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Miroslav Tichý – …ti serve innanzitutto una pessima macchina fotografica
Artista di straordinaria eleganza, vissuto come un clochard, catturava le sue immagini con macchine fotografiche che costruiva da solo usando scarti e materiali poverissimi.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Artista di straordinaria eleganza, vissuto come un clochard, catturava le sue immagini con macchine fotografiche che costruiva da solo usando scarti e materiali poverissimi. Negli spazi della galleria saranno esposte ventitré opere, nei piccoli e casuali formati sui quali abitualmente stampava l’artista; le opere saranno accompagnate da una straordinaria video - intervista in cui Tichý svela il proprio mondo di artista indipendente.
Il documentario è diretto dall'artista e psichiatra ceco-svizzero Roman Buxbaum, per molto tempo l'unica persona ad avere avuto accesso alle splendide immagini catturate dall’artista: un racconto della sua vita e del suo lavoro il cui titolo è tratto dalla risposta che lo stesso Tichý soleva dare alla gente quando gli veniva chiesto se fosse un pittore, un fotografo o un filosofo: "Io sono un Tarzan in pensione".
Le opere selezionate per questa mostra sono immagini che si affidano a interpreti quasi privi di fascino su sfondi di una raggelante genericità; è molto probabile che Tichý non abbia mai voluto vedere più da vicino i suoi soggetti: la sua aspirazione è quella di distinguere se stesso dalle opere, ma è proprio nel momento in cui si distacca dalla volontà di essere un artista che afferra in modo misterioso e fulminante la realtà. I suoi soggetti appaiono quasi sempre come sorpresi, corpi di cui qualcosa ci viene offerto ma molto tenuto nascosto, si direbbe volutamente. Lo sguardo di Tichý sembra dissolvere le sue donne e i suoi ragazzi che si rivelano in maniera evanescente, graffiati a loro insaputa e quindi autenticamente modelli perfetti. Queste dinamiche di "furto" coincidono con l’esplorazione dell’anima di ognuno di loro, ogni immagine seduce con leggerezza e con una straordinaria quanto atipica organizzazione delle composizioni. Gli involontari modelli sono ripresi nella loro interezza svelata o nella loro sporca frammentarietà artistica, sono composizioni che rievocano vite intere in un solo frammento, parlano di cose più profonde e intangibili, quasi un esercizio paradossale in cui Tichý fotografa e osserva l’altro per parlare a se stesso e di se stesso. Corpi, visi, ma mai immagini di sguardi diretti, scatti rubati che sono apparizioni eloquenti perché tutto è ripreso con voyeurismo delicato e silenzioso; tutto sembra immergersi nelle atmosfere degli sfondi, con accenti mai troppo marcati, anzi in cifre in cui il non detto, il non visto, prevale senza mai uno strappo. Tichý riesce a fotografare la rigidità dei colori tipici di quegli anni, gli anni in cui Berlino era ancora divisa in due. Nel rivedere oggi insieme le ventitré foto in mostra si comprende la grandezza di un’opera in cui l’umanità è costretta a fare i conti con la più preziosa delle proprie qualità: la dignità dell’essere semplicemente se stessi.
Dal 1960 al 1985 Miroslav Tichý realizzò di nascosto migliaia di foto di donne nella sua città natale, Kyjov, con macchine fotografiche costruite artigianalmente con tubi di cartone, lattine e altri materiali. La maggior parte dei suoi soggetti non erano a conoscenza di essere fotografati perché non si rendevano conto che la parodia della macchina fotografica che l’artista portava con sé era reale. Le sue foto in soft-focus risultano oblique, macchiate e mal stampate. Viziate da un lato dai limiti della sua attrezzatura primitiva e dall’altro da una serie di volute sbavature in fase di sviluppo: sono il frutto di una ricerca volta all’inseguimento dell’imperfezione poetica.
“Il tuo pensiero è troppo astratto! la fotografia è qualcosa di concreto. La fotografia è percezione, sono gli occhi che intravedi e succede così velocemente che potresti non vedere proprio nulla! Per raggiungere questo, ti serve innanzitutto una pessima macchina fotografica! […] Il tempo di una mia passeggiata determina quello che voglio fotografare…Io sono un profeta della decadenza e un pioniere del caos.”
