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Mirko Dadich – Requiem
Scenari apocalittici, memorie di una catastrofe annunciata, estinzioni di massa, aprono la porta alla personale di Mirko Dadich. Unica protagonista la materia che indaga e sviscera l’interno del mondo
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Quali sono le radici che s'afferrano, quali i rami che crescono
Da queste macerie di pietra? Figlio dell'uomo,
Tu non puoi dire, né immaginare, perché conosci soltanto
Un cumulo d'immagini infrante, dove batte il sole,
E l'albero morto non dà riparo, nessun conforto lo stridere del grillo,
L'arida pietra nessun suono d'acque.
T.S. Eliot - La terra desolata
Scenari apocalittici, memorie di una catastrofe forse annunciata, estinzioni di massa, aprono la porta
ad un’arte altra, fatta di pura espressione e parte di un animo incapace di girarsi e continuare a
camminare.
La sua impotenza di fronte alla grandezza di ciò che accade, l’incapacità di distinguere il reale dal
fantastico concepisce forme lontane da quelle che un qualsiasi immaginario collettivo possa
contemplare. L’incomprensibilità è lo spunto più immediato verso l’immaginazione.
L’uomo è passato di qui? Ha lasciato la sua traccia? Si è voltato indietro per comprendere quello
che stava accadendo? O forse ha semplicemente osservato. Un’osservazione fugace, lontana da
qualsiasi forma di concepimento e realizzazione. I colori, vividi un tempo, ora si abbassano
impercettibilmente di tono fino ad appiattirsi e scomparire.
Nulla rimane, se non un ricordo confuso. La predilezione diventa per la materia che non ha bisogno
di altri supporti; è consapevole della propria potenza, della propria forma. Da sola gioca con le sue
tracce, si sviluppa nei suoi piani e concorda col suo supporto. Tutto in linea con tutto. Ma non con
la vita.
Le superfici scabre sono inadatte alla sopravvivenza. La vita vi è passata sopra lasciando flebili
tracce. Reminescenze archeologiche.
La mostra presentata indaga, sviscera l’interno del mondo, oltrepassa qualsiasi forma di razionalità
e approda in tutto questo. L’artista sceglie un linguaggio scabro, a tratti incomprensibile, per
descrivere un territorio devastato, sterile e mortale, una terra desolata.
Ma tutto sembra essergli chiaro. La terra, o un qualsiasi mondo, è reso inospitale proprio dall’uomo
che ha impiegato tutto il suo tempo per costruirlo. Spingersi così oltre a cos’ha portato? Un’era
post-umana in cui tutto diventa ostile e dove il ricordo viene soffocato da un avvenire privo di ogni
speranza.
Antonella Perazza
Da queste macerie di pietra? Figlio dell'uomo,
Tu non puoi dire, né immaginare, perché conosci soltanto
Un cumulo d'immagini infrante, dove batte il sole,
E l'albero morto non dà riparo, nessun conforto lo stridere del grillo,
L'arida pietra nessun suono d'acque.
T.S. Eliot - La terra desolata
Scenari apocalittici, memorie di una catastrofe forse annunciata, estinzioni di massa, aprono la porta
ad un’arte altra, fatta di pura espressione e parte di un animo incapace di girarsi e continuare a
camminare.
La sua impotenza di fronte alla grandezza di ciò che accade, l’incapacità di distinguere il reale dal
fantastico concepisce forme lontane da quelle che un qualsiasi immaginario collettivo possa
contemplare. L’incomprensibilità è lo spunto più immediato verso l’immaginazione.
L’uomo è passato di qui? Ha lasciato la sua traccia? Si è voltato indietro per comprendere quello
che stava accadendo? O forse ha semplicemente osservato. Un’osservazione fugace, lontana da
qualsiasi forma di concepimento e realizzazione. I colori, vividi un tempo, ora si abbassano
impercettibilmente di tono fino ad appiattirsi e scomparire.
Nulla rimane, se non un ricordo confuso. La predilezione diventa per la materia che non ha bisogno
di altri supporti; è consapevole della propria potenza, della propria forma. Da sola gioca con le sue
tracce, si sviluppa nei suoi piani e concorda col suo supporto. Tutto in linea con tutto. Ma non con
la vita.
Le superfici scabre sono inadatte alla sopravvivenza. La vita vi è passata sopra lasciando flebili
tracce. Reminescenze archeologiche.
La mostra presentata indaga, sviscera l’interno del mondo, oltrepassa qualsiasi forma di razionalità
e approda in tutto questo. L’artista sceglie un linguaggio scabro, a tratti incomprensibile, per
descrivere un territorio devastato, sterile e mortale, una terra desolata.
Ma tutto sembra essergli chiaro. La terra, o un qualsiasi mondo, è reso inospitale proprio dall’uomo
che ha impiegato tutto il suo tempo per costruirlo. Spingersi così oltre a cos’ha portato? Un’era
post-umana in cui tutto diventa ostile e dove il ricordo viene soffocato da un avvenire privo di ogni
speranza.
Antonella Perazza
17
dicembre 2011
Mirko Dadich – Requiem
Dal 17 dicembre 2011 al 06 gennaio 2012
arte contemporanea
Location
PALAZZO MARINI
Alfonsine, Via Roma, 10, (Ravenna)
Alfonsine, Via Roma, 10, (Ravenna)
Orario di apertura
dal martedì alla domenica dalle 15 alle 18
Vernissage
17 Dicembre 2011, ore 18
Autore
Curatore