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Mi ricordo
Gli artisti presenti in questa mostra, pur slegati gli uni dagli altri proprio come dei ricordi, fanno un lavoro strettamente connesso all’atto del ricordare. Per alcuni di loro la memoria è intesa come ricordo individuale, come viaggio introspettivo nel proprio passato.
Comunicato stampa
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Valerio Berruti
Giovanni Dalessi
Francesco De Molfetta
Enrico T. De Paris
Riccardo Gusmaroli
Debora Hirsch
Hiroyuki Masuyama
Kazumasa Mizokami
Barbara Nahmad
Alex Pinna
Danny Tabak
Galia Uri
MI RICORDO
2. Mi ricordo che mio zio aveva una 11 CV targata 7070 RL2.
10. Mi ricordo che un amico di mio cugino Henri se ne stava tutto il giorno in vestaglia quando preparava gli esami.
365. Mi ricordo le pubblicità dipinte sulle case.
Il libro“Mi ricordo”, dello scrittore francese Georges Perec, è composto da 480 frasi che iniziano con mi ricordo, passando attraverso l’hula-hoop, Gagarin, Malcolm X e Rin Tin Tin, lungo un filo che unisce pubblico e privato, eventi reali e eventi immaginati, banalità e momenti storici. Una semplice e arbitraria enumerazione di cose inessenziali, ma cariche di potere evocativo, capaci di ricreare per un istante atmosfere dimenticate e familiari.
Gli artisti presenti in questa mostra, pur slegati gli uni dagli altri proprio come dei ricordi, fanno un lavoro strettamente connesso all’atto del ricordare. Per alcuni di loro la memoria è intesa come ricordo individuale, come viaggio introspettivo nel proprio passato. Per altri invece, è un richiamo alla storia attraverso le sue immagini, che vengono riproposte e trasformate. Due poli, individuale e collettivo, che, come negli esperimenti letterari di Perec, si intrecciano e si fondono continuamente.
Al ricordo individuale si rifanno la pittura di Valerio Berruti in cui le figure dei
santi-bambini si dispongono nello spazio della tela in composizioni prelevate da fotografie di vecchi album di famiglia, o quella dell’olandese Giovanni Dalessi, che dipinge madri, bambini e nature morte, direttamente ispirati dalla propria famiglia. I loro personaggi hanno un’aurea di sacralità pur provenendo semplicemente da ricordi privati degli artisti. Anche le sculture di Kazumasa Mizokami sono ispirate da attimi o persone qualunque, come una bambina al parco che gioca col cerchio o due innamorati che si baciano, piccoli gesti che colpiscono l’immaginazione dell’artista. La memoria come misura del tempo e dello spazio è la protagonista dei lavori di Hiroyuki Masuyama, il cui video in mostra, Way 01.01.2001-31.12.2001, è stato realizzato unendo una sequenza di fotografie scattate per un anno, una al giorno, a un pezzo di strada, che diventa un percorso simultaneo nella memoria. Il protagonista fragile e filiforme delle opere di Alex Pinna, coraggioso e timido al tempo stesso, ci suggerisce che la memoria è imprevedibile come i dadi e cammina su un filo come un equilibrista. Enrico T De Paris crea una sorta di inventario di mondi possibili, lavorando come uno scienziato genetico la memoria del DNA, punto di congiunzione tra l’individuo e la collettività, nel senso che tutti abbiamo il DNA, ma nessuno l’ha uguale a un altro. Come i ricordi.
Nella sfera del ricordo collettivo o storico si può senza dubbio inserire il lavoro di Debora Hirsch che dipinge con spietata oggettività vecchie copertine di riviste, con i volti dei personaggi del momento, cambiandone dei particolari non irrilevanti: alcune sono ribaltate, capovolgendo le posizioni originali, altre sbiadite come i ricordi lontani. I nomi delle riviste sono anagrammati: Life, nell’epoca contemporanea in cui la memoria è sempre meno umana, affidata a elaborati database, diventa File e Time diventa Item, poiché il tempo, i momenti storici, attraverso immagini-chiave, diventano copertine, oggetti. I piccoli quadri dell’israeliana Galia Uri, in bianco e nero come le pagine dei quotidiani e come certi sogni, sono rievocazioni di fotografie storiche degli anni ’50 e ‘60. Riccardo Gusmaroli si appropria di mappe, fotografie, oggetti che trasforma con il suo segno fiammeggiante e decorativo: in mostra alcuni lavori sulle pagine originali del Corriere della Sera del 1969, con la cronaca dello sbarco sulla Luna. Francesco De Molfetta apporta il suo intervento minimo e sanguinario pungendo cartoline dei primi anni del Novecento o creando piccoli assemblaggi che richiamano fatti storici. La pittrice Barbara Nahmad accetta la sfida di misurarsi con la rappresentazione delle icone degli anni ’60 o di eventi politici più recenti, quindi immagini tra le più stereotipate che esistano. Infine i palazzi dei quadri dell’artista israeliano Danny Tabak, che sembrano innocui edifici dalle geometrie anonime, sono in realtà i silenziosi testimoni e sedi di attentati e eventi politici di Israele: di cose impossibili da dimenticare.
