Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Michael Rotondi / Salvatore Masciullo – Au rendez-vous des amis
La mostra, il cui titolo è mutuato dal celebre dipinto di Max Ernst, intraprende il percorso minato dell’interpretazione, allineando epoche, generazioni e territori espressivi differenti.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
“Quasi tutta la nostra originalità proviene dal marchio che il tempo imprime alle nostre sensazioni”
C. Baudelaire
Nell’arte come nella vita non si è mai soli. L’arte è un sistema fatto di relazioni da stimolare, registrare, decodificare di cui l’opera è testimonianza tangibile, momento per prolungare la memoria condivisa e intrecciare riflessioni sull’oggi.
Allo stesso modo la storia dell’arte è storia di uomini, di sguardi, di vicissitudini. Ogni artista vive in sé le esperienze e i traguardi di chi lo ha preceduto, contribuendo a tracciare un percorso spazio-temporale ininterrotto, in cui gli eventi si susseguono, le conquiste si sedimentano e le opere si legano l’una all’altra fino alla contemporaneità.
Il nuovo è solo parvenza o, meglio, presunzione di se stesso. Anche la più audace delle novità nasce e si struttura su un modello rispetto al quale appare modificato e non necessariamente migliorato, in un cammino a ritroso che giunge alle origini, al sorgere delle capacità raziocinanti e creative dell’uomo. Il prima e il dopo si stringono in un dialogo serrato fatto di emulazione e analogia, ma anche di contraddizioni e resistenze. Relazioni che si legano sul piano diacronico, a distanza di anni, di decenni, a volte di secoli, ma che ancor più naturalmente si instaurano sul piano sincronico, con sodalizi spesso duratori, forieri di grandi trovate e di qualche capolavoro.
Salvatore Masciullo e Michael Rotondi hanno preso coscienza della persistenza (o preesistenza) del tracciato artistico, instaurando un muto dialogo, ideale quanto concreto, con i loro modelli, alcuni conosciuti personalmente, molti sognati ed emulati, altri ancora indagati e persino contestati. Entrambi hanno scritto la propria storia, raccontandola per immagini divergenti, su supporti identici per forma e dimensioni. Nel loro iconico ragionamento non c’è spazio per le parole, ma solo per i ricordi e le speranze. Un incontro tra “amici” trasposto in trenta omaggi da Rotondi e in altrettanti ritratti da Masciullo. Due artisti differenti per formazione, provenienza e cultura, che si raccolgono in una meditazione difforme ma speculare, intrattenendo un dialogo reciproco sull’evoluzione dell’arte e sulle vie della ricerca.
La mostra, il cui titolo è mutuato dal celebre dipinto di Max Ernst, intraprende il percorso minato dell’interpretazione, allineando epoche, generazioni e territori espressivi differenti. Sogno e documentazione si fondono, non senza ironia, in un censimento privato attuato sul filo del ricordo. A delinearsi è una doppia linea di riflessione: da un lato la perentoria affermazione della soggettività d’ispirazione e creazione, dall’altro la remise in question dei concetti di autorità e autorialità in nome della pluralità semantica dell’immagine.
I due protagonisti raccontano la propria visione (interpretazione) della storia dell’arte; lo fanno per mezzo di forme e tecniche personali, riflettenti la loro quotidiana ricerca: Rotondi attraverso campiture cromatiche piatte, accese e sature persino nelle tinte scure, racchiuse in contorni netti o sfrangiate sui margini, Masciullo mediante una pittura analitica in primo piano e informe sullo sfondo.
Nella ricerca estetica di quest’ultimo la trasfigurazione espressionista dialoga con la grazia di una bella forma, ammiccante e mutevole, sempre rivissuta in chiave esistenziale. Con mano sicura e mente fervida inscena un abecedario visuale che vanta anni di studi e una grande padronanza delle tecniche pittoriche. La soggettività esasperata dell’espressionismo, preservata nello sfondo, cede il passo in primo piano ad una sorta di realismo, in cui la precisione mimetica e la predilezione per il ritratto diventano strumenti imprescindibili per il racconto della propria mitografia.
