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Mimesis 4
Osservando un opera d’arte del passato, molto spesso capita di sentirsi trasportati all’interno del quadro e di entrare in relazione con i personaggi rappresentati tanto forte è l’emozione suscitata in noi dalle figure e dai paesaggi naturali in esso raffigurati.
Comunicato stampa
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Basta indugiare su uno sguardo, soffermarsi su di un gesto o lasciarsi affascinare da un bagliore di luce o da una trasparenza, che in modo naturale e spontaneo si perde la dimensione dello spazio reale e si varca la soglia di quello illusionistico che l’artista ha miracolosamente costruito per noi. In questo meccanismo non è però l’ambientazione ad essere determinante. Tutto ciò infatti avviene indifferentemente di fronte ad una scena a soggetto religioso, mitologico, storico o anche in un contesto allegorico e fantastico e potrebbe sembrare che stia nella capacità di immedesimazione dell’osservatore di fronte all’immagine la ragione di tutto. Sicuramente la curiosità e la volontà di partecipare giocano un ruolo importante in questa vicenda, ma ciò non basta a spiegare il motivo per cui la nostra mente si tuffa nello spazio pittorico dando libero sfogo alla fantasia.
Andando un po’ oltre in queste considerazioni si può facilmente giungere all’ipotesi che entrare in una storia rappresentata o in un paesaggio dipinto sia frutto del desiderio di essere protagonisti di ogni azione intrapresa e di dare così un senso alla necessità istintiva di comprendere ciò che si vede. Anche una scultura infatti - pur con dinamiche temporali meno immediate e con diversi meccanismi percettivi - procura in noi una sensazione simile al voler condividere lo spazio da essa occupato e intravedere la luce riflessa dalla materia che la costituisce identificandola come luce naturale. Anche questa conclusione però non è sufficiente a chiarire l’origine di questa naturale propensione - presente in ognuno di noi - di passare dallo stato di osservazione o di contemplazione passiva alla stato di partecipazione e di iterazione con la situazione rappresentata.
Credo sia giunto il momento di far entrare in gioco il motore di tutto quanto ho precedentemente illustrato: l’Artista. Come non riconoscere nell’artista, all’interno di questo complesso meccanismo di comunicazione, il vero artefice delle reazioni innescate nella nostra coscienza? Proprio lui suscita sentimenti, talvolta così diversi e contrastanti, che si avvicendano dentro di noi quando ci troviamo davanti ad un’opera d’arte che tentiamo di possedere illudendoci di entrare al suo interno. Sicuramente è l’autore dell’opera – che sapientemente ha organizzato l’immagine, con sensibilità ha scelto le tonalità cromatiche ed infine con estremo rigore compositivo ha realizzato tecnicamente le diverse situazioni rappresentate - la causa di ogni nostra reazione emotiva.
Questa capacità dell’arte di sostituirsi al mondo reale da sempre è stata definita come Mimesi. La mimesi, altrimenti conosciuta in ambito artistico figurativo come imitazione della natura, è stata per gli artisti del passato un punto di partenza importante ed in alcuni periodi storici addirittura sovrapponibile e identificabile con il medesimo concetto di Arte. Nel mondo contemporaneo siamo oramai abituati a pensare che altri importanti elementi stiano al centro dell’espressione artistica e non solo la verosimiglianza possa essere necessariamente l’unica discriminante di giudizio. Luce, colore e materia costituiscono spesso l’ossatura di un dipinto e sempre più frequentemente attraverso la forzatura e la trasformazione dei soggetti rappresentati si ottengono gli esiti più rappresentativi. Ma allora, dalla riflessione sull’arte del Novecento e sugli esiti in essa estrinsecati, che senso ha oggi la rappresentazione del reale? Quali significati considerare e che valore attribuire di fronte ad opere che tendono comunque a riprodurre il mondo visibile? Per dare una risposta a queste importanti domande dobbiamo innanzitutto ricordare che imitazione non significa riproduzione e soprattutto non dobbiamo dimenticare che la natura è comunque l’indispensabile principio del nostro essere e della nostra vita.
Ancora una volta dobbiamo ripetere che il problema dell’artisticità di un’opera non sta nell’imitazione del reale o nell’astrazione, ma che tutto si gioca sulla responsabilità dell’artista, sulla sua capacità interpretativa e sulla imprescindibile volontà creativa. Dobbiamo considerare comunque che lo sforzo di andare oltre il reale non è contro il reale ma lo vuole integrare e che l’obiettivo finale dell’artista è quello di coinvolgere lo spettatore e comunicargli la sua visione del mondo in modo chiaro e sensibile, suscitando in lui emozioni che rimandano ad un universo fantastico, ma dentro ad una esperienza reale ed interpretabile. In ultima analisi ogni opera deve essere unica nella sua irripetibilità; solo così si può riscattare dalla sua obbligata essenza materica e divenire espressione e comunicazione.
