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Michele Fabbricatore – Le città invisibili
Esposizione di ceramiche e grafiche sul tema delle città invisibili di Italo Calvino
Comunicato stampa
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Michele Fabbricatore nasce a Firenze nel 1972. Precocissimo si dedica con passione all’arte Precocissimo si dedica con passione all’arte plastica e al disegno. Si diploma in scultura all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1998. Vince una borsa di studio per uno stage di formazione per l’arte ceramica presso la galleria Groot Weldsen a Maastricht, in Olanda. Tornato in Italia approfondisce la tecnica della terracotta e della ceramica presso le fornaci dell’Impruneta a Firenze e realizza anche opere monumentali per le Assicurazioni Milano. Partecipa alla 48° mostra della ceramica a Castellamonte (TO).
Dal 2000 espone le sue sculture in gallerie a Firenze, Castellina in Chianti, Isola d’Elba, Cortona, Bologna, Milano e Torino. Dal 2007 frequenta la scuola di grafica internazionale Il Bisonte a Firenze. Nel 2010 approda a Genova al Museo Luzzati con una mostra dedicata al tema de Le città invisibili di Italo Calvino.
Le città sognate dai bambini
“Imparare a imparare” come vivere la città, parafrasando Bateson – l’inventore dell’ecologia della mente -non è certo per bambini e bambine nell’età della ragione un’asfittica questione di “educazione civica”.
E’ molto di più. Lo stesso Le Corbusier, ribaltando quasi il cartesiano “penso dunque sono”, era solito sostenere che la prima prova di esistere, la prima certezza umana di essere nel mondo, fosse data proprio dalla percezione di occupare uno spazio. Nei luoghi, ben sappiamo, si ricerca sicurezza e conferma della propria identità e appartenenza, un fenomeno che di sicuro si amplifica quando si tratta di ragazzini o ragazzine il cui senso di sé è ancora in divenire. “Guai a limitare un bambino tra la casa e l’isolato - ha sostenuto in una recente intervista Mario Botta – crescerà in un mondo che lui non ha strumenti per conoscere. Se ha libertà di movimento si guarderà intorno – ha proseguito l’architetto luganese – e scoprirà così che è inutile dipingere le facciate: basta la luce a dar colore ai palazzi. Scoprirà che le piazze e i monumenti fanno compagnia: bastano le loro storie di principi, operai, funai, anarchici e cavalieri”. E così, attraverso gli strumenti che più sono congeniali ai bambini: stupore e meraviglia, curiosità e fantasia, invenzioni e esplorazioni gustose, i bambini stessi scopriranno anche che la città, questo meraviglioso libro di pietra scritto dal tempo, con le sue memorie a falde, con le sue ‘cartoline del passato’, inun lessico che coniugageografia, antropologia e ambiente, scienza e società, propone un serrato, importantissimo, confronto con la storia.
Per questo Orecchio Acerbo si adopera da tempo, con laboratori d’arte e di narrazione, per far comprendere anche a bambini e ragazzini le logiche della città, i sentimenti di moltitudine e di diversità che la caratterizzano, affinchè loro stessi, nel tempo, possano avere un ruolo importante fra le tante regole, le interrelazioni e l’organizzazione di un contesto sociale-urbano che evolve senza tregua e il cui futuro saremo tutti chiamati a condividere.
Per una città sostenibile, per una città del futuro che non rinneghi le origine mitiche della città stessa, i grandi racconti antropologici come le grandi cosmogonie che ci precedono, c’è però bisogno di sognarle le città. Sognarle, immaginarle, trasfigurarle, renderle udibili con gli occhi, invisibili come già aveva tentato Italo Calvino e come oggi propone Michele Fabbricatore.
Con una forza, una potenza quasi dantesca, la rivisitazione delle invisibili città voluta da Michele Fabbricatore scolpisce, dall’orlo del visibile parlare, la narrazione di Calvino, la rende materia: terra che si tocca e si trasforma, come un gioco con la sabbia. E i bambini, a confronto con la sua creatività così accosto al sogno, con le sue città così ancorate agli arcani linguaggi della fiaba, così popolate da personaggi trasfigurati nella visionarità plasticadel sogno, i bambini incontrano quelle città che danno forma ai desideri e che - come Lalage - crescono in leggerezza.
Le loro, quelle dei bambini e quelle di Fabbricatore, sono città invisibili o nascoste; immaginabili e possibili.
