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Mirko Basaldella – Bozzetto per il cancello interno delle Fosse Ardeatine
Esposizione del bozzetto preparatorio realizzato da Mirko Basaldella nel 1949 per il cancello interno delle Fosse Ardeatine. Il disegno di grandi dimensioni, realizzato a matita su carta intelata, si struttura su un fitto intreccio di linee cariche di tensione che evocano la tragedia dello sterminio.
Comunicato stampa
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L’età contemporanea coincide con un momento storico tra i più ossessionati dall’obbligo del ricordare. La giornata della Memoria offre a tutti noi la possibilità di fermarci a riflettere sulla più tragica e cruenta pagina della storia dell’umanità.
Che cosa spinge un artista a rivendicare la sua memoria e quella di un avvenimento? Gli artisti degli anni Trenta e Quaranta hanno fissato l’orrore in tempo reale, erano contemporaneamente testimoni e vittime della barbarie che si stava abbattendo sull’umanità e sono riusciti con il loro lavoro a lasciarci in eredità un momento di memoria autentica.
Si pensi a Pesach Irsai, Felix Nussbaum, Zoran Music, Charlotte Solomon, Aldo Carpi, solo per fare alcuni nomi, che vissero l’inferno dei campi di sterminio e solo alcuni di loro riuscirono a farvi ritorno.
Nella rappresentazione della shoah, l’arte contemporanea si fa carico di un enorme fardello che si trascina da dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando l’Europa è colpita da una profonda crisi sociale e culturale, una crisi di identità che la rende incapace di rappresentare l’uomo in quanto artefice delle tragedie appena trascorse, ascrivibile alla naturale malvagità del genere umano. L’arte ritorna quindi all’avanguardia, usando forme e ideologie per una messa in discussione del reale, mediante un linguaggio che si fa continua ricerca ed evoluzione, nel tentativo di porsi in relazione con il mondo e di cambiarlo. Le ricerche dell’arte contemporanea, a partire dal dopoguerra, vertono quindi su una riflessione che ha per oggetto la temporalità e i meccanismi della memoria. Adoperando qualsiasi mezzo, l’artista volge la sua attenzione alla shoah che da documento si trasforma in opera creatrice, momento in cui avviene la fruizione tra autore e osservatore. Per questo l’opera d’arte non è più intesa come luogo di rappresentazione ma come uno spazio vitale dell’azione. Rientra in questo discorso l’opera di Mirko Basaldella (Udine, 1910 – Cambridge, 1969). A circa due anni di distanza dall’eccidio delle Fosse Ardeatine per mano della ferocia nazista che si abbatté sul popolo romano il 24 marzo 1944, quando vennero trucidati 335 innocenti in risposta all’azione partigiana di via Rasella, Mirko cominciò ad elaborare il progetto delle cancellate per il Mausoleo che sarebbe sorto in quel luogo. Inaugurato nel marzo del 1949, il Memoriale può essere considerato il primo monumento moderno dell’Italia repubblicana. Mirko realizzò dal 1946, data del concorso bandito dal Ministero della Pubblica Istruzione, una serie di bozzetti preparatori che si allontanavano man mano dall’illustrazione realista per giungere a forme tendenti all’astrattismo e all’espressionismo, oltre ad una rilettura picassiana, che gli permise di evocare, mediante un fitto groviglio di linee cariche di tensione, la tragedia dello sterminio. Le Cancellate bronzee per le Fosse Ardeatine di fatto segnano una svolta nella storia della scultura nel modo in cui vengono realizzate. Come afferma lo stesso artista, “elimina ogni compiacimento veristico e il senso della glorificazione risulta più evidente e puro” (Promemoria di Mirko Basaldella, 15/09/49).
