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Michela Pozzi – Campo d’attenzione transitorio
Un progetto di galleria d’arte racchiuso in un metro quadrato d’esposizione ideato dall’artista e gallerista Michele Mariano e dall’artista Christian Rainer con l’intento di creare una rete di micro gallerie in tutta Europa, esportando l’idea di franchising nell’arte contemporanea ed in una forma che e’ di per se un’operazione d’arte concettuale
Comunicato stampa
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Nella stessa giornata dell'inaugurazione di "Tana Libera Tutti…" quarta tappa, collettiva di: John Cascone, Francesco Diotallevi, Giovanni Gaggia, Maicol e Mirco ed Elena Rapa, presso il Centro Culturale Movimento e Fantasia di Cagli (PU), inserita nella programmazione di Segnali d'Arte del Sistema Provinciale d'Arte Contemporanea (SPAC), sara' inaugurato nel cortile della stessa sede alle ore 15.30 il White Cube/satellite di Pesaro. Un progetto di galleria d'arte racchiuso in un metro quadrato d'esposizione ideato dall'artista e gallerista Michele Mariano e dall'artista Christian Rainer con l'intento di creare una rete di micro gallerie in tutta Europa, esportando l'idea di franchising nell'arte contemporanea ed in una forma che e' di per se un'operazione d'arte concettuale.
Inaugurera' il White Cube/satellite di Pesaro un progetto dell'artista Michela Pozzi curato da Giacomo Podestà , il quale con le sue parole evidenzia chiaramente la filosofia del lavoro dell’artista : “È un’intelligente dicotomia quella che percorre l’opera di Michela Pozzi e che si esplica nella realizzazione di lavori fotografici e video: in entrambi i casi l’artista s’impegna in interventi di “risignificazione” della realtà, così da pervenire ad una dimensione più sincera dell’Esser-ci nel mondo. In questo senso, il lavoro di Michela Pozzi coincide in una preziosa esortazione a rivivere la realtà (sia essa luogo fisico o spazio virtuale dell’immagine televisiva) in una chiave più umana e significativa. Queste due anime progettuali della poetica dell’artista trovano una felice sintesi nel nuovo progetto (presentato per il White Cube in forma di video) Campo d’attenzione transitorio.
L’intervento artistico si focalizza qui nello spazio intimo ed emblematico di un’edicola religiosa. Traccia umana sul luogo che si esplica nelle forme di una piccola architettura, la nicchia è già di per sé uno spazio altamente simbolico e rappresentativo: posta com’è all’incrocio di due vie essa, infatti, le collega, mettendo così in evidenza la direzione di senso che l’intervento umano ha inteso imprimere in quel luogo. La celletta, recante il ricordo di chi lì la pose, è ulteriormente caricata di significato in fase di montaggio del video tramite l’inserimento al suo interno di un’immagine sovrapposta, come uno schermo televisivo attraversato da frames della Dea Madre (una delle forme più antiche e archetipiche di religiosità), in un gioco di specchi che riflette un luogo (lo spazio fisico della celletta) dentro l’altro (lo spazio virtuale dell’immagine televisiva), così come un video nell’altro.
L’immagine contenuta nella celletta appare intima e leggermente sfalsata, come fosse un ricordo ancestrale (la Dea Madre o il genius loci che dir si voglia) che l’uomo tenta di focalizzare sul luogo: così come la cellula è l’unità minima della vita, la celletta (e la vicinanza etimologica non è qui casuale) si configura allora nel video di Michela Pozzi come unità minima del ricordo, traccia basilare dell’attraversamento dell’uomo su quello spazio. E a sua volta il luogo, caratterizzato dalla celletta, diviene spazio della memoria e della religiosità più intima e ancestrale, quella che lega l’uomo al territorio che ha scelto di popolare e vivificare.
L’intervento artistico di Michela Pozzi è teso a riattuare, soprattutto attraverso gli strumenti della memoria e della personalizzazione, questo forte legame: esso mi pare non solo un’invocazione intimistica allo spirito del luogo attraversato dalla sua telecamera ma si potrebbe dire, in termini heideggeriani, un suggerimento a “prendersi cura” del luogo stesso, ad abbracciarlo cioè di un senso e di un significato inequivocabilmente esistenziale.”