Città dritte e capovolte, speculari, mobili oppure mosse. Città oniriche che conoscono solo partenze. Città nate dalle mescolanze, abitate o vuote, sostenute da trampoli o appese al cielo o piatte. Città sorvolate da aquiloni, dirigibili volanti, comete dalle code lunghe. Città popolate da donne cannone, da giocolieri da fuggiaschi e erranti: donne e uomini. Città visionarie, inospitali, rocciose o volanti, orchestrate fra teatri di cristallo, sfere, scale a chiocciola incrostate di chiocciole marine, torri, canali, quartieri, bastioni, carovane, cammelli e viali di elefanti e deserti, tende a strisce, archi e tetti, pale di multini a vento, bazar, orti e pagode, gabinetti di papiri, botteghe di sellai, scale di corda, giardini della somiglianza… Città avvolte come gomitoli; città celesti o azzurre, smontate e ricostruite sostituendo ingredienti, spostandoli, invertendoli proprio come faceva Kublai Kan con i racconti di Marco Polo muovendo, nel frattempo, torri e cavalli sulla scacchiera d’avorio.
Pur se non è detto che Kublai Kan credesse a tutto quello che diceva Marco Polo, così come non è detto che la verità coincida con la realtà. Però, ampliando quanto Danilo Dolci sostenevache “ciascuno cresce solo se è sognato”, si può pensare che anche le città possano crescere, e crescere bene, solo a partire dal loro essere sognate, da noi, dai bambini, da tutti. Perché dal sogno, da quella incredibile capacità di trascinare nell’altrove dell’arte propria di Michele Fabbricatore, nonché da quei calviniani affacci sul lago della mente per costruire, per girarci in mezzo coi pensieri, alle città, e per scrutarne le tracce di felicità, potrebbero nascere le città del domani.
Perché, solo nei resoconti di Marco Polo, solo in quei viaggi sul limitare di fantasia e realtà, solo in quell’area intermedia, nellano man’s landdella creazione artistica, si può sfuggire a quel terribile “morso delle termiti” che ammorba la contemporaneità.
Manuela Trinci
Come un seme
L’artista contemporaneo ha di fronte a sé due strade contrapposte da poter imboccare e percorrere: quella di un’arte che racconti il ‘male’ dell’esistenza, che dichiari i fallimenti e le frustrazioni dell’uomo, che rappresenti le disarmonie, i contrasti, i traumi, le paure; e quella di un’arte che privilegi la bellezza, l’armonia e l’equilibrio, che si ponga come sguardo stupito su ciò che di meraviglioso ci circonda ed è dentro di noi, raccontandolo e, al tempo stesso, mostrandolo come obiettivo da raggiungere.
Michele Fabbricatore ha imboccato con decisione questa seconda strada, che non è la strada di chi non conosca e riconosca il negativo e la ‘pesantezza’, ma è la via di chi – consapevolmente – scelga di coltivare e far crescere ciò che di positivo esiste e che, nelle intenzioni dell’artista, dovrebbe rafforzarsi, prendere campo, finire per dominare.
Se c’è, intorno a noi, l’inferno, è pure presente – spesso nascosto, sommerso dal brutto e dal negativo – il non-inferno, che un artista come Michele Fabbricatore vuole riconoscere, valorizzare, far vivere, secondo quanto dice Marco Polo a Kublai Kan nelle righe che concludono Le città invisibili di Italo Calvino: «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
Per poter rappresentare (e, soprattutto, indicare come obiettivo, come dimensione verso la quale camminare) una realtà dominata dalla ‘leggerezza’ – che non è ‘disimpegno’, ma al contrario valore contrapposto alla ‘pesantezza’ – lo sguardo che Michele Fabbricatore sceglie di adottare è quello del bambino: più veritiero (è lui che candidamente dichiara che il Re è nudo), capace di sognare, in grado di sollevarsi da terra e di volare (vale la pena di ricordare come si conclude un racconto sul ‘volo’, la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Louis Sepùlveda: «Vola solo chi osa farlo»), naturalmente e spontaneamente incline alla meraviglia, capace di privilegiare – lo sosteneva anche il fanciullino Pascoli – le piccole cose belle. E adottare questa prospettiva infantile e fantastica non significa scegliere una ‘scorciatoia’ artistica: Michele Fabbricatore ha alle spalle una storia di precoce passione e vocazione artistica, si è diplomato in scultura all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1998, ha studiato l’arte ceramica in Olanda, ha approfondito la tecnica della terracotta e della ceramica nelle fornaci dell’Impruneta. Saprebbe, cioè, fare qualsiasi tipo di scultura, rappresentare soggetti ‘classici’ e nudi, fotografare la realtà o deformarla fino al mostruoso. Ma da circa dieci anni ha imboccato questa strada, trovando la ‘voce’ con la quale parlare agli altri, modulando il suo discorso artistico sulle corde che sente più congeniali.