Carlo Catiri
Andando un po’ oltre in queste considerazioni si può facilmente giungere all’ipotesi che entrare in una storia rappresentata o in un paesaggio dipinto sia frutto del desiderio di essere protagonisti di ogni azione intrapresa e di dare così un senso alla necessità istintiva di comprendere ciò che si vede. Anche una scultura infatti - pur con dinamiche temporali meno immediate e con diversi meccanismi percettivi - procura in noi una sensazione simile al voler condividere lo spazio da essa occupato e intravedere la luce riflessa dalla materia che la costituisce identificandola come luce naturale. Anche questa conclusione però non è sufficiente a chiarire l’origine di questa naturale propensione - presente in ognuno di noi - di passare dallo stato di osservazione o di contemplazione passiva alla stato di partecipazione e di iterazione con la situazione rappresentata.
Credo sia giunto il momento di far entrare in gioco il motore di tutto quanto ho precedentemente illustrato: l’Artista. Come non riconoscere nell’artista, all’interno di questo complesso meccanismo di comunicazione, il vero artefice delle reazioni innescate nella nostra coscienza? Proprio lui suscita sentimenti, talvolta così diversi e contrastanti, che si avvicendano dentro di noi quando ci troviamo davanti ad un’opera d’arte che tentiamo di possedere illudendoci di entrare al suo interno. Sicuramente è l’autore dell’opera – che sapientemente ha organizzato l’immagine, con sensibilità ha scelto le tonalità cromatiche ed infine con estremo rigore compositivo ha realizzato tecnicamente le diverse situazioni rappresentate - la causa di ogni nostra reazione emotiva.
Questa capacità dell’arte di sostituirsi al mondo reale da sempre è stata definita come Mimesi. La mimesi, altrimenti conosciuta in ambito artistico figurativo come imitazione della natura, è stata per gli artisti del passato un punto di partenza importante ed in alcuni periodi storici addirittura sovrapponibile e identificabile con il medesimo concetto di Arte. Nel mondo contemporaneo siamo oramai abituati a pensare che altri importanti elementi stiano al centro dell’espressione artistica e non solo la verosimiglianza possa essere necessariamente l’unica discriminante di giudizio. Luce, colore e materia costituiscono spesso l’ossatura di un dipinto e sempre più frequentemente attraverso la forzatura e la trasformazione dei soggetti rappresentati si ottengono gli esiti più rappresentativi. Ma allora, dalla riflessione sull’arte del Novecento e sugli esiti in essa estrinsecati, che senso ha oggi la rappresentazione del reale? Quali significati considerare e che valore attribuire di fronte ad opere che tendono comunque a riprodurre il mondo visibile? Per dare una risposta a queste importanti domande dobbiamo innanzitutto ricordare che imitazione non significa riproduzione e soprattutto non dobbiamo dimenticare che la natura è comunque l’indispensabile principio del nostro essere e della nostra vita.
Ancora una volta dobbiamo ripetere che il problema dell’artisticità di un’opera non sta nell’imitazione del reale o nell’astrazione, ma che tutto si gioca sulla responsabilità dell’artista, sulla sua capacità interpretativa e sulla imprescindibile volontà creativa. Dobbiamo considerare comunque che lo sforzo di andare oltre il reale non è contro il reale ma lo vuole integrare e che l’obiettivo finale dell’artista è quello di coinvolgere lo spettatore e comunicargli la sua visione del mondo in modo chiaro e sensibile, suscitando in lui emozioni che rimandano ad un universo fantastico, ma dentro ad una esperienza reale ed interpretabile. In ultima analisi ogni opera deve essere unica nella sua irripetibilità; solo così si può riscattare dalla sua obbligata essenza materica e divenire espressione e comunicazione.
Carlo Catiri
17
aprile 2010
Mimesis 4
Dal 17 al 30 aprile 2010
arte contemporanea
Location
ATELIER CHAGALL
Milano, Alzaia Naviglio Grande, 4, (Milano)
Milano, Alzaia Naviglio Grande, 4, (Milano)
Orario di apertura
Da Mercoledì a Sabato ore 15-19, domenica ore 11-19
Vernissage
17 Aprile 2010, ore 16.30
Autore
Curatore