Masciullo dipinge il Novecento, la sua visione di Novecento: tanti pittori, qualche scultore e persino tre critici-curatori (Bonami, Gioni, Beatrice), perché in fondo anche loro sono artisti, creatori di mostre e di parole. Il suo percorso parte con van Gogh, rappresentato bambino, fuori dagli stereotipi ritrattistici che lui stesso ha generato, e prosegue con Munch, Duchamp, Fontana, Manzoni, Beuys, Kounellis, Basquiat, Warhol, Penk, Kiefer, Richter e altri, fino ai più giovani Clemente, Koons, Cattelan, Hirst e Doig. Su tutti dominano i tedeschi, memoria del suo trascorso a Dusseldorf, al fianco di Immendorf e dei neoespressionisti. Una linea prevalentemente maschile, emblematica di un mondo dell’arte ancora dominato dagli uomini, dove, però, non mancano donne eccezionali, su tutte Frida Kahlo, Marina Abramovic e Katerina Fritch.
La costruzione del campo figurativo nelle opere di Masciullo è ottenuta mediante sovrapposizione di più livelli di colore: la pittura emerge dal fondo determinando diverse profondità, corrispettive ad altrettanti stati di coscienza e allusivi di interiori orizzonti.
Totalmente maschile è il racconto di Michael Rotondi. I suoi tributi appaiono i frammenti di un excursus artistico plurisecolare, ironico e mordace. I simboli, gli schemi compositivi, le iconografie di ciascun maestro appaiono trasposte per mezzo di una sintassi elementare, immune al fascino della forma e all’armonia dei colori. Lo stile, condotto più per energia che per descrizione formale, appare volutamente sgraziato. Risultati pittorici che pur conformandosi al soggetto mostrano l’apporto di una cifra stilistica personale e inconfondibile, fatta di campiture frastagliate, cromatismi netti e superfici dense. L’artista scompagina il modello, lo priva del consolidato equilibrio e lo trasla in composizioni ammiccanti e variopinte.
Rispetto a Masciullo, Rotondi guarda più indietro, parte da Giotto e riscrive il “san Gioacchino tra i pastori” degli Scrovegni. Con un temerario salto cronologico, approda all’Ottocento divergente di Cézanne e Posada, prosegue con il Novecento di Matisse, Picasso, Modigliani, Malevic, Mirò, Morandi, Orozco, Kline, Rothko, Bacon e altri, e conclude nella viva contemporaneità, con Lichtenstein, Carol Rama, Pettibon, Kelley e Kippenberger. Da outsider, inoltre, recupera un maestro assoluto del genere come Hanry Darger, artista dimenticato ma affascinante come pochi.
Muovendosi sul sottile confine tra figurazione e astrazione, Rotondi mostra uno sguardo pop sul mondo e sull’arte, suscitando nello spettatore una serie illimitata di interpretazioni e percezioni sensoriali, dall’allegria all’inquietudine. Più che predisposta a celebrare le apparenze visibili, la sua pittura nasce da artistici pretesti, concretandosi in composizioni che mirano ad elidere ogni mimetica correlazione. Luci e ombre, forme e colori, anima e corpo fissano tracce di vita in un continuum segnico e simbolico, attraverso un linguaggio visionario, superando ogni limite spazio-temporale e continuando ad affermare la loro attualità. L’artista, con piglio personale, indaga il processo speculativo che ha portato alla creazione di capolavori, ne indaga lo spazio pittorico e i significati in esso confluiti, facendovi convergere anche l’interesse per la storia e la memoria.
Il rapporto artista-artista si rivela in una serie di connessioni armoniche attuate in via speculativa. Le immagini, sottratte al tempo e allo spazio, divengono pure suggestioni, strumenti per intessere relazioni umane, sociali e finanche temporali. La pittura rivendica la propria autonomia come soggetto e non come medium; supera la mera rappresentazione, per guardare a se stessa, ai suoi talenti e alla propria storia.
La mostra è portavoce di una ricerca che trae origine dal passato ma già appartiene al futuro. Una mitopoiesi non strutturata, estratta dai libri e riscritta in forma personale con molte luci e nessuna ombra. Un racconto di alterità in cui, parafrasando Manzoni, non c’è nulla da dire ma solo da vivere.