E su questa strada – la strada, appunto, del bello, dell’armonia, dell’equilibrio: obiettivi da raggiungere, non dimensioni alle quali si è già approdati – ha incontrato i testi letterari che danno spazio alla leggerezza e alla fantasia, che sembrano lontani dalla realtà ma che, in verità, parlano dell’uomo, delle sue passioni, delle sue aspirazioni, delle lotte che deve affrontare quotidianamente.
È nato così un fecondo legame tra l’arte di Michele Fabbricatore e la letteratura capace di rappresentare situazioni fantastiche senza mai dimenticare la realtà, quella letteratura che può offrire un patrimonio di suggestioni, di storie, di immagini, che l’artista raccoglie dalle pagine scritte e trasferisce nei suoi disegni e nelle sue sculture.
La mitologia (terreno frequentato da Fabbricatore, che per raccontare la sua arte cita per esempio il mito platonico dell’Auriga, trascinata dai cavalli in due opposte direzioni: verso il basso e verso l’alto, in quella dimensione da lui privilegiata) può offrire lo spunto per rappresentare il cavallo di Troia, nel quale, con sguardo sognante e senza tracce di violenza guerriera, i soldati si preparano all’assalto e Ulisse – con quell’ironia che fa parte dell’arte di Fabbricatore – mette l’indice al naso invitando al silenzio. Ma c’è anche San Giorgio che uccide il drago o che cavalca insieme alla principessa che è destinato a salvare (e quanti principi e principesse che, sullo stesso cavallo, attraversano il mondo, sotto le stelle o in pieno giorno, emblema di quel tema eterno che è l’amore, raccontato con semplicità e immediatezza e senza sovrastrutture e complicazioni).
C’è Pinocchio che fugge dalla balena (ma sembra quasi giocare con lei, sorridendo inseguito, come se sapesse che un viaggio nel suo ventre è pur sempre necessario per crescere) e ci sono immagini tratte da Cyrano di Bergerac.
C’è l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto (con Astolfo sulla luna: un Astolfo che, dalla luna, osserva la piccolezza della terra e che, attraverso ciò che trova su questo pianeta sconosciuto, permette all’Ariosto di raccontare l’uomo con le sue vanità) e c’è, soprattutto, Calvino, il maestro in ‘leggerezza’, l’inventore del Visconte dimezzato e del Barone rampante, storie che offrono spunti per due acqueforti acquerellate, con la parte buona del visconte e il barone Cosimo arrampicato su un albero che vengono rappresentati con gli occhi chiusi: si potrebbe ripercorrere l’arte di Michele Fabbricatore anche attraverso gli occhi chiusi dei suoi personaggi, che non fuggono – con questo atteggiamento – la realtà, che non evitano di guardarla in faccia, ma che sembrano completamente immersi nell’assaporarne la bellezza, gioiosamente concentrati nel percepire l’armonia tra se stessi e il mondo, in riconoscente silenzio verso ogni attimo della vita.
Anche osservando le tante sculture che prendono spunto dall’altro testo calviniano amato da Fabbricatore – quel concentrato di immaginazione, fantasia e realtà che sono Le città invisibili – non mancano gli occhi chiusi, di regine nella loro città sulle nuvole o di fanciulle che, sospese e volanti, si muovono in Ottavia (la città-ragnatela) o si godono i bagni in Armilla (la città fatta solo di tubature dell’acqua). O di chi, dalla terra, rivolge il volto verso l’alto, in direzione di Bersabea, la città sospesa in aria dove regnano le virtù e i sentimenti più nobili, modello per la Bersabea terrena (e anche immagine per poter definire l’arte di Fabbricatore, il suo significato, le sue ragioni): «Sospesa in cielo esiste un’altra Bersabea, dove si librano le virtù e i sentimenti più elevati della città, e che se la Bersabea terrena prenderà a modello quella celeste diventerà una cosa sola con essa».
