmo dei processi digitali fa sì che una parte del loro futuro sia già stata decisa. La macchina è in grado di produrre una omogeneità genetica in un capitalismo della sorveglianza che non è un contesto esterno, perché generato dai dati dell’esperienza umana. Metafotografia non è una novità. Questa ricerca non persegue una certa forma di progresso nella forma estetica. È anzi una forma dialogica di messa in crisi delle implicazioni che ha l’applicazione di un modello temporale potenzialmente progressista.
Il capitalismo della sorveglianza ha varcato la soglia delle nostre vite interiori, per cui il timore è che anche la produzione visiva e culturale di ciascuno sia ampiamente premeditata perché eteronoma, ovvero regolata da altri, su un cammino che porterebbe alla convergenza di uomo e macchina. Metafotografia non può essere quindi altro che una reazione visiva collettiva alla traiettoria logica dei media automatizzati, che leggiamo come un’anticipazione verso l’automazione della soggettività.
Metafotografia tenta di mostrare ciò che la fotografia non ha ancora "fotografato", perché è qualcosa che le sta oltre, in un'alterità non definibile, che probabilmente la trascende. Potrebbero essere le immagini dell'alterità, delle proiezioni oniriche, dell’inconscio, dei desideri non consapevoli, le preveggenze, o altro ancora, che ora non siamo in grado di immaginare. Questo nuovo tentativo prova a stare anche fuori dalla fotografia tradizionale, a osservarla da una certa distanza, per capire cosa non sia stato ancora messo in azione nel processo e per dilatare il linguaggio. In quel “fuori” c’è probabilmente un potenziale inespresso. Non si tratta di voler vedere sempre di più, oltre il visibile. E nemmeno di scoprire ciò che si cela nell’invisibile, semmai sia individuabile come un’altra declinazione di ciò che potenzialmente possiamo percepire con il senso della vista. E non si tratta nemmeno di rispecchiare un tradizionale desiderio di cattura e dominio del "reale". Potrebbe essere anche solo un’ulteriore rievocazione compulsiva di una perdita inconscia, un altro salto nell’interpretazione. E non si tratta altresì di lavorare contro la fotografia, producendo immagini che inneschino virus o cortocircuiti negli atteggiamenti compulsivi dell’appropriazione estetica. Non si tratta nemmeno di riuscire a vedere il vedere o di costruire un cannocchiale che veda se stesso. E nemmeno l’atto di saper scorgere qualcosa che è già dentro la nostra testa o nella struttura dell’esperienza o in ciò che gli strumenti tecnologici formano il reale a nostra immagine e somiglianza. Metafotografia semmai è un campo per allenarsi a non pensare che l’atto del vedere sia assorbire in modo neutro qualcosa che sta lì di fronte bello e fatto, ad andare oltre i limiti del visibile, al di là delle entità che ancora non vediamo, oltre l’illusione che esista qualcosa che si possa sentire solo con la vista.
Metafotografia (2) è stato selezionato come migliore progetto fra i 48 partecipanti da tutta Italia a Exhibit program 2020, il bando elaborato dal Ministero dei Beni Culturali per incentivare le buone pratiche e la qualità delle mostre d’arte contemporanea in musei pubblici e spazi no profit. I diversi progetti sono stati vagliati da una commissione d’eccezione, presieduta da Fabio De Chirico, Presidente della Direzione Generale Creatività Contemporanea; Giulia Ferracci, Curatrice presso il Museo MAXXI di Roma; Luca Lo Pinto, Direttore del Museo MACRO di Roma; Cecilia Guida, Docente di Storia dell’arte contemporanea all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino; Denise Ottavia Tamborrino, Funzionario MiBACT per la Direzione Regionale Musei Emilia Romagna e vicepresidente del Comitato tecnico-scientifico per l’arte e l’architettura contemporanee del MiBACT.
Mauro Zanchi e Sara Benaglia hanno aperto un dialogo con ciascun/a artista, al fine di dare voce a ognuno/a, evitando di sovrascrivere e di sovra-determinare.
La direzione esplorativa è la distinzione disciplinare tra fotografia e arti visive, per cui sono state privilegiate quelle ricerche che rendono sempre meno netto questo confine.
La distinzione tra fotografia e immagine si fa ogni giorno più sottile.
Metafotografia non è solo un testo che non parla di fotografia, ma è anche una pubblicazione che vuole immaginare come si possa costruire un coro a più voci per raccontare come stia cambiando oggi il modo di fare e pensare l’immagine, dentro e oltre i mezzi che le producono. Si è dato spazio, senza manometterlo, al modo di pensare dell’artista, aprendo con lui/lei/loro una riflessione sul modo di lavorare.
Metafotografia non è il catalogo di una mostra collettiva, ma piuttosto è un tentativo collettivo di ripensare insieme i termini, i limiti e le logiche con cui scriviamo la fotografia e avanziamo sconfinamenti da essa.