Miroslav Tichý nasce il 20 novembre del 1926 a Kyjov, Repubblica Ceca.
Appassionato di pittura, si diploma all'Accademia d'Arte di Praga nei primi anni '40. L'avvento al potere dei comunisti nel 1948 cambia il corso della sua vita perché il regime lo identifica come un dissidente. Arrestato negli anni ’60 e rinchiuso in carcere e in cliniche psichiatriche, Tichý si emargina da una società che contesta furiosamente e torna a vivere nella sua città natale da clochard, in una baracca di legno, tirandosi fuori dal giogo sociale. Fu considerato folle fino alla sua morte. Le sue fotografie rimasero sconosciute fino a quando non fu scoperto, alla fine degli anni ’80, da Roman Buxbaum, e introdotto al pubblico dell'arte da Harald Szeeman che gli organizzò una mostra alla "Biennale di Arte Contemporanea" di Siviglia nel 2004. La mostra di Siviglia ha lanciato l'inatteso successo internazionale delle fotografie di Tichý, culminando in mostre al Kunsthaus Zürich (2005), al Centre Pompidou di Parigi (2008) e all'International Center of Photography di New York 2010. Le numerose pubblicazioni e monografie pubblicate negli ultimi anni in Europa e in America testimoniano anche l'interesse diffuso nei lavori di Tichý.
Fin dalla sua scoperta, Tichý non ha mai frequentato una mostra, non ha mai accettato il denaro raccolto dalla vendita delle foto, ha continuato a vivere nella stessa casa e ad essere un outsider per il resto della sua vita.
Muore il 12 aprile 2011a Kyjov.
La mostra è resa possibile grazie alla collaborazione di "Foundation Tichý Ocean" Praga.
*
On 16 December 2017 at 18:00 Doppelgaenger Gallery will present the one–man show by Miroslav Tichý (1926–2011)
An artist of extraordinary elegance, who lived like a tramp; he captured images with cameras that he himself assembled, using scraps and very basic materials. The gallery will exhibit twenty–three works in the small, random print formats used by the artist. There will also be a remarkable interview in which Tichý reveals his world as an independent artist, in a documentary directed by Roman Buxbaum, who for a long time was the only person to have access to the splendid images captured by the artist: a story of his life and work, the title of which is taken from the reply Tichý used to give when asked whether he was a painter, a photographer or a philosopher: “I’m a Tarzan in retirement.”
The works chosen for our exhibition portray banal subjects against a backdrop of chilling generality. The images are deliberately shot badly, the motivations are improbable and, on the whole, they seem to suggest that, often and by chance, beauty and political correctness are two distinct and separate things. It’s likely that Tichý never wanted to see his subjects close up; his aspiration was to distinguish himself from his works. Yet it is precisely when he detaches himself from being an artist that he grasps reality in such a mysterious and striking way.
His subjects almost always look surprised; bodies offering us something, but hiding even more, deliberately so, one might say. Tichý’s gaze seems to dissolve his subjects: his women and youths reveal themselves in an evanescent manner, as if depicted unawares, and so they are authentically perfect models. The dynamics of theft coincide with the exploration of each one’s soul: every image seduces with a lightness and with a compositional organisation as extraordinary as it is atypical.
The subjects, photographed in their unmasked entirety or in their artistically sullied fragmentariness, seem to be compositions that evoke whole lives in a single fragment; they speak of more profound and intangible things, as if in a paradoxical exercise in which Tichý observes and photographs the other in order to speak with himself and of himself. Bodies, faces, but never images of direct gazes; stolen shots, like elegant apparitions, since everything is captured with a delicate and silent voyeurism, everything seems to be immersed in the atmosphere of the backdrops, with accents that are never too strong, but rather with figures in which the unsaid and the unseen prevail without jarring. Tichý manages to capture the stark colours typical of those years, when Berlin was still monstrously split in two. Seeing the twenty-three photos together again in an exhibition, one comprehends the greatness of an art in which humanity is forced to take into account its most valuable asset: the dignity of being simply oneself.