La direzione di questa letteratura e di quest’arte è verso l’alto. Un alto che non perde contatti con la terra, come la città di Bauci (che comunque tocca il suolo con delle lunghe gambe da fenicottero) o come il barone rampante (che sale sugli alberi ma che, da quella posizione privilegiata e senza mai più toccare il suolo con un piede, osserva il mondo che lo circonda).
Sembrano volare, i personaggi di Fabbricatore, così come sembra fatta d’aria la sua arte così materica. Che conosce il grigiore e la pesantezza (tra le città esiste anche Sofronia, per metà regno della ‘leggerezza’, per l’altra metà così simile alle nostre città e al mondo in cui ci muoviamo – o, forse, al mondo che spesso finiamo per considerare l’unico possibile: «L’altra mezza città è di pietre e marmo e cemento, con la banca, gli opifici, i palazzi, il mattatoio, le scuole e tutto il resto»), che sa cosa sia il potere e la solitudine (c’è un Kublai Kan solo alla finestra al centro della sua reggia).
La ‘leggerezza’ indica una strada, rappresenta un valore, invita a scelte concrete: per questo, spesso, non c’è posto per lei sulla terra. Lo sperimentava il Perelà palazzeschiano, quell’omino di fumo sceso dalla sommità di un comignolo per scrivere le nuove leggi del regno di Torlindao, messaggero della ‘leggerezza’ contrapposta alla ‘pesantezza’ della guerra, del denaro, del potere, dell’amore vissuto come dolore e tragedia: accolto a braccia aperte e con tutti gli onori, viene puoi respinto e emarginato, come spesso capita a chi è diverso (Il Codice di Perelà, come tutti i libri sulla leggerezza, parla anche di realtà concrete: ed è, appunto, un romanzo sulla diversità); si è ingrigito e appesantito attraversando il mondo degli uomini, ha provato ad annunciare un nuovo messaggio – condensato in una parola che diviene, appunto, rivoluzionaria, in quanto scardina le consuetudini: leggerezza –, è stato inizialmente e inconsapevolmente accettato, poi viene processato, condannato e imprigionato.
Non gli resta che tornare verso l’alto, rifarsi nuvola. Ma un seme, sulla terra, è riuscito a gettarlo. Anche l’arte di Michele Fabbricatore – che, dopo aver esposto in molte città italiane, realizza finalmente una personale anche nella ‘sua’ Pistoia, dove peraltro è sempre visibile il labotarorio-mostra all’angolo tra Via Filippo Pacini e Via della Torre, nel quale si può entrare come si entrerebbe in una bella favola – è come un seme, che sta a noi accogliere in un terreno fertile e saper coltivare.
Giovanni Capecchi
LABORATORI D’ARTE
LE CITTA’ INVISIBILI
SOGNATE DAI BAMBINI
15 OTTOBRE ORE 16.00
Le città che verranno: materiali in transito
Sarà presente l’artista
Partendo dalle città invisibili di Calvino e dalle sculture di Michele Fabbricatore, i bambini potranno ricevere degli stimoli creativi per realizzare delle “città” con materiali di riciclo.
22 OTTOBRE ORE 16.00
Le città galleggianti
Venezia, Amsterdam, ma anche le città invisibili di Calvino – da Armilla a Smeraldina a Fillide – o quelle, visibili, costruite lungo le rive del fiume Mekong, sollecitano la fantasia dei bambini nella ricerca dei mobili confini entro e oltre i quali abitazioni, barche e botteghe nomadi, galleggiando, si spostano e si incuneano in un reticolo di canali.
29 0TTOBRE ORE 16.00
Le città di sabbia
Di bocca in bocca, canti nenie e filastrocche che arrivano dal deserto raccontano di mappe disegnate nella sabbia, di città immaginarie costruite sulle soglia dove le grandi civiltà incontrano il “nulla”. Storie e immagini guideranno i bambini verso Timbuctù - la città mitica, alle porte del deserto – per dare l’avvio a tante immaginifiche città dorate.
5 NOVEMBRE ORE 16.00
Le città dormienti: lettoni e lettini raccontano come sognano i bambini.
Sarà presente l’artista
Paese che vai…lettino che trovi! Si avvia così un giocare a fantasticare su camere e camerette proprie e di altri bambini che vivono in terre lontane.
La presenza dello scultore solleciterà riflessioni e pensieri su forme e colori che daranno poi luogo, in una scatole da scarpe, a divertenti costruzioni per fare la nanna e sognare!