Metafotografia non è (solo) fotografia: le immagini artificiali, create da algoritmi che elaborano dati hanno una temporalità diversa da quella della fotografia classica. Esse accolgono nel loro processo produttivo una prevedibilità che distorce in esse una certa linearità temporale. L’algoritmo dei processi digitali fa sì che una parte del loro futuro sia già stata decisa. La macchina è in grado di produrre una omogeneità genetica in un capitalismo della sorveglianza che non è un contesto esterno, perché generato dai dati dell’esperienza umana. Metafotografia non è una novità. Questa ricerca non persegue una certa forma di progresso nella forma estetica. È anzi una forma dialogica di messa in crisi delle implicazioni che ha l’applicazione di un modello temporale potenzialmente progressista.
Il capitalismo della sorveglianza ha varcato la soglia delle nostre vite interiori, per cui il timore è che anche la produzione visiva e culturale di ciascuno sia ampiamente premeditata perché eteronoma, ovvero regolata da altri, su un cammino che porterebbe alla convergenza di uomo e macchina. Metafotografia non può essere quindi altro che una reazione visiva collettiva alla traiettoria logica dei media automatizzati, che leggiamo come un’anticipazione verso l’automazione della soggettività.
Metafotografia tenta di mostrare ciò che la fotografia non ha ancora "fotografato", perché è qualcosa che le sta oltre, in un'alterità non definibile, che probabilmente la trascende. Potrebbero essere le immagini dell'alterità, delle proiezioni oniriche, dell’inconscio, dei desideri non consapevoli, le preveggenze, o altro ancora, che ora non siamo in grado di immaginare. Questo nuovo tentativo prova a stare anche fuori dalla fotografia tradizionale, a osservarla da una certa distanza, per capire cosa non sia stato ancora messo in azione nel processo e per dilatare il linguaggio. In quel “fuori” c’è probabilmente un potenziale inespresso. Non si tratta di voler vedere sempre di più, oltre il visibile. E nemmeno di scoprire ciò che si cela nell’invisibile, semmai sia individuabile come un’altra declinazione di ciò che potenzialmente possiamo percepire con il senso della vista. E non si tratta nemmeno di rispecchiare un tradizionale desiderio di cattura e dominio del "reale". Potrebbe essere anche solo un’ulteriore rievocazione compulsiva di una perdita inconscia, un altro salto nell’interpretazione. E non si tratta altresì di lavorare contro la fotografia, producendo immagini che inneschino virus o cortocircuiti negli atteggiamenti compulsivi dell’appropriazione estetica. Non si tratta nemmeno di riuscire a vedere il vedere o di costruire un cannocchiale che veda se stesso. E nemmeno l’atto di saper scorgere qualcosa che è già dentro la nostra testa o nella struttura dell’esperienza o in ciò che gli strumenti tecnologici formano il reale a nostra immagine e somiglianza. Metafotografia semmai è un campo per allenarsi a non pensare che l’atto del vedere sia assorbire in modo neutro qualcosa che sta lì di fronte bello e fatto, ad andare oltre i limiti del visibile, al di là delle entità che ancora non vediamo, oltre l’illusione che esista qualcosa che si possa sentire solo con la vista.
Metafotografia (2) è stato selezionato come migliore progetto fra i 48 partecipanti da tutta Italia a Exhibit program 2020, il bando elaborato dal Ministero dei Beni Culturali per incentivare le buone pratiche e la qualità delle mostre d’arte contemporanea in musei pubblici e spazi no profit. I diversi progetti sono stati vagliati da una commissione d’eccezione, presieduta da Fabio De Chirico, Presidente della Direzione Generale Creatività Contemporanea; Giulia Ferracci, Curatrice presso il Museo MAXXI di Roma; Luca Lo Pinto, Direttore del Museo MACRO di Roma; Cecilia Guida, Docente di Storia dell’arte contemporanea all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino; Denise Ottavia Tamborrino, Funzionario MiBACT per la Direzione Regionale Musei Emilia Romagna e vicepresidente del Comitato tecnico-scientifico per l’arte e l’architettura contemporanee del MiBACT.
19
settembre 2020
Metafotografia (2). Le mutazioni delle immagini
Dal 19 settembre al 31 ottobre 2020
arte contemporanea
fotografia
fotografia
Location
BACO. BASE ARTE CONTEMPORANEA ODIERNA – DOMUS MAGNA
Bergamo, Via Arena, 9, (Bergamo)
Bergamo, Via Arena, 9, (Bergamo)
Biglietti
L'ingresso alla mostra è riservato ai tesserati all'Associazione BACO.
Il tesseramento ha un costo di €5 annuo, ridotto €2.
Orario di apertura
Sabato e domenica 10-13 e 15-18
Vernissage
19 Settembre 2020, h 16-20
Sito web
Editore
Skinnerboox
Autore
Curatore
Autore testo critico
Progetto grafico
Produzione organizzazione
Trasporti
Sponsor
Patrocini
Assicurazione