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Mirjam Elburn / Hermann Reiter – Residui. Respiri.
La sedicesima mostra della galleria Oblom propone i lavori dell’artista tedesca Mirjam Elburn e del fotografo peruviano Hermann Reiter già presentati dalla galleria a The Others Fair 2013 nell’ambito del progetto espositivo Krísis.
Comunicato stampa
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Residui.Respiri.
La sedicesima mostra della galleria Oblom propone i lavori dell’artista tedesca Mirjam Elburn e del fotografo peruviano Hermann Reiter già presentati dalla galleria a The Others Fair 2013 nell’ambito del progetto espositivo Krísis.
Il residuo è ciò che resta indietro, la rimanenza di un processo di consumazione. Il residuo è anche l’avanzo inutilizzabile, l’eccedenza non prevista, il rifiuto senza nome e senza forma, la scoria ripugnante, il resto senza scopo che mette a disagio. Nell’omonimo dialogo platonico, Parmenide domanda al giovane Socrate se dei capelli, come di altre cose infime quali il fango e il sudiciume, esistano o no le idee. Capelli umani caduti sono il materiale costitutivo, insieme a vecchi libri e pagine di giornali, sottovesti e scatole di sapone, degli assemblaggi surrealisti che Mirjam Elburn crea, raccogliendo e poi cucendo i capelli sulla carta o sulla stoffa, oppure riunendoli in ciocche e collezionandoli in teche di vetro. I capelli sono un materiale ambiguo. Simbolo di vita, essi intrattengono una relazione intima con la morte. Soggetti a leggi di crescita e decadimento proprie, i capelli ci mettono di fronte alla crudezza della nostra natura biologica. Resti del nostro corpo separati dal corpo e stranamente persistenti dinanzi ai nostri occhi sul pavimento del bagno o sul cuscino, i capelli caduti sono un’immagine della nostra caducità, così come sappiamo che i capelli prolungheranno un loro ciclo vitale, dopo la nostra morte, nell’oscurità batterica della decomposizione. In un libello di qualche anno fa Jean Clair riprovava l’attrazione dell’arte contemporanea verso il cadaverico, l’informe, l’anonimo e l’innominabile. Un aspetto mortuario, di dissoluzione è fortemente presente nelle opere della Elburn, in cui i capelli paiono, come saprofiti, crescere e proliferare sugli oggetti, che nel loro disfacimento inorganico continuano ad appartenere alla sfera dell’umano, in un modo che li colloca in un ambito differente da quello dell’umano. In qualche modo i capelli sono disumani. Non ci appartengono. Siamo noi ad appartenere a loro. In qualche modo noi siamo il residuo della nostra consumazione. Tuttavia il residuo è anche reliquia, ciò che lasciamo di noi come oggetto di conservazione e di memoria. E i capelli sono concrezioni umane di memoria umana dell’umano. Questo secondo aspetto, quello della conservazione, che si inserisce in un’antica tradizione di conservazione delle ciocche di capelli, dei bambini, delle persone amate, dei defunti, ci sembra fondamentale nella poetica della Elburn. Osservando le sue opere, pacate e ossessive, lucide e struggenti, sullo sfondo delle quali si impone sul piano simbolico, necessario e atroce, il riferimento all’abominio delle tonnellate di capelli umani ammassati nei depositi dei lager, diveniamo coadiutori di un’operazione di profonda pietas, e partecipi di un’istanza di preservazione, nell’oblio e nella distruzione del tempo, di ciò che è autenticamente umano: l’idea fragile ed eterna della nostra umanità.
Come i capelli ci mettono in comunicazione con il brulicante fondo animale e organico della nostra esistenza, il respiro ci mette in comunicazione con le vastità deserte e inorganiche dell’atmosfera. Respirare. Venire al mondo. Essere nel mondo. Negli otto dittici di Pneuma di Hermann Reiter il tema dell’anima è declinato attraverso la raffigurazione di giovani corpi nudi, maschili e femminili, inerti nella parte sinistra del dittico mentre ricevono da una forma astratta sospesa in aria un soffio che a loro volta, nella parte destra, trasmettono attraverso un lungo tubo che fuoriesce dall’inquadratura e si dirige verso l’osservatore. In questa comunicazione circolare che avviene in uno spazio vuoto e rarefatto, nel quale si realizza uno scambio continuo tra interiorità ed esteriorità, c’è una suggestione che ci attrae e coinvolge. Respirare. Restare.