Prenotazione ai laboratori: Museo Marino Marini 0573 30285
Dal 2000 espone le sue sculture in gallerie a Firenze, Castellina in Chianti, Isola d’Elba, Cortona, Bologna, Milano e Torino. Dal 2007 frequenta la scuola di grafica internazionale Il Bisonte a Firenze. Nel 2010 approda a Genova al Museo Luzzati con una mostra dedicata al tema de Le città invisibili di Italo Calvino.
Le città sognate dai bambini
“Imparare a imparare” come vivere la città, parafrasando Bateson – l’inventore dell’ecologia della mente -non è certo per bambini e bambine nell’età della ragione un’asfittica questione di “educazione civica”.
E’ molto di più. Lo stesso Le Corbusier, ribaltando quasi il cartesiano “penso dunque sono”, era solito sostenere che la prima prova di esistere, la prima certezza umana di essere nel mondo, fosse data proprio dalla percezione di occupare uno spazio. Nei luoghi, ben sappiamo, si ricerca sicurezza e conferma della propria identità e appartenenza, un fenomeno che di sicuro si amplifica quando si tratta di ragazzini o ragazzine il cui senso di sé è ancora in divenire. “Guai a limitare un bambino tra la casa e l’isolato - ha sostenuto in una recente intervista Mario Botta – crescerà in un mondo che lui non ha strumenti per conoscere. Se ha libertà di movimento si guarderà intorno – ha proseguito l’architetto luganese – e scoprirà così che è inutile dipingere le facciate: basta la luce a dar colore ai palazzi. Scoprirà che le piazze e i monumenti fanno compagnia: bastano le loro storie di principi, operai, funai, anarchici e cavalieri”. E così, attraverso gli strumenti che più sono congeniali ai bambini: stupore e meraviglia, curiosità e fantasia, invenzioni e esplorazioni gustose, i bambini stessi scopriranno anche che la città, questo meraviglioso libro di pietra scritto dal tempo, con le sue memorie a falde, con le sue ‘cartoline del passato’, inun lessico che coniugageografia, antropologia e ambiente, scienza e società, propone un serrato, importantissimo, confronto con la storia.
Per questo Orecchio Acerbo si adopera da tempo, con laboratori d’arte e di narrazione, per far comprendere anche a bambini e ragazzini le logiche della città, i sentimenti di moltitudine e di diversità che la caratterizzano, affinchè loro stessi, nel tempo, possano avere un ruolo importante fra le tante regole, le interrelazioni e l’organizzazione di un contesto sociale-urbano che evolve senza tregua e il cui futuro saremo tutti chiamati a condividere.
Per una città sostenibile, per una città del futuro che non rinneghi le origine mitiche della città stessa, i grandi racconti antropologici come le grandi cosmogonie che ci precedono, c’è però bisogno di sognarle le città. Sognarle, immaginarle, trasfigurarle, renderle udibili con gli occhi, invisibili come già aveva tentato Italo Calvino e come oggi propone Michele Fabbricatore.
Con una forza, una potenza quasi dantesca, la rivisitazione delle invisibili città voluta da Michele Fabbricatore scolpisce, dall’orlo del visibile parlare, la narrazione di Calvino, la rende materia: terra che si tocca e si trasforma, come un gioco con la sabbia. E i bambini, a confronto con la sua creatività così accosto al sogno, con le sue città così ancorate agli arcani linguaggi della fiaba, così popolate da personaggi trasfigurati nella visionarità plasticadel sogno, i bambini incontrano quelle città che danno forma ai desideri e che - come Lalage - crescono in leggerezza.
Le loro, quelle dei bambini e quelle di Fabbricatore, sono città invisibili o nascoste; immaginabili e possibili.
Città dritte e capovolte, speculari, mobili oppure mosse. Città oniriche che conoscono solo partenze. Città nate dalle mescolanze, abitate o vuote, sostenute da trampoli o appese al cielo o piatte. Città sorvolate da aquiloni, dirigibili volanti, comete dalle code lunghe. Città popolate da donne cannone, da giocolieri da fuggiaschi e erranti: donne e uomini. Città visionarie, inospitali, rocciose o volanti, orchestrate fra teatri di cristallo, sfere, scale a chiocciola incrostate di chiocciole marine, torri, canali, quartieri, bastioni, carovane, cammelli e viali di elefanti e deserti, tende a strisce, archi e tetti, pale di multini a vento, bazar, orti e pagode, gabinetti di papiri, botteghe di sellai, scale di corda, giardini della somiglianza… Città avvolte come gomitoli; città celesti o azzurre, smontate e ricostruite sostituendo ingredienti, spostandoli, invertendoli proprio come faceva Kublai Kan con i racconti di Marco Polo muovendo, nel frattempo, torri e cavalli sulla scacchiera d’avorio.
