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Mustafa Sabbagh – Almost Tue Drusilla Manent
La fotografia è una messinscena.
Mustafa Sabbagh è il suo impostore.
Comunicato stampa
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MUSTAFA SABBAGH’ SOLO SHOW
“La fotografia è il nostro esorcismo.
La società primitiva aveva le sue maschere, la società borghese i suoi specchi, noi abbiamo le nostre immagini.
Crediamo di fotografare una determinata scena per semplice piacere - ma in effetti è lei che vuole essere fotografata.
Non siamo altro che la comparsa della sua messinscena”.
La fotografia è una messinscena.
Mustafa Sabbagh è il suo impostore.
Nella radice latina della parola, impostore è “colui che induce a credere”. Nella sua personale ai Magazzini Criminali, Mustafa Sabbagh ci prende per mano e ci sconvolge con tutte le allucinazioni nere da cui è artisticamente invasato, e tutta la dolcezza candida da cui è umanamente invaso. Impostore per innescare un atto riflessivo, creatore per esorcizzare ciò che non c’è, che è Quasi Vero, che è radicato nel suo - nel nostro - profondo essere umano, Mustafa indaga il suo inconscio come un maestro ebanista intaglia la materia; fende il nero con la luce, sottoponendosi, carnefice e vittima, ad una molteplice sfida e martirio.
Mustafa sfida innanzitutto se stesso, dal punto di vista tecnico - conferendo multidimensionalità al non-colore per antonomasia, che nelle sue mani diventa colore, stilema e metafora - e dal punto di vista psicologico - investigando in maniera consciamente masochista una bellezza inconscia, cruda e crudele, figlia del Delightful Horror che abita i suoi istinti, i suoi impulsi, i suoi sensi. Sabbagh sacerdote di un Sabba umano, popolato di creature sacre come Cristi e profane come Satiri, virtuose come regine vittoriane e viziose come tabagisti lussuriosi. Scatti che diventano autoscatti, tanto il gioco delle parti è impercettibile e sapiente, in un rituale apotropaico che ha i caratteri sfumati della mezza verità.
Mustafa sfida poi la società, assumendone lo stesso delirante punto di vista e denunciandone la clonante mercificazione - non tanto degli oggetti, quanto dell’intimità e degli individui, che ammanta di un nero mai così purificatore, commovente e asfittico, empatizzante e armonico. Alla prepotente Società dello Spettacolo, densa di immagini riflesse e adorate come icone, come copie, come Narcisi tanto belli quanto sterili, Mustafa oppone i suoi potenti ibridi post-umani, condannati alla mutazione e graziati al viaggio, testimoni di un cerimoniale oscuro i quali, seppure in transito, conservano intatta la loro potenza ancestrale. La stessa del mare, infinita. La stessa dell’alba, indefinita. La stessa che merita il beneficio del dubbio proprio delle mezze verità.
Mustafa sfida infine l’estetica omologante, e rigetta le mode ad orologeria, con la stessa consapevolezza di chi conosce bene il proprio nemico. Sabbagh dissimula i simulacri smascherandoli nel mascherarli, investendoli di raffinate allegorie, trascendendo il tempospazio mediante gorgiere, armature, nuda pelle - l’abito che, più di ogni altro, ha attraversato e contaminato ogni era, come il vizio del fumo, emblema dei popoli e delle debolezze aspaziali ed atemporali. Come in un duello alla pari, dunque, Mustafa usa le stesse armi del proprio nemico, ma - con un coup de théâtre degno della migliore finzione scenica - ne sovverte i codici, ne ribalta gli stilemi, nello spirito ribelle del dadaista ed in quello, ancora più indomito, dell’umano che rifiuta ogni assimilazione.
