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Michela Baldi – The Human Figure in Motion
Mostra personale di Michela Baldi in Omaggio a Eadweard Muybridge
Comunicato stampa
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E’ da tempo che l’artista ha iniziato a lavorare sulle problematiche del corpo umano, riproposto al centro della ribalta artistica dalle correnti della Performance art e dalle nuove declinazioni della fotografia e dalla più recente Videoarte.
Il tema del corpo poteva non essere prioritario per un’artista che pone il problema del suo relazionarsi con lo spazio espositivo? Cosa meglio di una palestra, dove è allestita questa sua mostra, può fare da cornice e da contenitore alla rappresentazione del corpo umano?
Il corpo diffuso, sociale e pubblico dell’arte contemporanea diventa qui un corpo innervato nelle ragioni stesse dell’arte degli ultimi due secoli, quando alcuni pionieri della fotografia (Marey e Muybridge in modo particolare), lo hanno voluto rappresentare nelle varie e successive fasi del moto, con la certezza di un’esattezza visiva che l’occhio umano non poteva e non può cogliere se non col mezzo tecnologico.
Franco Migliaccio
The Human Figure in Motion
(Omaggio a Eadweard Muybridge)
L’intenso percorso espressivo di Michela Baldi, partito da istanze mimetiche e poi segnico-gestuali, è approdato sulle rive di una ricerca a base fotografica con precise caratterizzazioni concettuali.
La concettualità dell’artista non è però di natura nichilista da un punto di vista estetico; consiste soprattutto nel volere dare priorità al processo ideativo senza insistere su quelle problematiche analitiche e linguistiche estreme che tanto pesantemente avevano condizionato le correnti concettuali delle origini.
Nessun supporto neutro nel caso di Michela; nessuna remora sul “dominio dell’estetico”: le sue opere non solo svolgono una funzione comunicazionale fondata su un sistema analitico, associativo e logico ma si presentano anche come oggetti godibili e interessanti da vedere, talora a fortissima connotazione ludica (si vedano il suo “fenachistoscopio”, le sue “Lanterne magiche”, luminose e cinetiche, si veda l’installazione rotante dove figure in movimento vengono riflessi in un sistema di specchi che rinviano ad un punto di vista invisibile all’osservatore).
E’ da tempo che l’artista ha iniziato a lavorare sulle problematiche del corpo umano, riproposto al centro della ribalta artistica dalle correnti della Performance art e dalle nuove declinazioni della fotografia e dalla più recente Videoarte.
Mi sovviene la sua bellissima “Crocifissione” interpretata al femminile, intensa nella scelta iconografica e raffinata nell’uso di materiali polivalenti da un punto di vista evocativo ed emozionale (legno, stoffe, veli come supporti fotografici). L’immagine è drammatica ma non cruenta tanto da potersi leggere in chiave duplice, facendoci incorrere nel dubbio se non la si possa considerare, addirittura, una trasfigurazione, un’ascensione celeste, proprio come quella di Cristo.
Del corpo come tema di discussione per una ricerca di identità (le sue madonne che trascolorano in volgari immagini di cover girls, o l’esatto opposto), o come denuncia di violenze fisiche e psicologiche (la sua “Crocifissione” al femminile, appunto), l’artista passa ad un nuovo approccio finalizzato ad altre suggestive conquiste espressive.
Il tema del corpo poteva non essere prioritario per un’artista che pone il problema del suo relazionarsi con lo spazio espositivo? Cosa meglio di una palestra, dove è allestita questa sua mostra, può fare da cornice e da contenitore alla rappresentazione del corpo umano?
Il corpo diffuso, sociale e pubblico dell’arte contemporanea diventa qui un corpo innervato nelle ragioni stesse dell’arte degli ultimi due secoli, quando alcuni pionieri della fotografia (Marey e Muybridge in modo particolare), lo hanno voluto rappresentare nelle varie e successive fasi del moto, con la certezza di un’esattezza visiva che l’occhio umano non poteva e non può cogliere se non col mezzo tecnologico.
E’ vero, la scelta iconografica collegata a Muybridge è per Michela pretestuosa, anche se è presentata come omaggio al grande fotografo americano. Ma è pur sempre un punto di partenza referenziale per svolgere un discorso che implicita condizioni percettive e di collocazione spaziale insieme; i grandi formati si dilatano pertanto nello spazio amplificando i nostri canali di relazione con l’ambiente.
Ma intanto l’uomo di Michela corre; ma dove è diretto? E’ forse l’uomo che nell’era della frammentazione totale (culturale, politica e comportamentale) percorre inconsapevolmente la via dell’inutile affaccendarsi della vita?
Per cosa lottano i due scoloriti boxeurs che se le danno di santa ragione? E dove conduce la scala, su cui l’ectoplasmatico omino si muove, se non ad un’ingloriosa discesa che porta il segno della disfatta?
Forse non è proprio questo il messaggio che Michela vuole trasmetterci; ma l’arte è stimolazione di assonanze psicologiche ed evocazioni sinestetiche le quali, in questo caso, sono fortemente sospinte dall’emblematicità dei personaggi; personaggi esclusi dal mondo dei colori e costretti a muoversi nel grigiore di un’esistenza alienata in cui nemmeno la razionale e geometrizzante strutturazione del fondo (matericamente ed espressivamente incantevole) sembra un motivo valido o utile per uscirne, o per trovare il senso di questa insana, faticosa e sterile corsa.
Insomma, chi sono questi anonimi personaggi incolori impegnati in una corsa senza meta? Mi viene un sospetto. Forse siamo noi.