Pur se non è detto che Kublai Kan credesse a tutto quello che diceva Marco Polo, così come non è detto che la verità coincida con la realtà. Però, ampliando quanto Danilo Dolci sostenevache “ciascuno cresce solo se è sognato”, si può pensare che anche le città possano crescere, e crescere bene, solo a partire dal loro essere sognate, da noi, dai bambini, da tutti. Perché dal sogno, da quella incredibile capacità di trascinare nell’altrove dell’arte propria di Michele Fabbricatore, nonché da quei calviniani affacci sul lago della mente per costruire, per girarci in mezzo coi pensieri, alle città, e per scrutarne le tracce di felicità, potrebbero nascere le città del domani.
Perché, solo nei resoconti di Marco Polo, solo in quei viaggi sul limitare di fantasia e realtà, solo in quell’area intermedia, nellano man’s landdella creazione artistica, si può sfuggire a quel terribile “morso delle termiti” che ammorba la contemporaneità.
Manuela Trinci
Come un seme
L’artista contemporaneo ha di fronte a sé due strade contrapposte da poter imboccare e percorrere: quella di un’arte che racconti il ‘male’ dell’esistenza, che dichiari i fallimenti e le frustrazioni dell’uomo, che rappresenti le disarmonie, i contrasti, i traumi, le paure; e quella di un’arte che privilegi la bellezza, l’armonia e l’equilibrio, che si ponga come sguardo stupito su ciò che di meraviglioso ci circonda ed è dentro di noi, raccontandolo e, al tempo stesso, mostrandolo come obiettivo da raggiungere.
Michele Fabbricatore ha imboccato con decisione questa seconda strada, che non è la strada di chi non conosca e riconosca il negativo e la ‘pesantezza’, ma è la via di chi – consapevolmente – scelga di coltivare e far crescere ciò che di positivo esiste e che, nelle intenzioni dell’artista, dovrebbe rafforzarsi, prendere campo, finire per dominare.
Se c’è, intorno a noi, l’inferno, è pure presente – spesso nascosto, sommerso dal brutto e dal negativo – il non-inferno, che un artista come Michele Fabbricatore vuole riconoscere, valorizzare, far vivere, secondo quanto dice Marco Polo a Kublai Kan nelle righe che concludono Le città invisibili di Italo Calvino: «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
Per poter rappresentare (e, soprattutto, indicare come obiettivo, come dimensione verso la quale camminare) una realtà dominata dalla ‘leggerezza’ – che non è ‘disimpegno’, ma al contrario valore contrapposto alla ‘pesantezza’ – lo sguardo che Michele Fabbricatore sceglie di adottare è quello del bambino: più veritiero (è lui che candidamente dichiara che il Re è nudo), capace di sognare, in grado di sollevarsi da terra e di volare (vale la pena di ricordare come si conclude un racconto sul ‘volo’, la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Louis Sepùlveda: «Vola solo chi osa farlo»), naturalmente e spontaneamente incline alla meraviglia, capace di privilegiare – lo sosteneva anche il fanciullino Pascoli – le piccole cose belle. E adottare questa prospettiva infantile e fantastica non significa scegliere una ‘scorciatoia’ artistica: Michele Fabbricatore ha alle spalle una storia di precoce passione e vocazione artistica, si è diplomato in scultura all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1998, ha studiato l’arte ceramica in Olanda, ha approfondito la tecnica della terracotta e della ceramica nelle fornaci dell’Impruneta. Saprebbe, cioè, fare qualsiasi tipo di scultura, rappresentare soggetti ‘classici’ e nudi, fotografare la realtà o deformarla fino al mostruoso. Ma da circa dieci anni ha imboccato questa strada, trovando la ‘voce’ con la quale parlare agli altri, modulando il suo discorso artistico sulle corde che sente più congeniali.