Carmelo Cipriani
C. Baudelaire
Nell’arte come nella vita non si è mai soli. L’arte è un sistema fatto di relazioni da stimolare, registrare, decodificare di cui l’opera è testimonianza tangibile, momento per prolungare la memoria condivisa e intrecciare riflessioni sull’oggi.
Allo stesso modo la storia dell’arte è storia di uomini, di sguardi, di vicissitudini. Ogni artista vive in sé le esperienze e i traguardi di chi lo ha preceduto, contribuendo a tracciare un percorso spazio-temporale ininterrotto, in cui gli eventi si susseguono, le conquiste si sedimentano e le opere si legano l’una all’altra fino alla contemporaneità.
Il nuovo è solo parvenza o, meglio, presunzione di se stesso. Anche la più audace delle novità nasce e si struttura su un modello rispetto al quale appare modificato e non necessariamente migliorato, in un cammino a ritroso che giunge alle origini, al sorgere delle capacità raziocinanti e creative dell’uomo. Il prima e il dopo si stringono in un dialogo serrato fatto di emulazione e analogia, ma anche di contraddizioni e resistenze. Relazioni che si legano sul piano diacronico, a distanza di anni, di decenni, a volte di secoli, ma che ancor più naturalmente si instaurano sul piano sincronico, con sodalizi spesso duratori, forieri di grandi trovate e di qualche capolavoro.
Salvatore Masciullo e Michael Rotondi hanno preso coscienza della persistenza (o preesistenza) del tracciato artistico, instaurando un muto dialogo, ideale quanto concreto, con i loro modelli, alcuni conosciuti personalmente, molti sognati ed emulati, altri ancora indagati e persino contestati. Entrambi hanno scritto la propria storia, raccontandola per immagini divergenti, su supporti identici per forma e dimensioni. Nel loro iconico ragionamento non c’è spazio per le parole, ma solo per i ricordi e le speranze. Un incontro tra “amici” trasposto in trenta omaggi da Rotondi e in altrettanti ritratti da Masciullo. Due artisti differenti per formazione, provenienza e cultura, che si raccolgono in una meditazione difforme ma speculare, intrattenendo un dialogo reciproco sull’evoluzione dell’arte e sulle vie della ricerca.
La mostra, il cui titolo è mutuato dal celebre dipinto di Max Ernst, intraprende il percorso minato dell’interpretazione, allineando epoche, generazioni e territori espressivi differenti. Sogno e documentazione si fondono, non senza ironia, in un censimento privato attuato sul filo del ricordo. A delinearsi è una doppia linea di riflessione: da un lato la perentoria affermazione della soggettività d’ispirazione e creazione, dall’altro la remise in question dei concetti di autorità e autorialità in nome della pluralità semantica dell’immagine.
I due protagonisti raccontano la propria visione (interpretazione) della storia dell’arte; lo fanno per mezzo di forme e tecniche personali, riflettenti la loro quotidiana ricerca: Rotondi attraverso campiture cromatiche piatte, accese e sature persino nelle tinte scure, racchiuse in contorni netti o sfrangiate sui margini, Masciullo mediante una pittura analitica in primo piano e informe sullo sfondo.
Nella ricerca estetica di quest’ultimo la trasfigurazione espressionista dialoga con la grazia di una bella forma, ammiccante e mutevole, sempre rivissuta in chiave esistenziale. Con mano sicura e mente fervida inscena un abecedario visuale che vanta anni di studi e una grande padronanza delle tecniche pittoriche. La soggettività esasperata dell’espressionismo, preservata nello sfondo, cede il passo in primo piano ad una sorta di realismo, in cui la precisione mimetica e la predilezione per il ritratto diventano strumenti imprescindibili per il racconto della propria mitografia.
Masciullo dipinge il Novecento, la sua visione di Novecento: tanti pittori, qualche scultore e persino tre critici-curatori (Bonami, Gioni, Beatrice), perché in fondo anche loro sono artisti, creatori di mostre e di parole. Il suo percorso parte con van Gogh, rappresentato bambino, fuori dagli stereotipi ritrattistici che lui stesso ha generato, e prosegue con Munch, Duchamp, Fontana, Manzoni, Beuys, Kounellis, Basquiat, Warhol, Penk, Kiefer, Richter e altri, fino ai più giovani Clemente, Koons, Cattelan, Hirst e Doig. Su tutti dominano i tedeschi, memoria del suo trascorso a Dusseldorf, al fianco di Immendorf e dei neoespressionisti. Una linea prevalentemente maschile, emblematica di un mondo dell’arte ancora dominato dagli uomini, dove, però, non mancano donne eccezionali, su tutte Frida Kahlo, Marina Abramovic e Katerina Fritch.