Norma Mangione
Giovanni Dalessi
Francesco De Molfetta
Enrico T. De Paris
Riccardo Gusmaroli
Debora Hirsch
Hiroyuki Masuyama
Kazumasa Mizokami
Barbara Nahmad
Alex Pinna
Danny Tabak
Galia Uri
MI RICORDO
2. Mi ricordo che mio zio aveva una 11 CV targata 7070 RL2.
10. Mi ricordo che un amico di mio cugino Henri se ne stava tutto il giorno in vestaglia quando preparava gli esami.
365. Mi ricordo le pubblicità dipinte sulle case.
Il libro“Mi ricordo”, dello scrittore francese Georges Perec, è composto da 480 frasi che iniziano con mi ricordo, passando attraverso l’hula-hoop, Gagarin, Malcolm X e Rin Tin Tin, lungo un filo che unisce pubblico e privato, eventi reali e eventi immaginati, banalità e momenti storici. Una semplice e arbitraria enumerazione di cose inessenziali, ma cariche di potere evocativo, capaci di ricreare per un istante atmosfere dimenticate e familiari.
Gli artisti presenti in questa mostra, pur slegati gli uni dagli altri proprio come dei ricordi, fanno un lavoro strettamente connesso all’atto del ricordare. Per alcuni di loro la memoria è intesa come ricordo individuale, come viaggio introspettivo nel proprio passato. Per altri invece, è un richiamo alla storia attraverso le sue immagini, che vengono riproposte e trasformate. Due poli, individuale e collettivo, che, come negli esperimenti letterari di Perec, si intrecciano e si fondono continuamente.
Al ricordo individuale si rifanno la pittura di Valerio Berruti in cui le figure dei
santi-bambini si dispongono nello spazio della tela in composizioni prelevate da fotografie di vecchi album di famiglia, o quella dell’olandese Giovanni Dalessi, che dipinge madri, bambini e nature morte, direttamente ispirati dalla propria famiglia. I loro personaggi hanno un’aurea di sacralità pur provenendo semplicemente da ricordi privati degli artisti. Anche le sculture di Kazumasa Mizokami sono ispirate da attimi o persone qualunque, come una bambina al parco che gioca col cerchio o due innamorati che si baciano, piccoli gesti che colpiscono l’immaginazione dell’artista. La memoria come misura del tempo e dello spazio è la protagonista dei lavori di Hiroyuki Masuyama, il cui video in mostra, Way 01.01.2001-31.12.2001, è stato realizzato unendo una sequenza di fotografie scattate per un anno, una al giorno, a un pezzo di strada, che diventa un percorso simultaneo nella memoria. Il protagonista fragile e filiforme delle opere di Alex Pinna, coraggioso e timido al tempo stesso, ci suggerisce che la memoria è imprevedibile come i dadi e cammina su un filo come un equilibrista. Enrico T De Paris crea una sorta di inventario di mondi possibili, lavorando come uno scienziato genetico la memoria del DNA, punto di congiunzione tra l’individuo e la collettività, nel senso che tutti abbiamo il DNA, ma nessuno l’ha uguale a un altro. Come i ricordi.
Nella sfera del ricordo collettivo o storico si può senza dubbio inserire il lavoro di Debora Hirsch che dipinge con spietata oggettività vecchie copertine di riviste, con i volti dei personaggi del momento, cambiandone dei particolari non irrilevanti: alcune sono ribaltate, capovolgendo le posizioni originali, altre sbiadite come i ricordi lontani. I nomi delle riviste sono anagrammati: Life, nell’epoca contemporanea in cui la memoria è sempre meno umana, affidata a elaborati database, diventa File e Time diventa Item, poiché il tempo, i momenti storici, attraverso immagini-chiave, diventano copertine, oggetti. I piccoli quadri dell’israeliana Galia Uri, in bianco e nero come le pagine dei quotidiani e come certi sogni, sono rievocazioni di fotografie storiche degli anni ’50 e ‘60. Riccardo Gusmaroli si appropria di mappe, fotografie, oggetti che trasforma con il suo segno fiammeggiante e decorativo: in mostra alcuni lavori sulle pagine originali del Corriere della Sera del 1969, con la cronaca dello sbarco sulla Luna. Francesco De Molfetta apporta il suo intervento minimo e sanguinario pungendo cartoline dei primi anni del Novecento o creando piccoli assemblaggi che richiamano fatti storici. La pittrice Barbara Nahmad accetta la sfida di misurarsi con la rappresentazione delle icone degli anni ’60 o di eventi politici più recenti, quindi immagini tra le più stereotipate che esistano. Infine i palazzi dei quadri dell’artista israeliano Danny Tabak, che sembrano innocui edifici dalle geometrie anonime, sono in realtà i silenziosi testimoni e sedi di attentati e eventi politici di Israele: di cose impossibili da dimenticare.
Norma Mangione
28
settembre 2004
Mi ricordo
Dal 28 settembre al 15 novembre 2004
arte contemporanea
Location
ERMANNO TEDESCHI GALLERY
Torino, Via Carlo Ignazio Giulio, 6, (Torino)
Torino, Via Carlo Ignazio Giulio, 6, (Torino)
Orario di apertura
mart_ven 16.30_20 / sab 10.30_20
Vernissage
28 Settembre 2004, ore 19
Autore
Curatore