Argilla nelle sue mani, splendido Golem della Kabbalah al quale - per infondere la vita - occorre venga trascritto sulla fronte “Verità”, Drusilla Foer diventa musa ispiratrice di un percorso, quasi vero, le cui tappe sono close-up solenni, una scenografica installazione ed un video inedito, concepito e girato da Sabbagh appositamente per questa personale di Sassuolo. Un video struggente, livido e decadente, turbativo nella sua quiete e difficile da risolvere... Esattamente come la Verità.
Drusilla come corpus di immagini, Drusilla come frames da video; Drusilla mane(n)t, a distanza di tre anni dai primi scatti nei quali la ritrasse Mustafa, come pluralità di visioni destabilizzanti ed eversive, seppure perfette nella loro essenzialità formale e neofiamminga e nel loro styling raffinato, visionario ed ossessivo. Ma la perfezione non esiste, esattamente come - forse - non esiste Drusilla. Ulteriore riprova che la fotografia è una messinscena, come lo è Drusilla Foer, e Mustafa Sabbagh ne è il suo meraviglioso impostore.
Se è vero, come è quasi vero, che “Una verità, in arte, è quella di cui è vero anche il contrario”, è deducibile che in questo micromondo non esistano verità, o che di contro tutte lo siano. Mustafa smaschera l’inganno, perpetrandone un ennesimo. Mustafa dissimula i simulacri, consegnandone altri in cambio. Ma - sia che si tratti di se stesso, della pelle nuda, dell’abito come monito, dell’assenza di lucidità propria dell’estasi, della vertigine o del mancamento, di un paesaggio sfumato all’alba o di un ritratto avvolto nell’oscurità - la discriminante suprema di Mustafa Sabbagh, rispetto ad ogni mezza verità, è la ricerca inquieta, e stilisticamente meravigliosa, dell’autenticità.
E nel processo contro le mezze verità non c’è niente, più dell’autenticità, che possa scagionare e consegnare alla gloria un impostore.
Fabiola Triolo
“La fotografia è il nostro esorcismo.
La società primitiva aveva le sue maschere, la società borghese i suoi specchi, noi abbiamo le nostre immagini.
Crediamo di fotografare una determinata scena per semplice piacere - ma in effetti è lei che vuole essere fotografata.
Non siamo altro che la comparsa della sua messinscena”.
La fotografia è una messinscena.
Mustafa Sabbagh è il suo impostore.
Nella radice latina della parola, impostore è “colui che induce a credere”. Nella sua personale ai Magazzini Criminali, Mustafa Sabbagh ci prende per mano e ci sconvolge con tutte le allucinazioni nere da cui è artisticamente invasato, e tutta la dolcezza candida da cui è umanamente invaso. Impostore per innescare un atto riflessivo, creatore per esorcizzare ciò che non c’è, che è Quasi Vero, che è radicato nel suo - nel nostro - profondo essere umano, Mustafa indaga il suo inconscio come un maestro ebanista intaglia la materia; fende il nero con la luce, sottoponendosi, carnefice e vittima, ad una molteplice sfida e martirio.
Mustafa sfida innanzitutto se stesso, dal punto di vista tecnico - conferendo multidimensionalità al non-colore per antonomasia, che nelle sue mani diventa colore, stilema e metafora - e dal punto di vista psicologico - investigando in maniera consciamente masochista una bellezza inconscia, cruda e crudele, figlia del Delightful Horror che abita i suoi istinti, i suoi impulsi, i suoi sensi. Sabbagh sacerdote di un Sabba umano, popolato di creature sacre come Cristi e profane come Satiri, virtuose come regine vittoriane e viziose come tabagisti lussuriosi. Scatti che diventano autoscatti, tanto il gioco delle parti è impercettibile e sapiente, in un rituale apotropaico che ha i caratteri sfumati della mezza verità.
