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Modena fin de siècle
Fotografie e fotografi a Modena 1864-1900
Comunicato stampa
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Sabato 10 dicembre alle ore 17.00 inaugura, presso la sede delle Raccolte Fotografiche Modenesi Giuseppe Panini in Via Giardini 160 a Modena, la mostra Modena fin de siècle – Fotografie e fotografi a Modena 1864 – 1900.
L’esposizione, promossa in collaborazione con la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, propone una selezione di più di 100 fotografie originali, la maggior parte stampe all’albumina. Attraverso la storia dei fotografi professionisti e dilettanti di fine secolo si ricostruisce l’immagine della città e delle sue trasformazioni, i luoghi del divertimento, del lavoro e la storia degli uomini che l’hanno vissuta.
Con la mostra ed il catalogo Ritratto di una Capitale, realizzati da Rfm Panini nel 2002, è stata raccontata la prima avventurosa fase di scoperta ed appropriazione in territorio modenese del mezzo di riproduzione fotografico. L’analisi ha abbracciato il periodo storico compreso tra il 1839, data di nascita dell’immagine ai sali d’argento, e gli ultimi burrascosi anni del Ducato Estense, fino al 1863, anno dello scioglimento della Brigata Estense a Cartigliano Veneto, ultimo atto del governo ducale Estense prima del suo definitivo abbandono del controllo su Modena.
I primissimi fotografi sono ambulanti provenienti da altre città o altre nazioni, pittori e incisori usciti dall’Accademia, artigiani di varia esperienza commutati in fotografi. Intorno agli anni ’60 dell’ottocento nascono i primi studi fotografici con una sede ed una ragione sociale.
Modena fin de siècle riprende le fila del discorso interrotto e descrive il proliferare degli atelier fotografici nell’Italia post-unitaria. La crisi economico-culturale che sembra attanagliare la città nei primi anni di passaggio dal Ducato alla Monarchia dei Savoia non scoraggia i modenesi di tutte le estrazioni sociali dal volersi rappresentare col nuovo e sempre più economico strumento di riproduzione. Pochi centesimi sono sufficienti a lasciare un ricordo di sé a parenti e amici. Per rispondere alla crescente domanda piccoli studi nascono e muoiono concentrandosi nel cuore della città. A cavallo tra vecchia e nuova generazione si colloca Pietro Barbieri, musicante e pittore prima di trasformarsi in fotografo, uno dei pochi a non accontentarsi di vivere di soli ritratti, ottiene commissioni per documentare la sua città. Non regge la concorrenza, però, del nuovissimo studio fotografico aperto nel 1870 dai fratelli Sorgato. Famiglia di fotografi di origini venete con studi già affermati a Venezia e Bologna, dispongono di mezzi e attrezzature senza eguali nella vecchia capitale trasformata in città di provincia. Senza difficoltà Gaetano, il più giovane dei fratelli, si accaparra il mercato modenese dei ritratti delle famiglie nobili e alto-borghesi e velocemente si appropria delle commesse pubbliche più importanti, le riproduzioni di opere d’arte per i Musei, l’esclusiva nei confronti dell’Accademia e le foto del Duomo prima e dopo i restauri per la Curia. Soltanto gli Orlandini sapranno competere con il padovano, inizialmente costruendosi una nicchia di mercato battendo la provincia e l’Appennino modenese, alla ricerca di clienti ed immagini inedite da vendere. Conquistata fama anche in città coi bellissimi panorami del Frignano iniziano, intorno agli anni ’90 dell’Ottocento, a sottrarre a Sorgato la ricca clientela nobile e alto-borghese e l’importante committenza dell’Accademia Militare.
Intorno a questi due studi dominanti sorgono, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, un gran numero di fotografi di minor calibro ed intraprendenza, impegnati soprattutto nel soddisfare la richiesta di ritratti. Tra questi si distinguono però Gaetano Pavarotti, erede del bolognese Roberto Peli, anch’egli per pochi anni con uno studio a Modena, Leonardo Piccioli, i Fratelli Bozzetti, autori di una rarissima serie fotografica sulle porte modenesi prima del loro abbattimento, e Giuseppe Vivi.
Intorno agli anni ’80 dell’Ottocento anche a Modena, come nel resto d’Italia e del mondo, la fotografia si trasforma da oggetto artiginale a prodotto industriale.
Le carte albuminate, come le lastre al collodio secco, si comprano già fatte e il fotografo deve limitarsi a sensibilizzare i negativi e i positivi.
Nel 1888 con l’invenzione della Kodak n.1, l’americano George Eastman rivoluziona il mercato della fotografia creando una macchina fotografica di piccole dimensioni in grado di registrare immagini su pellicola negativa. Per la prima volta la casa produttrice offre al cliente, oltre alla vendita dello strumento ottico, un servizio completo di sviluppo e stampa, al grido dello slogan “voi premete il bottone e noi facciamo il resto”.