Aprile 2010 Franco Migliaccio
Il tema del corpo poteva non essere prioritario per un’artista che pone il problema del suo relazionarsi con lo spazio espositivo? Cosa meglio di una palestra, dove è allestita questa sua mostra, può fare da cornice e da contenitore alla rappresentazione del corpo umano?
Il corpo diffuso, sociale e pubblico dell’arte contemporanea diventa qui un corpo innervato nelle ragioni stesse dell’arte degli ultimi due secoli, quando alcuni pionieri della fotografia (Marey e Muybridge in modo particolare), lo hanno voluto rappresentare nelle varie e successive fasi del moto, con la certezza di un’esattezza visiva che l’occhio umano non poteva e non può cogliere se non col mezzo tecnologico.
Franco Migliaccio
The Human Figure in Motion
(Omaggio a Eadweard Muybridge)
L’intenso percorso espressivo di Michela Baldi, partito da istanze mimetiche e poi segnico-gestuali, è approdato sulle rive di una ricerca a base fotografica con precise caratterizzazioni concettuali.
La concettualità dell’artista non è però di natura nichilista da un punto di vista estetico; consiste soprattutto nel volere dare priorità al processo ideativo senza insistere su quelle problematiche analitiche e linguistiche estreme che tanto pesantemente avevano condizionato le correnti concettuali delle origini.
Nessun supporto neutro nel caso di Michela; nessuna remora sul “dominio dell’estetico”: le sue opere non solo svolgono una funzione comunicazionale fondata su un sistema analitico, associativo e logico ma si presentano anche come oggetti godibili e interessanti da vedere, talora a fortissima connotazione ludica (si vedano il suo “fenachistoscopio”, le sue “Lanterne magiche”, luminose e cinetiche, si veda l’installazione rotante dove figure in movimento vengono riflessi in un sistema di specchi che rinviano ad un punto di vista invisibile all’osservatore).
E’ da tempo che l’artista ha iniziato a lavorare sulle problematiche del corpo umano, riproposto al centro della ribalta artistica dalle correnti della Performance art e dalle nuove declinazioni della fotografia e dalla più recente Videoarte.
Mi sovviene la sua bellissima “Crocifissione” interpretata al femminile, intensa nella scelta iconografica e raffinata nell’uso di materiali polivalenti da un punto di vista evocativo ed emozionale (legno, stoffe, veli come supporti fotografici). L’immagine è drammatica ma non cruenta tanto da potersi leggere in chiave duplice, facendoci incorrere nel dubbio se non la si possa considerare, addirittura, una trasfigurazione, un’ascensione celeste, proprio come quella di Cristo.
Del corpo come tema di discussione per una ricerca di identità (le sue madonne che trascolorano in volgari immagini di cover girls, o l’esatto opposto), o come denuncia di violenze fisiche e psicologiche (la sua “Crocifissione” al femminile, appunto), l’artista passa ad un nuovo approccio finalizzato ad altre suggestive conquiste espressive.
Il tema del corpo poteva non essere prioritario per un’artista che pone il problema del suo relazionarsi con lo spazio espositivo? Cosa meglio di una palestra, dove è allestita questa sua mostra, può fare da cornice e da contenitore alla rappresentazione del corpo umano?
Il corpo diffuso, sociale e pubblico dell’arte contemporanea diventa qui un corpo innervato nelle ragioni stesse dell’arte degli ultimi due secoli, quando alcuni pionieri della fotografia (Marey e Muybridge in modo particolare), lo hanno voluto rappresentare nelle varie e successive fasi del moto, con la certezza di un’esattezza visiva che l’occhio umano non poteva e non può cogliere se non col mezzo tecnologico.
E’ vero, la scelta iconografica collegata a Muybridge è per Michela pretestuosa, anche se è presentata come omaggio al grande fotografo americano. Ma è pur sempre un punto di partenza referenziale per svolgere un discorso che implicita condizioni percettive e di collocazione spaziale insieme; i grandi formati si dilatano pertanto nello spazio amplificando i nostri canali di relazione con l’ambiente.
Ma intanto l’uomo di Michela corre; ma dove è diretto? E’ forse l’uomo che nell’era della frammentazione totale (culturale, politica e comportamentale) percorre inconsapevolmente la via dell’inutile affaccendarsi della vita?
Per cosa lottano i due scoloriti boxeurs che se le danno di santa ragione? E dove conduce la scala, su cui l’ectoplasmatico omino si muove, se non ad un’ingloriosa discesa che porta il segno della disfatta?
Forse non è proprio questo il messaggio che Michela vuole trasmetterci; ma l’arte è stimolazione di assonanze psicologiche ed evocazioni sinestetiche le quali, in questo caso, sono fortemente sospinte dall’emblematicità dei personaggi; personaggi esclusi dal mondo dei colori e costretti a muoversi nel grigiore di un’esistenza alienata in cui nemmeno la razionale e geometrizzante strutturazione del fondo (matericamente ed espressivamente incantevole) sembra un motivo valido o utile per uscirne, o per trovare il senso di questa insana, faticosa e sterile corsa.
Insomma, chi sono questi anonimi personaggi incolori impegnati in una corsa senza meta? Mi viene un sospetto. Forse siamo noi.
Aprile 2010 Franco Migliaccio
08
maggio 2010
Michela Baldi – The Human Figure in Motion
Dall'otto maggio al 06 giugno 2010
arte contemporanea
Location
FITARTFITNESS
Vermezzo, Via Ada Negri, 5, (Milano)
Vermezzo, Via Ada Negri, 5, (Milano)
Orario di apertura
lun-ven orario continuato 10 – 22 sab 10 – 12,30
Vernissage
8 Maggio 2010, ore 17
Autore
Curatore