Mustafa sfida poi la società, assumendone lo stesso delirante punto di vista e denunciandone la clonante mercificazione - non tanto degli oggetti, quanto dell’intimità e degli individui, che ammanta di un nero mai così purificatore, commovente e asfittico, empatizzante e armonico. Alla prepotente Società dello Spettacolo, densa di immagini riflesse e adorate come icone, come copie, come Narcisi tanto belli quanto sterili, Mustafa oppone i suoi potenti ibridi post-umani, condannati alla mutazione e graziati al viaggio, testimoni di un cerimoniale oscuro i quali, seppure in transito, conservano intatta la loro potenza ancestrale. La stessa del mare, infinita. La stessa dell’alba, indefinita. La stessa che merita il beneficio del dubbio proprio delle mezze verità.
Mustafa sfida infine l’estetica omologante, e rigetta le mode ad orologeria, con la stessa consapevolezza di chi conosce bene il proprio nemico. Sabbagh dissimula i simulacri smascherandoli nel mascherarli, investendoli di raffinate allegorie, trascendendo il tempospazio mediante gorgiere, armature, nuda pelle - l’abito che, più di ogni altro, ha attraversato e contaminato ogni era, come il vizio del fumo, emblema dei popoli e delle debolezze aspaziali ed atemporali. Come in un duello alla pari, dunque, Mustafa usa le stesse armi del proprio nemico, ma - con un coup de théâtre degno della migliore finzione scenica - ne sovverte i codici, ne ribalta gli stilemi, nello spirito ribelle del dadaista ed in quello, ancora più indomito, dell’umano che rifiuta ogni assimilazione.
Argilla nelle sue mani, splendido Golem della Kabbalah al quale - per infondere la vita - occorre venga trascritto sulla fronte “Verità”, Drusilla Foer diventa musa ispiratrice di un percorso, quasi vero, le cui tappe sono close-up solenni, una scenografica installazione ed un video inedito, concepito e girato da Sabbagh appositamente per questa personale di Sassuolo. Un video struggente, livido e decadente, turbativo nella sua quiete e difficile da risolvere... Esattamente come la Verità.
Drusilla come corpus di immagini, Drusilla come frames da video; Drusilla mane(n)t, a distanza di tre anni dai primi scatti nei quali la ritrasse Mustafa, come pluralità di visioni destabilizzanti ed eversive, seppure perfette nella loro essenzialità formale e neofiamminga e nel loro styling raffinato, visionario ed ossessivo. Ma la perfezione non esiste, esattamente come - forse - non esiste Drusilla. Ulteriore riprova che la fotografia è una messinscena, come lo è Drusilla Foer, e Mustafa Sabbagh ne è il suo meraviglioso impostore.
Se è vero, come è quasi vero, che “Una verità, in arte, è quella di cui è vero anche il contrario”, è deducibile che in questo micromondo non esistano verità, o che di contro tutte lo siano. Mustafa smaschera l’inganno, perpetrandone un ennesimo. Mustafa dissimula i simulacri, consegnandone altri in cambio. Ma - sia che si tratti di se stesso, della pelle nuda, dell’abito come monito, dell’assenza di lucidità propria dell’estasi, della vertigine o del mancamento, di un paesaggio sfumato all’alba o di un ritratto avvolto nell’oscurità - la discriminante suprema di Mustafa Sabbagh, rispetto ad ogni mezza verità, è la ricerca inquieta, e stilisticamente meravigliosa, dell’autenticità.
E nel processo contro le mezze verità non c’è niente, più dell’autenticità, che possa scagionare e consegnare alla gloria un impostore.
Fabiola Triolo
10
maggio 2014
Mustafa Sabbagh – Almost Tue Drusilla Manent
Dal 10 maggio al 02 giugno 2014
fotografia
Location
MAGAZZINI CRIMINALI
Sassuolo, Piazzale Domenico Gazzadi, 4, (Modena)
Sassuolo, Piazzale Domenico Gazzadi, 4, (Modena)
Orario di apertura
sabato e domenica 10-13 e 16-19
Vernissage
10 Maggio 2014, ore 18.30
Autore
Curatore