Gli artisti delle generazioni successive, dopo un periodo di silenzio in cui hanno cercato di rispondere all’interrogativo se fosse ancora possibile fare arte dopo la shoah dopo il monito di Theodor Adorno, si sono sforzati di ricostruire i fatti avviando un lungo processo di conoscenza che ha tracciato le basi di una memoria collettiva. Una memoria diversa ma al tempo stesso puntuale e per questo in grado di essere trasmessa alle generazioni future. Mauro Maugliani (Tivoli, 1967 – vive e lavora a Nizza), che rientra nel filone di questa tendenza artistica, vede la necessità assoluta di ritrovare e preservare la memoria della shoah strappando i volti all’oblio, integrandoli nella nostra memoria. L’artista preleva le immagini dei bambini restituendoci figure nitide capaci di sollecitare interrogativi in merito alla loro sorte. Basandosi su un lavoro propriamente iconografico che parte dagli archivi fotografici, Maugliani celebra la vita ritrovata, senza per questo perdere la memoria del genocidio. Ricrea pedissequamente la realtà e al contempo è in grado di mantenere una distanza rispettosa di una verità insostenibile. I ritratti, tanto puntuali da sembrare fotografie, sono ridotti al bianco e nero. Non sono consentite distrazioni, così da sollecitare in chi guarda domande dirette, appuntite come lo strumento di cui si serve per incidere la tavola, facendo emergere il volto ed evocandone la sua storia. Così questi ritratti affiorano metaforicamente dalla materia, restituendo volto e voce ai bambini. Riemergono dall’oscurità del nero, graffiato e consunto dalle mani dell’artista, i loro sguardi, occhi che illuminano il mondo, le pieghe espressive delle loro bocche, sorrisi trattenuti, colmi di dignità. Nessun riferimento, nessun indizio che ci permetta di capirne la loro origine, la loro nazionalità. Sono bambini ebrei di Parigi, di Roma, di Varsavia, di Terezin. Sono soltanto dei bambini innocenti e noi abbiamo il dovere di ricordarli come tali. Di questi bambini l’artista ci fornisce il loro nome ma non ci suggerisce chi di loro sia tornato dai campi di sterminio. Tutti devono sopravvivere grazie al nostro ricordo e alla nostra memoria. “Stelle cadenti”, le chiama l’artista, tanto preziose quanto illuminanti, capaci di indicarci la via della resilienza, ovvero la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di ritrovare il senso di umanità perduta. Per questo Mauro Maugliani non ricorda i morti, ma i Vissuti. Accende le luci della memoria per non dimenticare il dolore e per costruire un futuro degno di essere vissuto dai bambini.
Giorgia Calò
Che cosa spinge un artista a rivendicare la sua memoria e quella di un avvenimento? Gli artisti degli anni Trenta e Quaranta hanno fissato l’orrore in tempo reale, erano contemporaneamente testimoni e vittime della barbarie che si stava abbattendo sull’umanità e sono riusciti con il loro lavoro a lasciarci in eredità un momento di memoria autentica.
Si pensi a Pesach Irsai, Felix Nussbaum, Zoran Music, Charlotte Solomon, Aldo Carpi, solo per fare alcuni nomi, che vissero l’inferno dei campi di sterminio e solo alcuni di loro riuscirono a farvi ritorno.
Nella rappresentazione della shoah, l’arte contemporanea si fa carico di un enorme fardello che si trascina da dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando l’Europa è colpita da una profonda crisi sociale e culturale, una crisi di identità che la rende incapace di rappresentare l’uomo in quanto artefice delle tragedie appena trascorse, ascrivibile alla naturale malvagità del genere umano. L’arte ritorna quindi all’avanguardia, usando forme e ideologie per una messa in discussione del reale, mediante un linguaggio che si fa continua ricerca ed evoluzione, nel tentativo di porsi in relazione con il mondo e di cambiarlo. Le ricerche dell’arte contemporanea, a partire dal dopoguerra, vertono quindi su una riflessione che ha per oggetto la temporalità e i meccanismi della memoria. Adoperando qualsiasi mezzo, l’artista volge la sua attenzione alla shoah che da documento si trasforma in opera creatrice, momento in cui avviene la fruizione tra autore e osservatore. Per questo l’opera d’arte non è più intesa come luogo di rappresentazione ma come uno spazio vitale dell’azione. Rientra in questo discorso l’opera di Mirko Basaldella (Udine, 1910 – Cambridge, 1969). A circa due anni di distanza dall’eccidio delle Fosse Ardeatine per mano della ferocia nazista che si abbatté sul popolo romano il 24 marzo 1944, quando vennero trucidati 335 innocenti in risposta all’azione partigiana di via Rasella, Mirko cominciò ad elaborare il progetto delle cancellate per il Mausoleo che sarebbe sorto in quel luogo. Inaugurato nel marzo del 1949, il Memoriale può essere considerato il primo monumento moderno dell’Italia repubblicana. Mirko realizzò dal 1946, data del concorso bandito dal Ministero della Pubblica Istruzione, una serie di bozzetti preparatori che si allontanavano man mano dall’illustrazione realista per giungere a forme tendenti all’astrattismo e all’espressionismo, oltre ad una rilettura picassiana, che gli permise di evocare, mediante un fitto groviglio di linee cariche di tensione, la tragedia dello sterminio. Le Cancellate bronzee per le Fosse Ardeatine di fatto segnano una svolta nella storia della scultura nel modo in cui vengono realizzate. Come afferma lo stesso artista, “elimina ogni compiacimento veristico e il senso della glorificazione risulta più evidente e puro” (Promemoria di Mirko Basaldella, 15/09/49).