La semplificazione dei procedimenti per l’ottenimento dell’immagine fotografica danno il via libero al proliferare di un certo numero di fotografi amatori. Gli appassionati di fotografia per diletto appartengono alla schiera dei nobili, degli artisti o degli scienziati. Alla prima categoria appartiene la famiglia Bentivoglio. Filippo è tra i fratelli il primo ad avvicinarsi al mezzo già negli anni ’50 dell’800 sperimentando un metodo di stampa su tela, unico al mondo. Seguirà il suo esempio il fratello più giovane Marco, debitore per la sua formazione al fratello e per gli aggiornamenti a Pellegrino Orlandini. Lascia ai posteri una bella raccolta di immagini della Villa Bonafonte e dei domestici di famiglia che si prestavano a far da modelli.
Negli anni ’90 dell’Ottocento cresce il numero dei nobili dediti alla fotografia e sulle pagine dei giornali cittadini si nominano il principe Bernardo Capece Zurlo, il marchese Filippo Rangoni, il conte Bolognesi, Giuseppe Messori, Luigi Messori, il marchese Pietro Schedoni. Unica donna la marchesa Camilla Campori Stanga.
Tra gli amatori spicca, dai primi anni ’90, l’avvocato Luigi Magelli, fotografo di grande qualità ed autore di una serie di immagini documentarie sulle mura della cittadella e sul ghetto modenese prima del loro abbattimento, frammenti fondamentali per la ricostruzione dell’immagine della città antica.
Proviene dall’ambito accademico il giovane Giuseppe Graziosi, al servizio di Arsenio Crespellani nelle sue prime sperimentazioni fotografiche.
Dalla città delle scienze, quale si era venuta definendo Modena in epoca Ducale, non poteva non venire un contributo all’evoluzione della tecnica fotografica. All’astronomo modenese Giuseppe Bonacini si devono i fondamentali studi sulla fotografia pancromatica e a colori.
In occasione dell’esposizione verrà pubblicato un catalogo con una selezione delle immagini presenti in mostra, distribuito gratuitamente ai sostenitori delle Raccolte Fotografiche Modenesi.
L’esposizione, promossa in collaborazione con la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, propone una selezione di più di 100 fotografie originali, la maggior parte stampe all’albumina. Attraverso la storia dei fotografi professionisti e dilettanti di fine secolo si ricostruisce l’immagine della città e delle sue trasformazioni, i luoghi del divertimento, del lavoro e la storia degli uomini che l’hanno vissuta.
Con la mostra ed il catalogo Ritratto di una Capitale, realizzati da Rfm Panini nel 2002, è stata raccontata la prima avventurosa fase di scoperta ed appropriazione in territorio modenese del mezzo di riproduzione fotografico. L’analisi ha abbracciato il periodo storico compreso tra il 1839, data di nascita dell’immagine ai sali d’argento, e gli ultimi burrascosi anni del Ducato Estense, fino al 1863, anno dello scioglimento della Brigata Estense a Cartigliano Veneto, ultimo atto del governo ducale Estense prima del suo definitivo abbandono del controllo su Modena.
I primissimi fotografi sono ambulanti provenienti da altre città o altre nazioni, pittori e incisori usciti dall’Accademia, artigiani di varia esperienza commutati in fotografi. Intorno agli anni ’60 dell’ottocento nascono i primi studi fotografici con una sede ed una ragione sociale.
Modena fin de siècle riprende le fila del discorso interrotto e descrive il proliferare degli atelier fotografici nell’Italia post-unitaria. La crisi economico-culturale che sembra attanagliare la città nei primi anni di passaggio dal Ducato alla Monarchia dei Savoia non scoraggia i modenesi di tutte le estrazioni sociali dal volersi rappresentare col nuovo e sempre più economico strumento di riproduzione. Pochi centesimi sono sufficienti a lasciare un ricordo di sé a parenti e amici. Per rispondere alla crescente domanda piccoli studi nascono e muoiono concentrandosi nel cuore della città. A cavallo tra vecchia e nuova generazione si colloca Pietro Barbieri, musicante e pittore prima di trasformarsi in fotografo, uno dei pochi a non accontentarsi di vivere di soli ritratti, ottiene commissioni per documentare la sua città. Non regge la concorrenza, però, del nuovissimo studio fotografico aperto nel 1870 dai fratelli Sorgato. Famiglia di fotografi di origini venete con studi già affermati a Venezia e Bologna, dispongono di mezzi e attrezzature senza eguali nella vecchia capitale trasformata in città di provincia. Senza difficoltà Gaetano, il più giovane dei fratelli, si accaparra il mercato modenese dei ritratti delle famiglie nobili e alto-borghesi e velocemente si appropria delle commesse pubbliche più importanti, le riproduzioni di opere d’arte per i Musei, l’esclusiva nei confronti dell’Accademia e le foto del Duomo prima e dopo i restauri per la Curia. Soltanto gli Orlandini sapranno competere con il padovano, inizialmente costruendosi una nicchia di mercato battendo la provincia e l’Appennino modenese, alla ricerca di clienti ed immagini inedite da vendere. Conquistata fama anche in città coi bellissimi panorami del Frignano iniziano, intorno agli anni ’90 dell’Ottocento, a sottrarre a Sorgato la ricca clientela nobile e alto-borghese e l’importante committenza dell’Accademia Militare.