La costruzione del campo figurativo nelle opere di Masciullo è ottenuta mediante sovrapposizione di più livelli di colore: la pittura emerge dal fondo determinando diverse profondità, corrispettive ad altrettanti stati di coscienza e allusivi di interiori orizzonti.
Totalmente maschile è il racconto di Michael Rotondi. I suoi tributi appaiono i frammenti di un excursus artistico plurisecolare, ironico e mordace. I simboli, gli schemi compositivi, le iconografie di ciascun maestro appaiono trasposte per mezzo di una sintassi elementare, immune al fascino della forma e all’armonia dei colori. Lo stile, condotto più per energia che per descrizione formale, appare volutamente sgraziato. Risultati pittorici che pur conformandosi al soggetto mostrano l’apporto di una cifra stilistica personale e inconfondibile, fatta di campiture frastagliate, cromatismi netti e superfici dense. L’artista scompagina il modello, lo priva del consolidato equilibrio e lo trasla in composizioni ammiccanti e variopinte.
Rispetto a Masciullo, Rotondi guarda più indietro, parte da Giotto e riscrive il “san Gioacchino tra i pastori” degli Scrovegni. Con un temerario salto cronologico, approda all’Ottocento divergente di Cézanne e Posada, prosegue con il Novecento di Matisse, Picasso, Modigliani, Malevic, Mirò, Morandi, Orozco, Kline, Rothko, Bacon e altri, e conclude nella viva contemporaneità, con Lichtenstein, Carol Rama, Pettibon, Kelley e Kippenberger. Da outsider, inoltre, recupera un maestro assoluto del genere come Hanry Darger, artista dimenticato ma affascinante come pochi.
Muovendosi sul sottile confine tra figurazione e astrazione, Rotondi mostra uno sguardo pop sul mondo e sull’arte, suscitando nello spettatore una serie illimitata di interpretazioni e percezioni sensoriali, dall’allegria all’inquietudine. Più che predisposta a celebrare le apparenze visibili, la sua pittura nasce da artistici pretesti, concretandosi in composizioni che mirano ad elidere ogni mimetica correlazione. Luci e ombre, forme e colori, anima e corpo fissano tracce di vita in un continuum segnico e simbolico, attraverso un linguaggio visionario, superando ogni limite spazio-temporale e continuando ad affermare la loro attualità. L’artista, con piglio personale, indaga il processo speculativo che ha portato alla creazione di capolavori, ne indaga lo spazio pittorico e i significati in esso confluiti, facendovi convergere anche l’interesse per la storia e la memoria.
Il rapporto artista-artista si rivela in una serie di connessioni armoniche attuate in via speculativa. Le immagini, sottratte al tempo e allo spazio, divengono pure suggestioni, strumenti per intessere relazioni umane, sociali e finanche temporali. La pittura rivendica la propria autonomia come soggetto e non come medium; supera la mera rappresentazione, per guardare a se stessa, ai suoi talenti e alla propria storia.
La mostra è portavoce di una ricerca che trae origine dal passato ma già appartiene al futuro. Una mitopoiesi non strutturata, estratta dai libri e riscritta in forma personale con molte luci e nessuna ombra. Un racconto di alterità in cui, parafrasando Manzoni, non c’è nulla da dire ma solo da vivere.
Carmelo Cipriani
17
luglio 2015
Michael Rotondi / Salvatore Masciullo – Au rendez-vous des amis
Dal 17 luglio al 29 agosto 2015
arte contemporanea
Location
GIGI RIGLIACO GALLERY
Galatina, Via Adige, 32, (Lecce)
Galatina, Via Adige, 32, (Lecce)
Orario di apertura
da lunedì a sabato ore 17.30 21.00
Vernissage
17 Luglio 2015, ore 20.30
Autore
Curatore