La sedicesima mostra della galleria Oblom propone i lavori dell’artista tedesca Mirjam Elburn e del fotografo peruviano Hermann Reiter già presentati dalla galleria a The Others Fair 2013 nell’ambito del progetto espositivo Krísis.
Il residuo è ciò che resta indietro, la rimanenza di un processo di consumazione. Il residuo è anche l’avanzo inutilizzabile, l’eccedenza non prevista, il rifiuto senza nome e senza forma, la scoria ripugnante, il resto senza scopo che mette a disagio. Nell’omonimo dialogo platonico, Parmenide domanda al giovane Socrate se dei capelli, come di altre cose infime quali il fango e il sudiciume, esistano o no le idee. Capelli umani caduti sono il materiale costitutivo, insieme a vecchi libri e pagine di giornali, sottovesti e scatole di sapone, degli assemblaggi surrealisti che Mirjam Elburn crea, raccogliendo e poi cucendo i capelli sulla carta o sulla stoffa, oppure riunendoli in ciocche e collezionandoli in teche di vetro. I capelli sono un materiale ambiguo. Simbolo di vita, essi intrattengono una relazione intima con la morte. Soggetti a leggi di crescita e decadimento proprie, i capelli ci mettono di fronte alla crudezza della nostra natura biologica. Resti del nostro corpo separati dal corpo e stranamente persistenti dinanzi ai nostri occhi sul pavimento del bagno o sul cuscino, i capelli caduti sono un’immagine della nostra caducità, così come sappiamo che i capelli prolungheranno un loro ciclo vitale, dopo la nostra morte, nell’oscurità batterica della decomposizione. In un libello di qualche anno fa Jean Clair riprovava l’attrazione dell’arte contemporanea verso il cadaverico, l’informe, l’anonimo e l’innominabile. Un aspetto mortuario, di dissoluzione è fortemente presente nelle opere della Elburn, in cui i capelli paiono, come saprofiti, crescere e proliferare sugli oggetti, che nel loro disfacimento inorganico continuano ad appartenere alla sfera dell’umano, in un modo che li colloca in un ambito differente da quello dell’umano. In qualche modo i capelli sono disumani. Non ci appartengono. Siamo noi ad appartenere a loro. In qualche modo noi siamo il residuo della nostra consumazione. Tuttavia il residuo è anche reliquia, ciò che lasciamo di noi come oggetto di conservazione e di memoria. E i capelli sono concrezioni umane di memoria umana dell’umano. Questo secondo aspetto, quello della conservazione, che si inserisce in un’antica tradizione di conservazione delle ciocche di capelli, dei bambini, delle persone amate, dei defunti, ci sembra fondamentale nella poetica della Elburn. Osservando le sue opere, pacate e ossessive, lucide e struggenti, sullo sfondo delle quali si impone sul piano simbolico, necessario e atroce, il riferimento all’abominio delle tonnellate di capelli umani ammassati nei depositi dei lager, diveniamo coadiutori di un’operazione di profonda pietas, e partecipi di un’istanza di preservazione, nell’oblio e nella distruzione del tempo, di ciò che è autenticamente umano: l’idea fragile ed eterna della nostra umanità.
Come i capelli ci mettono in comunicazione con il brulicante fondo animale e organico della nostra esistenza, il respiro ci mette in comunicazione con le vastità deserte e inorganiche dell’atmosfera. Respirare. Venire al mondo. Essere nel mondo. Negli otto dittici di Pneuma di Hermann Reiter il tema dell’anima è declinato attraverso la raffigurazione di giovani corpi nudi, maschili e femminili, inerti nella parte sinistra del dittico mentre ricevono da una forma astratta sospesa in aria un soffio che a loro volta, nella parte destra, trasmettono attraverso un lungo tubo che fuoriesce dall’inquadratura e si dirige verso l’osservatore. In questa comunicazione circolare che avviene in uno spazio vuoto e rarefatto, nel quale si realizza uno scambio continuo tra interiorità ed esteriorità, c’è una suggestione che ci attrae e coinvolge. Respirare. Restare.
27
dicembre 2013
Mirjam Elburn / Hermann Reiter – Residui. Respiri.
27 dicembre 2013
arte contemporanea
Location
GALLERIA OBLOM
Torino, Via Giuseppe Baretti, 28, (Torino)
Torino, Via Giuseppe Baretti, 28, (Torino)
Orario di apertura
18-20
Vernissage
27 Dicembre 2013, ore 18
Autore
Curatore