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Motivi
I neri di Alfredo Quaranta, le pietre e i ferri di Sante Polito, i flag-collages di Andrea Indellicati, in un allestimento dialettico che rinnova un’esperienza comune in uno spazio museale rinnovato
Comunicato stampa
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Nella parola “motivo” si nascondono inganni. E nella traduzione ricorsiva della critica, certe volte è meglio sgombrare il campo da imperfezioni e scorie semantiche. Il “motivo” in arte storicamente appare con l’Impressionismo e non è altro che l’ occasionalità del dipingere. Non è importante cosa si dipinge, ma lo è invece l’atto stesso, la decisione che viene presa, cioè tutto quanto sta a monte di quella rappresentazione o frammento di essa, che poi definitivamente appartiene all’opera. Il “motivo” è quindi non un surrogato del “soggetto”, ma la sua negazione, ne certifica la sua scomparsa come patente di significato, come referente linguistico.
Però la parola “motivo” è anche un elemento della decorazione, un segno che si ripresenta, qualcosa che ritorna in una struttura musicale come in una struttura pittorica. I “motivi floreali” ne sono un esempio, banale, ma diretto. Si tratta di avere davanti qualcosa che E. Gombrich ha saputo collegare alla pulsione dell’uomo verso la ripetizione, verso l’abitudine, verso il cercare e ritrovare degli oggetti, anche visivi, abituali. E naturalmente in questi ciclicità s’intuisce un’attività fondamentale che vuole fissare la presenza umana oltre l’accaduto o l’incidente, ma direttamente nella vita di tutti i giorni. Quel “senso dell’ordine” che presiede all’attività della decorazione, è la resa di uno spazio umano, sottratto alla natura, quindi, e per questo mai uguale a se stesso. Ripetizione differente, quindi, come modificazione continua, come verifica e completamento di un ciclo vitale.
E “motivo” sta anche per “motivazione”, per una sintesi di volontà di comprendere anche ciò che non è comprensibile. Volontà di comunicare stati d’animo e tensioni emotive in bilico tra forma e ragione, com’ è nel lavoro di Alfredo Quaranta, in cui gli elementi pittorici possiedono una propria stabilità dal potenziamento nei materiali. In questo si vede come l’occasionalità della pittura è una verifica delle insidie dell’esistenza e della fragilità dei corpi. Proprio la rifrazione dei materiali, la loro poetica di scambio simbolico, fa sì che le opere di Quaranta anche laddove sono costruite su scansioni e accenni di pattern, tendono sempre a unicizzare la visione nel suo punto di crisi. L’attenzione dell’artista è spostata sul particolare che nega, sulla visione d’assieme che trova una smentita dall’analisi dei particolari che rigenerano il focus della visione. Sembra che la certezza e la solidità dei materiali siano funzionali ad una loro messa in crisi formale, come se dessero sostegno ad una caducità eterna e sospesa. Lo stesso colore se non si riflette nell’assorbenza del nero, è spento e inattivo se non nel suggerire uno stato d’animo come nuance, come passeggera ombra che attraversa velocemente la terra.
Invece la materia di Sante Polito non solo ha la solidità della pietra, ma possiede anche dentro una dinamica temporale necessaria. L’artista lavora sui segni e questi provengono da profondità arcane come nel caso della spirale o degli elementi decorativi floreali, che segnano ritmi vegetali e sequenze geometricamente scandite. Sante Polito opera quindi su un doppio livello: da un lato recupera quei materiali che appartengono alla tradizione costruttiva pugliese, come i materiali delle masserie in disuso, dall’altro su questa memoria intreccia forme antropologicamente riconoscibili, semplici. In questa elementarità si avvalora la diacronia e nel contempo la riattualizzazione. Il contemporaneo diventa una soglia, un limite, uno spazio di comunicazione tra tempi diversi che la cultura dell’arte riscopre e conserva. Non un semplice lavoro sulla memoria, ma sulla capacità della forma di superare il tempo, dandogli rinascimento e non negandolo.
Ma anche sul termine “fiore” c’è qualcosa che va oltre il significato lessicale. Spesso sta ad indicare un’eccellenza, il “meglio” del verso russo o l’aspetto visibile e “bello” del male di vivere. Per Andrea Indellicati l’icasticità colorata della rappresentazione, porta su questa strada. Apparenze eteree e fluttuanti al vento, stampe su tessuto ma di forte esistenza pittorica, i suoi fiori sono icone rinnovate e felici. Per l’artista vi è non solo la scelta del “motivo” come extra-ordinaria presenza decorativa, ma anche la scelta poetica di lavorare sulla traducibilità, rafforzando quindi l’elemento ripetitivo. E in questo coraggio da parte comunque di un artista che sa perfettamente operare con la grafica e con il segno, che si capisce come concettualizzare il “motivo” vuol dire anche sgombrare il terreno dalle scorie prodotte dalla pittura figurativa. Il doppio livello di resa comunicativa crea di fatto l’iperbole del simbolo, la sua replica meccanica che contrasta e amplifica la matrice espressa attraverso una tecnica più tradizionale. Questi “fleurs” per paradosso aspirano al basso, alla moltiplicazione, al disperdesi tra la gente come presenze e abitudini. E anche questo è un segno di forte contemporaneità perché la public art ormai appare come una via d’uscita ai limiti del museo e degli spazi espositivi ma anche la replica a chi vuole continuare a leggere nella provocazione e nello scandalo, qualsiasi manifestazione dell’oggi. Andrea Indellicati conosce quindi la “ripetizione differente”, ma dà anche voce alla semplicità della comunicazione mediale, in un confronto aperto con la manualità e l’intuizione.