E su questa strada – la strada, appunto, del bello, dell’armonia, dell’equilibrio: obiettivi da raggiungere, non dimensioni alle quali si è già approdati – ha incontrato i testi letterari che danno spazio alla leggerezza e alla fantasia, che sembrano lontani dalla realtà ma che, in verità, parlano dell’uomo, delle sue passioni, delle sue aspirazioni, delle lotte che deve affrontare quotidianamente.
È nato così un fecondo legame tra l’arte di Michele Fabbricatore e la letteratura capace di rappresentare situazioni fantastiche senza mai dimenticare la realtà, quella letteratura che può offrire un patrimonio di suggestioni, di storie, di immagini, che l’artista raccoglie dalle pagine scritte e trasferisce nei suoi disegni e nelle sue sculture.
La mitologia (terreno frequentato da Fabbricatore, che per raccontare la sua arte cita per esempio il mito platonico dell’Auriga, trascinata dai cavalli in due opposte direzioni: verso il basso e verso l’alto, in quella dimensione da lui privilegiata) può offrire lo spunto per rappresentare il cavallo di Troia, nel quale, con sguardo sognante e senza tracce di violenza guerriera, i soldati si preparano all’assalto e Ulisse – con quell’ironia che fa parte dell’arte di Fabbricatore – mette l’indice al naso invitando al silenzio. Ma c’è anche San Giorgio che uccide il drago o che cavalca insieme alla principessa che è destinato a salvare (e quanti principi e principesse che, sullo stesso cavallo, attraversano il mondo, sotto le stelle o in pieno giorno, emblema di quel tema eterno che è l’amore, raccontato con semplicità e immediatezza e senza sovrastrutture e complicazioni).
C’è Pinocchio che fugge dalla balena (ma sembra quasi giocare con lei, sorridendo inseguito, come se sapesse che un viaggio nel suo ventre è pur sempre necessario per crescere) e ci sono immagini tratte da Cyrano di Bergerac.
C’è l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto (con Astolfo sulla luna: un Astolfo che, dalla luna, osserva la piccolezza della terra e che, attraverso ciò che trova su questo pianeta sconosciuto, permette all’Ariosto di raccontare l’uomo con le sue vanità) e c’è, soprattutto, Calvino, il maestro in ‘leggerezza’, l’inventore del Visconte dimezzato e del Barone rampante, storie che offrono spunti per due acqueforti acquerellate, con la parte buona del visconte e il barone Cosimo arrampicato su un albero che vengono rappresentati con gli occhi chiusi: si potrebbe ripercorrere l’arte di Michele Fabbricatore anche attraverso gli occhi chiusi dei suoi personaggi, che non fuggono – con questo atteggiamento – la realtà, che non evitano di guardarla in faccia, ma che sembrano completamente immersi nell’assaporarne la bellezza, gioiosamente concentrati nel percepire l’armonia tra se stessi e il mondo, in riconoscente silenzio verso ogni attimo della vita.
Anche osservando le tante sculture che prendono spunto dall’altro testo calviniano amato da Fabbricatore – quel concentrato di immaginazione, fantasia e realtà che sono Le città invisibili – non mancano gli occhi chiusi, di regine nella loro città sulle nuvole o di fanciulle che, sospese e volanti, si muovono in Ottavia (la città-ragnatela) o si godono i bagni in Armilla (la città fatta solo di tubature dell’acqua). O di chi, dalla terra, rivolge il volto verso l’alto, in direzione di Bersabea, la città sospesa in aria dove regnano le virtù e i sentimenti più nobili, modello per la Bersabea terrena (e anche immagine per poter definire l’arte di Fabbricatore, il suo significato, le sue ragioni): «Sospesa in cielo esiste un’altra Bersabea, dove si librano le virtù e i sentimenti più elevati della città, e che se la Bersabea terrena prenderà a modello quella celeste diventerà una cosa sola con essa».
La direzione di questa letteratura e di quest’arte è verso l’alto. Un alto che non perde contatti con la terra, come la città di Bauci (che comunque tocca il suolo con delle lunghe gambe da fenicottero) o come il barone rampante (che sale sugli alberi ma che, da quella posizione privilegiata e senza mai più toccare il suolo con un piede, osserva il mondo che lo circonda).