Una micro-personale pensata per poter essere presentata ovunque e quindi in linea con il concept di -democratizzazione' dell'arte espresso dal progetto White Cube.
***
È un’intelligente dicotomia quella che percorre l’opera di Michela Pozzi e che si esplica nella realizzazione di lavori fotografici e video: in entrambi i casi l’artista s’impegna in interventi di “risignificazione” della realtà, così da pervenire ad una dimensione più sincera dell’Esser-ci nel mondo.
Attraverso il mezzo fotografico, infatti, l’artista pare rispondere alla domanda “Come ci si può appropriare di un luogo?” mettendo in scena sullo spazio prescelto il suo habitat biologico ed artistico, popolandolo (anche solo della propria presenza umana) e trasformandolo in un microcosmo di piccoli ma significativi eventi della vita quotidiana. In questi documenti di Land Art minimale pare delinearsi il sogno di una società ideale, nella quale pareti invisibili e impercettibili sguardi tracciano i confini di uno spazio riletto in termini sentimentali, in un’operazione che porta l’essere umano a riappropriarsi dei non-luoghi della contemporaneità globalizzata, ma anche di un’identità personale come unità inscindibile col proprio ambiente.
Ed è appunto nel video, medium ben più immateriale e fugace della fotografia, che la poetica di Michela Pozzi esplode in una struggente riflessione sulla memoria e sul senso della propria identità. L’immagine video ben si presta ai rituali e ai gesti ripetitivi messi in atto dall’artista, simbolici di un’affermazione della propria esistenza che passa attraverso le esperienze del passato e del quotidiano (e d’altronde, abituati come siamo a schermi di ogni sorta, chi può negare lo status del video come spazio più rappresentativo della quotidianità del XXI secolo?): la stessa opera di montaggio carica il frammento di realtà prelevato di quella suggestione onirica e sensoriale propria dei ricordi.
Il lavoro di Michela Pozzi coincide perciò in una preziosa esortazione a rivivere la realtà (sia essa luogo fisico o spazio virtuale dell’immagine televisiva) in una dimensione più umana e significativa. Queste due anime progettuali della poetica dell’artista trovano una felice sintesi nel nuovo progetto (presentato per il White Cube in forma di video) Campo d’attenzione transitorio.
L’intervento artistico si focalizza qui nello spazio intimo ed emblematico di un’edicola religiosa. Traccia umana sul luogo che si esplica nelle forme di una piccola architettura, la nicchia è già di per sé uno spazio altamente simbolico e rappresentativo: posta com’è all’incrocio di due vie essa, infatti, le collega, mettendo così in evidenza la direzione di senso che l’intervento umano ha inteso imprimere in quel luogo. La celletta, recante il ricordo di chi lì la pose, è ulteriormente caricata di significato in fase di montaggio del video tramite l’inserimento al suo interno di un’immagine sovrapposta, come uno schermo televisivo attraversato da frames della Dea Madre (una delle forme più antiche e archetipiche di religiosità), in un gioco di specchi che riflette un luogo (lo spazio fisico della celletta) dentro l’altro (lo spazio virtuale dell’immagine televisiva), così come un video nell’altro.
L’immagine contenuta nella celletta appare intima e leggermente sfalsata, come fosse un ricordo ancestrale (la Dea Madre o il genius loci che dir si voglia) che l’uomo tenta di focalizzare sul luogo: così come la cellula è l’unità minima della vita, la celletta (e la vicinanza etimologica non è qui casuale) si configura allora nel video di Michela Pozzi come unità minima del ricordo, traccia basilare dell’attraversamento dell’uomo su quello spazio. E a sua volta il luogo, caratterizzato dalla celletta, diviene spazio della memoria e della religiosità più intima e ancestrale, quella che lega l’uomo al territorio che ha scelto di popolare e vivificare.