Altri motivi, altre considerazione per fare e vivere l’arte.
Valerio Dehò
Però la parola “motivo” è anche un elemento della decorazione, un segno che si ripresenta, qualcosa che ritorna in una struttura musicale come in una struttura pittorica. I “motivi floreali” ne sono un esempio, banale, ma diretto. Si tratta di avere davanti qualcosa che E. Gombrich ha saputo collegare alla pulsione dell’uomo verso la ripetizione, verso l’abitudine, verso il cercare e ritrovare degli oggetti, anche visivi, abituali. E naturalmente in questi ciclicità s’intuisce un’attività fondamentale che vuole fissare la presenza umana oltre l’accaduto o l’incidente, ma direttamente nella vita di tutti i giorni. Quel “senso dell’ordine” che presiede all’attività della decorazione, è la resa di uno spazio umano, sottratto alla natura, quindi, e per questo mai uguale a se stesso. Ripetizione differente, quindi, come modificazione continua, come verifica e completamento di un ciclo vitale.
E “motivo” sta anche per “motivazione”, per una sintesi di volontà di comprendere anche ciò che non è comprensibile. Volontà di comunicare stati d’animo e tensioni emotive in bilico tra forma e ragione, com’ è nel lavoro di Alfredo Quaranta, in cui gli elementi pittorici possiedono una propria stabilità dal potenziamento nei materiali. In questo si vede come l’occasionalità della pittura è una verifica delle insidie dell’esistenza e della fragilità dei corpi. Proprio la rifrazione dei materiali, la loro poetica di scambio simbolico, fa sì che le opere di Quaranta anche laddove sono costruite su scansioni e accenni di pattern, tendono sempre a unicizzare la visione nel suo punto di crisi. L’attenzione dell’artista è spostata sul particolare che nega, sulla visione d’assieme che trova una smentita dall’analisi dei particolari che rigenerano il focus della visione. Sembra che la certezza e la solidità dei materiali siano funzionali ad una loro messa in crisi formale, come se dessero sostegno ad una caducità eterna e sospesa. Lo stesso colore se non si riflette nell’assorbenza del nero, è spento e inattivo se non nel suggerire uno stato d’animo come nuance, come passeggera ombra che attraversa velocemente la terra.
Invece la materia di Sante Polito non solo ha la solidità della pietra, ma possiede anche dentro una dinamica temporale necessaria. L’artista lavora sui segni e questi provengono da profondità arcane come nel caso della spirale o degli elementi decorativi floreali, che segnano ritmi vegetali e sequenze geometricamente scandite. Sante Polito opera quindi su un doppio livello: da un lato recupera quei materiali che appartengono alla tradizione costruttiva pugliese, come i materiali delle masserie in disuso, dall’altro su questa memoria intreccia forme antropologicamente riconoscibili, semplici. In questa elementarità si avvalora la diacronia e nel contempo la riattualizzazione. Il contemporaneo diventa una soglia, un limite, uno spazio di comunicazione tra tempi diversi che la cultura dell’arte riscopre e conserva. Non un semplice lavoro sulla memoria, ma sulla capacità della forma di superare il tempo, dandogli rinascimento e non negandolo.
Ma anche sul termine “fiore” c’è qualcosa che va oltre il significato lessicale. Spesso sta ad indicare un’eccellenza, il “meglio” del verso russo o l’aspetto visibile e “bello” del male di vivere. Per Andrea Indellicati l’icasticità colorata della rappresentazione, porta su questa strada. Apparenze eteree e fluttuanti al vento, stampe su tessuto ma di forte esistenza pittorica, i suoi fiori sono icone rinnovate e felici. Per l’artista vi è non solo la scelta del “motivo” come extra-ordinaria presenza decorativa, ma anche la scelta poetica di lavorare sulla traducibilità, rafforzando quindi l’elemento ripetitivo. E in questo coraggio da parte comunque di un artista che sa perfettamente operare con la grafica e con il segno, che si capisce come concettualizzare il “motivo” vuol dire anche sgombrare il terreno dalle scorie prodotte dalla pittura figurativa. Il doppio livello di resa comunicativa crea di fatto l’iperbole del simbolo, la sua replica meccanica che contrasta e amplifica la matrice espressa attraverso una tecnica più tradizionale. Questi “fleurs” per paradosso aspirano al basso, alla moltiplicazione, al disperdesi tra la gente come presenze e abitudini. E anche questo è un segno di forte contemporaneità perché la public art ormai appare come una via d’uscita ai limiti del museo e degli spazi espositivi ma anche la replica a chi vuole continuare a leggere nella provocazione e nello scandalo, qualsiasi manifestazione dell’oggi. Andrea Indellicati conosce quindi la “ripetizione differente”, ma dà anche voce alla semplicità della comunicazione mediale, in un confronto aperto con la manualità e l’intuizione.
Altri motivi, altre considerazione per fare e vivere l’arte.
Valerio Dehò
26
luglio 2006
Motivi
Dal 26 luglio al 20 settembre 2006
arte contemporanea
Location
MARTA – MUSEO NAZIONALE ARCHEOLOGICO
Taranto, Via Camillo Benso Conte Di Cavour, 10, (Taranto)
Taranto, Via Camillo Benso Conte Di Cavour, 10, (Taranto)
Orario di apertura
tutti i giorni dalle 8,30 alle 19,30. Venerdì, sabato e domenica sino alle 22,30
Vernissage
26 Luglio 2006, ore 19,30
Autore
Curatore