From 1960 to 1985 Tichý surreptitiously photographed thousands of women in his hometown, Kyjov, with hand-made cameras constructed out of cardboard tubes, tins and other basic materials. Most of his subjects were unaware that they were being photographed, since they didn’t realise that the parody of a camera the artist carried with him was a real one. His soft-focus photographs are oblique, stained and badly printed. Flawed, on the one hand, by his primitive equipment and, on the other, by a series of deliberate blurrings in their development, they are the outcome of a quest for poetic imperfection.
“Your thought is too abstract! Photography is something concrete. Photography is perception, it’s the eyes that glimpse [something], and it happens so quickly that you might not see anything at all! To achieve this, you need, first of all, a really terrible camera! […] How long my walk lasts dictates what I want to photograph […] I’m a prophet of decadence and a pioneer of chaos, because only from chaos can something new emerge.”
Miroslav Tichý was born on 20 November 1926 in Kyjov, Czech Republic.
An art lover, of painting especially, he graduated from the Prague Academy of Art in 1944. However, the rise to power of Communism in 1948 changed his life forever, since he was marked as a dissident. Arrested in the 1960s, imprisoned and then locked up in psychiatric clinics, he withdrew from a society which he violently contested. After escaping from the Czech police, he returned to his hometown to live as a tramp in a wooden shack. He was considered insane up to the time of his death. His photographs remained unknown until they were discovered in the 1980s by Roman Buxbaum, and introduced to the public by Harald Szeeman, who organised a show at the Biennial of Contemporary Art in Seville in 2004. Miroslav Tichý gained much acclaim and his works were exhibited around the world: Kunsthaus Zürich (2005), Centre Pompidou Paris (2008), International Center of Photography New York (2010). After his discovery, Tichý never visited an exhibition, and never accepted any money from the sale of his photographs; he continued to live in the same house and to be an outsider for the rest of his life.
He died in Kyjov on 12 April 2011.
The exhibition has been made possible thanks to the collaboration of the "Tichý Ocean Foundation", Prague.
Il documentario è diretto dall'artista e psichiatra ceco-svizzero Roman Buxbaum, per molto tempo l'unica persona ad avere avuto accesso alle splendide immagini catturate dall’artista: un racconto della sua vita e del suo lavoro il cui titolo è tratto dalla risposta che lo stesso Tichý soleva dare alla gente quando gli veniva chiesto se fosse un pittore, un fotografo o un filosofo: "Io sono un Tarzan in pensione".
Le opere selezionate per questa mostra sono immagini che si affidano a interpreti quasi privi di fascino su sfondi di una raggelante genericità; è molto probabile che Tichý non abbia mai voluto vedere più da vicino i suoi soggetti: la sua aspirazione è quella di distinguere se stesso dalle opere, ma è proprio nel momento in cui si distacca dalla volontà di essere un artista che afferra in modo misterioso e fulminante la realtà. I suoi soggetti appaiono quasi sempre come sorpresi, corpi di cui qualcosa ci viene offerto ma molto tenuto nascosto, si direbbe volutamente. Lo sguardo di Tichý sembra dissolvere le sue donne e i suoi ragazzi che si rivelano in maniera evanescente, graffiati a loro insaputa e quindi autenticamente modelli perfetti. Queste dinamiche di "furto" coincidono con l’esplorazione dell’anima di ognuno di loro, ogni immagine seduce con leggerezza e con una straordinaria quanto atipica organizzazione delle composizioni. Gli involontari modelli sono ripresi nella loro interezza svelata o nella loro sporca frammentarietà artistica, sono composizioni che rievocano vite intere in un solo frammento, parlano di cose più profonde e intangibili, quasi un esercizio paradossale in cui Tichý fotografa e osserva l’altro per parlare a se stesso e di se stesso. Corpi, visi, ma mai immagini di sguardi diretti, scatti rubati che sono apparizioni eloquenti perché tutto è ripreso con voyeurismo delicato e silenzioso; tutto sembra immergersi nelle atmosfere degli sfondi, con accenti mai troppo marcati, anzi in cifre in cui il non detto, il non visto, prevale senza mai uno strappo. Tichý riesce a fotografare la rigidità dei colori tipici di quegli anni, gli anni in cui Berlino era ancora divisa in due. Nel rivedere oggi insieme le ventitré foto in mostra si comprende la grandezza di un’opera in cui l’umanità è costretta a fare i conti con la più preziosa delle proprie qualità: la dignità dell’essere semplicemente se stessi.