L’intervento artistico di Michela Pozzi è teso a riattuare, soprattutto attraverso gli strumenti della memoria e della personalizzazione, questo forte legame: esso mi pare non solo un’invocazione intimistica allo spirito del luogo attraversato dalla sua telecamera ma si potrebbe dire, in termini heideggeriani, un suggerimento a “prendersi cura” del luogo stesso, ad abbracciarlo cioè di un senso e di un significato inequivocabilmente esistenziale.
Giacomo Podestà
Inaugurera' il White Cube/satellite di Pesaro un progetto dell'artista Michela Pozzi curato da Giacomo Podestà , il quale con le sue parole evidenzia chiaramente la filosofia del lavoro dell’artista : “È un’intelligente dicotomia quella che percorre l’opera di Michela Pozzi e che si esplica nella realizzazione di lavori fotografici e video: in entrambi i casi l’artista s’impegna in interventi di “risignificazione” della realtà, così da pervenire ad una dimensione più sincera dell’Esser-ci nel mondo. In questo senso, il lavoro di Michela Pozzi coincide in una preziosa esortazione a rivivere la realtà (sia essa luogo fisico o spazio virtuale dell’immagine televisiva) in una chiave più umana e significativa. Queste due anime progettuali della poetica dell’artista trovano una felice sintesi nel nuovo progetto (presentato per il White Cube in forma di video) Campo d’attenzione transitorio.
L’intervento artistico si focalizza qui nello spazio intimo ed emblematico di un’edicola religiosa. Traccia umana sul luogo che si esplica nelle forme di una piccola architettura, la nicchia è già di per sé uno spazio altamente simbolico e rappresentativo: posta com’è all’incrocio di due vie essa, infatti, le collega, mettendo così in evidenza la direzione di senso che l’intervento umano ha inteso imprimere in quel luogo. La celletta, recante il ricordo di chi lì la pose, è ulteriormente caricata di significato in fase di montaggio del video tramite l’inserimento al suo interno di un’immagine sovrapposta, come uno schermo televisivo attraversato da frames della Dea Madre (una delle forme più antiche e archetipiche di religiosità), in un gioco di specchi che riflette un luogo (lo spazio fisico della celletta) dentro l’altro (lo spazio virtuale dell’immagine televisiva), così come un video nell’altro.
L’immagine contenuta nella celletta appare intima e leggermente sfalsata, come fosse un ricordo ancestrale (la Dea Madre o il genius loci che dir si voglia) che l’uomo tenta di focalizzare sul luogo: così come la cellula è l’unità minima della vita, la celletta (e la vicinanza etimologica non è qui casuale) si configura allora nel video di Michela Pozzi come unità minima del ricordo, traccia basilare dell’attraversamento dell’uomo su quello spazio. E a sua volta il luogo, caratterizzato dalla celletta, diviene spazio della memoria e della religiosità più intima e ancestrale, quella che lega l’uomo al territorio che ha scelto di popolare e vivificare.
L’intervento artistico di Michela Pozzi è teso a riattuare, soprattutto attraverso gli strumenti della memoria e della personalizzazione, questo forte legame: esso mi pare non solo un’invocazione intimistica allo spirito del luogo attraversato dalla sua telecamera ma si potrebbe dire, in termini heideggeriani, un suggerimento a “prendersi cura” del luogo stesso, ad abbracciarlo cioè di un senso e di un significato inequivocabilmente esistenziale.”
Una micro-personale pensata per poter essere presentata ovunque e quindi in linea con il concept di -democratizzazione' dell'arte espresso dal progetto White Cube.
***
È un’intelligente dicotomia quella che percorre l’opera di Michela Pozzi e che si esplica nella realizzazione di lavori fotografici e video: in entrambi i casi l’artista s’impegna in interventi di “risignificazione” della realtà, così da pervenire ad una dimensione più sincera dell’Esser-ci nel mondo.