Intorno a questi due studi dominanti sorgono, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, un gran numero di fotografi di minor calibro ed intraprendenza, impegnati soprattutto nel soddisfare la richiesta di ritratti. Tra questi si distinguono però Gaetano Pavarotti, erede del bolognese Roberto Peli, anch’egli per pochi anni con uno studio a Modena, Leonardo Piccioli, i Fratelli Bozzetti, autori di una rarissima serie fotografica sulle porte modenesi prima del loro abbattimento, e Giuseppe Vivi.
Intorno agli anni ’80 dell’Ottocento anche a Modena, come nel resto d’Italia e del mondo, la fotografia si trasforma da oggetto artiginale a prodotto industriale.
Le carte albuminate, come le lastre al collodio secco, si comprano già fatte e il fotografo deve limitarsi a sensibilizzare i negativi e i positivi.
Nel 1888 con l’invenzione della Kodak n.1, l’americano George Eastman rivoluziona il mercato della fotografia creando una macchina fotografica di piccole dimensioni in grado di registrare immagini su pellicola negativa. Per la prima volta la casa produttrice offre al cliente, oltre alla vendita dello strumento ottico, un servizio completo di sviluppo e stampa, al grido dello slogan “voi premete il bottone e noi facciamo il resto”.
La semplificazione dei procedimenti per l’ottenimento dell’immagine fotografica danno il via libero al proliferare di un certo numero di fotografi amatori. Gli appassionati di fotografia per diletto appartengono alla schiera dei nobili, degli artisti o degli scienziati. Alla prima categoria appartiene la famiglia Bentivoglio. Filippo è tra i fratelli il primo ad avvicinarsi al mezzo già negli anni ’50 dell’800 sperimentando un metodo di stampa su tela, unico al mondo. Seguirà il suo esempio il fratello più giovane Marco, debitore per la sua formazione al fratello e per gli aggiornamenti a Pellegrino Orlandini. Lascia ai posteri una bella raccolta di immagini della Villa Bonafonte e dei domestici di famiglia che si prestavano a far da modelli.
Negli anni ’90 dell’Ottocento cresce il numero dei nobili dediti alla fotografia e sulle pagine dei giornali cittadini si nominano il principe Bernardo Capece Zurlo, il marchese Filippo Rangoni, il conte Bolognesi, Giuseppe Messori, Luigi Messori, il marchese Pietro Schedoni. Unica donna la marchesa Camilla Campori Stanga.
Tra gli amatori spicca, dai primi anni ’90, l’avvocato Luigi Magelli, fotografo di grande qualità ed autore di una serie di immagini documentarie sulle mura della cittadella e sul ghetto modenese prima del loro abbattimento, frammenti fondamentali per la ricostruzione dell’immagine della città antica.
Proviene dall’ambito accademico il giovane Giuseppe Graziosi, al servizio di Arsenio Crespellani nelle sue prime sperimentazioni fotografiche.
Dalla città delle scienze, quale si era venuta definendo Modena in epoca Ducale, non poteva non venire un contributo all’evoluzione della tecnica fotografica. All’astronomo modenese Giuseppe Bonacini si devono i fondamentali studi sulla fotografia pancromatica e a colori.
In occasione dell’esposizione verrà pubblicato un catalogo con una selezione delle immagini presenti in mostra, distribuito gratuitamente ai sostenitori delle Raccolte Fotografiche Modenesi.
10
dicembre 2005
Modena fin de siècle
Dal 10 dicembre 2005 al 22 gennaio 2006
fotografia
Location
FOTOMUSEO GIUSEPPE PANINI
Modena, Via Pietro Giardini, 160, (Modena)
Modena, Via Pietro Giardini, 160, (Modena)
Orario di apertura
lunedì 15-17; da martedì a venerdì 9,30-12 e 15-17; sabato e domenica 10-13 e 15-19
Vernissage
10 Dicembre 2005, ore 17
Autore
Curatore