Dal 1960 al 1985 Miroslav Tichý realizzò di nascosto migliaia di foto di donne nella sua città natale, Kyjov, con macchine fotografiche costruite artigianalmente con tubi di cartone, lattine e altri materiali. La maggior parte dei suoi soggetti non erano a conoscenza di essere fotografati perché non si rendevano conto che la parodia della macchina fotografica che l’artista portava con sé era reale. Le sue foto in soft-focus risultano oblique, macchiate e mal stampate. Viziate da un lato dai limiti della sua attrezzatura primitiva e dall’altro da una serie di volute sbavature in fase di sviluppo: sono il frutto di una ricerca volta all’inseguimento dell’imperfezione poetica.
“Il tuo pensiero è troppo astratto! la fotografia è qualcosa di concreto. La fotografia è percezione, sono gli occhi che intravedi e succede così velocemente che potresti non vedere proprio nulla! Per raggiungere questo, ti serve innanzitutto una pessima macchina fotografica! […] Il tempo di una mia passeggiata determina quello che voglio fotografare…Io sono un profeta della decadenza e un pioniere del caos.”
Miroslav Tichý nasce il 20 novembre del 1926 a Kyjov, Repubblica Ceca.
Appassionato di pittura, si diploma all'Accademia d'Arte di Praga nei primi anni '40. L'avvento al potere dei comunisti nel 1948 cambia il corso della sua vita perché il regime lo identifica come un dissidente. Arrestato negli anni ’60 e rinchiuso in carcere e in cliniche psichiatriche, Tichý si emargina da una società che contesta furiosamente e torna a vivere nella sua città natale da clochard, in una baracca di legno, tirandosi fuori dal giogo sociale. Fu considerato folle fino alla sua morte. Le sue fotografie rimasero sconosciute fino a quando non fu scoperto, alla fine degli anni ’80, da Roman Buxbaum, e introdotto al pubblico dell'arte da Harald Szeeman che gli organizzò una mostra alla "Biennale di Arte Contemporanea" di Siviglia nel 2004. La mostra di Siviglia ha lanciato l'inatteso successo internazionale delle fotografie di Tichý, culminando in mostre al Kunsthaus Zürich (2005), al Centre Pompidou di Parigi (2008) e all'International Center of Photography di New York 2010. Le numerose pubblicazioni e monografie pubblicate negli ultimi anni in Europa e in America testimoniano anche l'interesse diffuso nei lavori di Tichý.
Fin dalla sua scoperta, Tichý non ha mai frequentato una mostra, non ha mai accettato il denaro raccolto dalla vendita delle foto, ha continuato a vivere nella stessa casa e ad essere un outsider per il resto della sua vita.
Muore il 12 aprile 2011a Kyjov.
La mostra è resa possibile grazie alla collaborazione di "Foundation Tichý Ocean" Praga.
*
On 16 December 2017 at 18:00 Doppelgaenger Gallery will present the one–man show by Miroslav Tichý (1926–2011)
An artist of extraordinary elegance, who lived like a tramp; he captured images with cameras that he himself assembled, using scraps and very basic materials. The gallery will exhibit twenty–three works in the small, random print formats used by the artist. There will also be a remarkable interview in which Tichý reveals his world as an independent artist, in a documentary directed by Roman Buxbaum, who for a long time was the only person to have access to the splendid images captured by the artist: a story of his life and work, the title of which is taken from the reply Tichý used to give when asked whether he was a painter, a photographer or a philosopher: “I’m a Tarzan in retirement.”