Attraverso il mezzo fotografico, infatti, l’artista pare rispondere alla domanda “Come ci si può appropriare di un luogo?” mettendo in scena sullo spazio prescelto il suo habitat biologico ed artistico, popolandolo (anche solo della propria presenza umana) e trasformandolo in un microcosmo di piccoli ma significativi eventi della vita quotidiana. In questi documenti di Land Art minimale pare delinearsi il sogno di una società ideale, nella quale pareti invisibili e impercettibili sguardi tracciano i confini di uno spazio riletto in termini sentimentali, in un’operazione che porta l’essere umano a riappropriarsi dei non-luoghi della contemporaneità globalizzata, ma anche di un’identità personale come unità inscindibile col proprio ambiente.
Ed è appunto nel video, medium ben più immateriale e fugace della fotografia, che la poetica di Michela Pozzi esplode in una struggente riflessione sulla memoria e sul senso della propria identità. L’immagine video ben si presta ai rituali e ai gesti ripetitivi messi in atto dall’artista, simbolici di un’affermazione della propria esistenza che passa attraverso le esperienze del passato e del quotidiano (e d’altronde, abituati come siamo a schermi di ogni sorta, chi può negare lo status del video come spazio più rappresentativo della quotidianità del XXI secolo?): la stessa opera di montaggio carica il frammento di realtà prelevato di quella suggestione onirica e sensoriale propria dei ricordi.
Il lavoro di Michela Pozzi coincide perciò in una preziosa esortazione a rivivere la realtà (sia essa luogo fisico o spazio virtuale dell’immagine televisiva) in una dimensione più umana e significativa. Queste due anime progettuali della poetica dell’artista trovano una felice sintesi nel nuovo progetto (presentato per il White Cube in forma di video) Campo d’attenzione transitorio.
L’intervento artistico si focalizza qui nello spazio intimo ed emblematico di un’edicola religiosa. Traccia umana sul luogo che si esplica nelle forme di una piccola architettura, la nicchia è già di per sé uno spazio altamente simbolico e rappresentativo: posta com’è all’incrocio di due vie essa, infatti, le collega, mettendo così in evidenza la direzione di senso che l’intervento umano ha inteso imprimere in quel luogo. La celletta, recante il ricordo di chi lì la pose, è ulteriormente caricata di significato in fase di montaggio del video tramite l’inserimento al suo interno di un’immagine sovrapposta, come uno schermo televisivo attraversato da frames della Dea Madre (una delle forme più antiche e archetipiche di religiosità), in un gioco di specchi che riflette un luogo (lo spazio fisico della celletta) dentro l’altro (lo spazio virtuale dell’immagine televisiva), così come un video nell’altro.
L’immagine contenuta nella celletta appare intima e leggermente sfalsata, come fosse un ricordo ancestrale (la Dea Madre o il genius loci che dir si voglia) che l’uomo tenta di focalizzare sul luogo: così come la cellula è l’unità minima della vita, la celletta (e la vicinanza etimologica non è qui casuale) si configura allora nel video di Michela Pozzi come unità minima del ricordo, traccia basilare dell’attraversamento dell’uomo su quello spazio. E a sua volta il luogo, caratterizzato dalla celletta, diviene spazio della memoria e della religiosità più intima e ancestrale, quella che lega l’uomo al territorio che ha scelto di popolare e vivificare.
L’intervento artistico di Michela Pozzi è teso a riattuare, soprattutto attraverso gli strumenti della memoria e della personalizzazione, questo forte legame: esso mi pare non solo un’invocazione intimistica allo spirito del luogo attraversato dalla sua telecamera ma si potrebbe dire, in termini heideggeriani, un suggerimento a “prendersi cura” del luogo stesso, ad abbracciarlo cioè di un senso e di un significato inequivocabilmente esistenziale.
Giacomo Podestà
12
gennaio 2008
Michela Pozzi – Campo d’attenzione transitorio
12 gennaio 2008
giovane arte
Location
MOVIMENTO E FANTASIA
Cagli, Piazza Papa Giovanni Xxiii, 3, (Pesaro E Urbino)
Cagli, Piazza Papa Giovanni Xxiii, 3, (Pesaro E Urbino)
Vernissage
12 Gennaio 2008, ore 17
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