Sembrano volare, i personaggi di Fabbricatore, così come sembra fatta d’aria la sua arte così materica. Che conosce il grigiore e la pesantezza (tra le città esiste anche Sofronia, per metà regno della ‘leggerezza’, per l’altra metà così simile alle nostre città e al mondo in cui ci muoviamo – o, forse, al mondo che spesso finiamo per considerare l’unico possibile: «L’altra mezza città è di pietre e marmo e cemento, con la banca, gli opifici, i palazzi, il mattatoio, le scuole e tutto il resto»), che sa cosa sia il potere e la solitudine (c’è un Kublai Kan solo alla finestra al centro della sua reggia).
La ‘leggerezza’ indica una strada, rappresenta un valore, invita a scelte concrete: per questo, spesso, non c’è posto per lei sulla terra. Lo sperimentava il Perelà palazzeschiano, quell’omino di fumo sceso dalla sommità di un comignolo per scrivere le nuove leggi del regno di Torlindao, messaggero della ‘leggerezza’ contrapposta alla ‘pesantezza’ della guerra, del denaro, del potere, dell’amore vissuto come dolore e tragedia: accolto a braccia aperte e con tutti gli onori, viene puoi respinto e emarginato, come spesso capita a chi è diverso (Il Codice di Perelà, come tutti i libri sulla leggerezza, parla anche di realtà concrete: ed è, appunto, un romanzo sulla diversità); si è ingrigito e appesantito attraversando il mondo degli uomini, ha provato ad annunciare un nuovo messaggio – condensato in una parola che diviene, appunto, rivoluzionaria, in quanto scardina le consuetudini: leggerezza –, è stato inizialmente e inconsapevolmente accettato, poi viene processato, condannato e imprigionato.
Non gli resta che tornare verso l’alto, rifarsi nuvola. Ma un seme, sulla terra, è riuscito a gettarlo. Anche l’arte di Michele Fabbricatore – che, dopo aver esposto in molte città italiane, realizza finalmente una personale anche nella ‘sua’ Pistoia, dove peraltro è sempre visibile il labotarorio-mostra all’angolo tra Via Filippo Pacini e Via della Torre, nel quale si può entrare come si entrerebbe in una bella favola – è come un seme, che sta a noi accogliere in un terreno fertile e saper coltivare.
Giovanni Capecchi
LABORATORI D’ARTE
LE CITTA’ INVISIBILI
SOGNATE DAI BAMBINI
15 OTTOBRE ORE 16.00
Le città che verranno: materiali in transito
Sarà presente l’artista
Partendo dalle città invisibili di Calvino e dalle sculture di Michele Fabbricatore, i bambini potranno ricevere degli stimoli creativi per realizzare delle “città” con materiali di riciclo.
22 OTTOBRE ORE 16.00
Le città galleggianti
Venezia, Amsterdam, ma anche le città invisibili di Calvino – da Armilla a Smeraldina a Fillide – o quelle, visibili, costruite lungo le rive del fiume Mekong, sollecitano la fantasia dei bambini nella ricerca dei mobili confini entro e oltre i quali abitazioni, barche e botteghe nomadi, galleggiando, si spostano e si incuneano in un reticolo di canali.
29 0TTOBRE ORE 16.00
Le città di sabbia
Di bocca in bocca, canti nenie e filastrocche che arrivano dal deserto raccontano di mappe disegnate nella sabbia, di città immaginarie costruite sulle soglia dove le grandi civiltà incontrano il “nulla”. Storie e immagini guideranno i bambini verso Timbuctù - la città mitica, alle porte del deserto – per dare l’avvio a tante immaginifiche città dorate.
5 NOVEMBRE ORE 16.00
Le città dormienti: lettoni e lettini raccontano come sognano i bambini.
Sarà presente l’artista
Paese che vai…lettino che trovi! Si avvia così un giocare a fantasticare su camere e camerette proprie e di altri bambini che vivono in terre lontane.
La presenza dello scultore solleciterà riflessioni e pensieri su forme e colori che daranno poi luogo, in una scatole da scarpe, a divertenti costruzioni per fare la nanna e sognare!
Prenotazione ai laboratori: Museo Marino Marini 0573 30285
08
ottobre 2011
Michele Fabbricatore – Le città invisibili
Dall'otto ottobre al 12 novembre 2011
arte moderna e contemporanea
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
FONDAZIONE MARINO MARINI
Pistoia, Corso Silvano Fedi, 30, (Pistoia)
Pistoia, Corso Silvano Fedi, 30, (Pistoia)
Orario di apertura
da lunedì a sabato ore 10-17
Vernissage
8 Ottobre 2011, h 18.00
Autore
Curatore