The works chosen for our exhibition portray banal subjects against a backdrop of chilling generality. The images are deliberately shot badly, the motivations are improbable and, on the whole, they seem to suggest that, often and by chance, beauty and political correctness are two distinct and separate things. It’s likely that Tichý never wanted to see his subjects close up; his aspiration was to distinguish himself from his works. Yet it is precisely when he detaches himself from being an artist that he grasps reality in such a mysterious and striking way.
His subjects almost always look surprised; bodies offering us something, but hiding even more, deliberately so, one might say. Tichý’s gaze seems to dissolve his subjects: his women and youths reveal themselves in an evanescent manner, as if depicted unawares, and so they are authentically perfect models. The dynamics of theft coincide with the exploration of each one’s soul: every image seduces with a lightness and with a compositional organisation as extraordinary as it is atypical.
The subjects, photographed in their unmasked entirety or in their artistically sullied fragmentariness, seem to be compositions that evoke whole lives in a single fragment; they speak of more profound and intangible things, as if in a paradoxical exercise in which Tichý observes and photographs the other in order to speak with himself and of himself. Bodies, faces, but never images of direct gazes; stolen shots, like elegant apparitions, since everything is captured with a delicate and silent voyeurism, everything seems to be immersed in the atmosphere of the backdrops, with accents that are never too strong, but rather with figures in which the unsaid and the unseen prevail without jarring. Tichý manages to capture the stark colours typical of those years, when Berlin was still monstrously split in two. Seeing the twenty-three photos together again in an exhibition, one comprehends the greatness of an art in which humanity is forced to take into account its most valuable asset: the dignity of being simply oneself.
From 1960 to 1985 Tichý surreptitiously photographed thousands of women in his hometown, Kyjov, with hand-made cameras constructed out of cardboard tubes, tins and other basic materials. Most of his subjects were unaware that they were being photographed, since they didn’t realise that the parody of a camera the artist carried with him was a real one. His soft-focus photographs are oblique, stained and badly printed. Flawed, on the one hand, by his primitive equipment and, on the other, by a series of deliberate blurrings in their development, they are the outcome of a quest for poetic imperfection.
“Your thought is too abstract! Photography is something concrete. Photography is perception, it’s the eyes that glimpse [something], and it happens so quickly that you might not see anything at all! To achieve this, you need, first of all, a really terrible camera! […] How long my walk lasts dictates what I want to photograph […] I’m a prophet of decadence and a pioneer of chaos, because only from chaos can something new emerge.”
Miroslav Tichý was born on 20 November 1926 in Kyjov, Czech Republic.
An art lover, of painting especially, he graduated from the Prague Academy of Art in 1944. However, the rise to power of Communism in 1948 changed his life forever, since he was marked as a dissident. Arrested in the 1960s, imprisoned and then locked up in psychiatric clinics, he withdrew from a society which he violently contested. After escaping from the Czech police, he returned to his hometown to live as a tramp in a wooden shack. He was considered insane up to the time of his death. His photographs remained unknown until they were discovered in the 1980s by Roman Buxbaum, and introduced to the public by Harald Szeeman, who organised a show at the Biennial of Contemporary Art in Seville in 2004. Miroslav Tichý gained much acclaim and his works were exhibited around the world: Kunsthaus Zürich (2005), Centre Pompidou Paris (2008), International Center of Photography New York (2010). After his discovery, Tichý never visited an exhibition, and never accepted any money from the sale of his photographs; he continued to live in the same house and to be an outsider for the rest of his life.
He died in Kyjov on 12 April 2011.
The exhibition has been made possible thanks to the collaboration of the "Tichý Ocean Foundation", Prague.
16
dicembre 2017
Miroslav Tichý – …ti serve innanzitutto una pessima macchina fotografica
Dal 16 dicembre 2017 al 24 marzo 2018
fotografia
Location
DOPPELGAENGER
Bari, Via Verrone , 8, (Bari)
Bari, Via Verrone , 8, (Bari)
Orario di apertura
dal martedì al sabato dalle 17:00 alle 20:00 – tutti i giorni su appuntamento
Vernissage
16 Dicembre 2017, h 18
Autore