Gli artisti delle generazioni successive, dopo un periodo di silenzio in cui hanno cercato di rispondere all’interrogativo se fosse ancora possibile fare arte dopo la shoah dopo il monito di Theodor Adorno, si sono sforzati di ricostruire i fatti avviando un lungo processo di conoscenza che ha tracciato le basi di una memoria collettiva. Una memoria diversa ma al tempo stesso puntuale e per questo in grado di essere trasmessa alle generazioni future. Mauro Maugliani (Tivoli, 1967 – vive e lavora a Nizza), che rientra nel filone di questa tendenza artistica, vede la necessità assoluta di ritrovare e preservare la memoria della shoah strappando i volti all’oblio, integrandoli nella nostra memoria. L’artista preleva le immagini dei bambini restituendoci figure nitide capaci di sollecitare interrogativi in merito alla loro sorte. Basandosi su un lavoro propriamente iconografico che parte dagli archivi fotografici, Maugliani celebra la vita ritrovata, senza per questo perdere la memoria del genocidio. Ricrea pedissequamente la realtà e al contempo è in grado di mantenere una distanza rispettosa di una verità insostenibile. I ritratti, tanto puntuali da sembrare fotografie, sono ridotti al bianco e nero. Non sono consentite distrazioni, così da sollecitare in chi guarda domande dirette, appuntite come lo strumento di cui si serve per incidere la tavola, facendo emergere il volto ed evocandone la sua storia. Così questi ritratti affiorano metaforicamente dalla materia, restituendo volto e voce ai bambini. Riemergono dall’oscurità del nero, graffiato e consunto dalle mani dell’artista, i loro sguardi, occhi che illuminano il mondo, le pieghe espressive delle loro bocche, sorrisi trattenuti, colmi di dignità. Nessun riferimento, nessun indizio che ci permetta di capirne la loro origine, la loro nazionalità. Sono bambini ebrei di Parigi, di Roma, di Varsavia, di Terezin. Sono soltanto dei bambini innocenti e noi abbiamo il dovere di ricordarli come tali. Di questi bambini l’artista ci fornisce il loro nome ma non ci suggerisce chi di loro sia tornato dai campi di sterminio. Tutti devono sopravvivere grazie al nostro ricordo e alla nostra memoria. “Stelle cadenti”, le chiama l’artista, tanto preziose quanto illuminanti, capaci di indicarci la via della resilienza, ovvero la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di ritrovare il senso di umanità perduta. Per questo Mauro Maugliani non ricorda i morti, ma i Vissuti. Accende le luci della memoria per non dimenticare il dolore e per costruire un futuro degno di essere vissuto dai bambini.
Giorgia Calò
28
gennaio 2018
Mirko Basaldella – Bozzetto per il cancello interno delle Fosse Ardeatine
Dal 28 gennaio al 25 giugno 2018
arte moderna
Location
MUSEO EBRAICO – TEMPIO MAGGIORE
Roma, Via Catalana, (Roma)
Roma, Via Catalana, (Roma)
Vernissage
28 Gennaio 2018, ore 17
Autore