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My Space. Cosa vuol dire pubblico?
Diciotto artisti coinvolti a riflettere sulla dicotomia fra “privato” e “pubblico”: dagli elementi fisici, come lo spazio inteso nella sua accezione di nido familiare, piazza aperta o sistema urbanistico, la gamma tematica si estende al comportamento individuale (dall’introverso quasi “invisibile” al performer che si offre al pubblico in modo estremo e senza filtri, fino alla possibilità di diventare una “star”, anche ma non solo tramite i diversi media) fino ai ruoli differenti attributi a uomini e donne.
Comunicato stampa
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Nell’accezione più comune l’arte pubblica si riferisce ad interventi di natura urbana che presentano opere in spazi pubblici, aperti alla fruizione collettiva. In molti casi, però, tali interventi non instaurando col territorio una vera e propria relazione, provocano attorno all’opera ciò che il critico americano Clement Greenberg definisce “isolamento estetico”.
Gli artisti di My Space. Cosa vuol dire ‘pubblico’? offrono spunti per una riflessione sfaccettata sulla dicotomia fra “privato” e “pubblico”: dagli elementi fisici, come lo spazio inteso nella sua accezione di nido familiare, piazza aperta o sistema urbanistico, la gamma tematica si estende al comportamento individuale (dall’introverso quasi “invisibile” al performer che si offre al pubblico in modo estremo e senza filtri, fino alla possibilità di diventare una “star”, anche ma non solo tramite i diversi media) fino ai ruoli differenti attributi a uomini e donne. Più che dare risposte gli artisti, stimolano dibattiti immaginari di tipo sociologico e urbanistico, ispirano ricerche architettoniche e più in generale estetiche , sollecitando una riflessione su opportunità e limiti legati al genere.
Nella mostra tre linee di ricerca disegnano altrettante modalità di interpretazione del tema: il concetto di pubblico osservato attraverso la dualità tra l’affermazione dello spazio personale e l’approccio urbanistico; il concetto di pubblico attraverso la comunicazione telematica, la condivisione orizzontale del sapere, internet come spazio di interazione globale, i networks come forma di partecipazione collettiva. Infine la riflessione sul rapporto del ruolo pubblico e privato dell’uomo e della donna configura lo spazio d’azione e l’appartenenza al genere maschile o a quello femminile, ruoli definiti sia nella cultura occidentale che in quella orientale.
Cronologicamente si inizia con le storiche performance di Vito Acconci (Visions of a Disappearance, 1973, Claim Excerpts, 1971 Reception Room, 1973-2004), dove l’artista mette in scena una specie di terapia per affrontare le proprie paure spingendo, fino ai limiti del paradosso, la pubblica esposizione; Nico Vascellari divide la ribalta con il suo nucleo familiare in Nico & The Vascellaris, proponendoci uno spaccato delle dinamiche del proprio privato. In versione solitaria nel video Tinica, 2004, l’artista turco Fikret Atay affronta l’attualissima problematica dell’ambiente proponendoci un assolo mozzafiato di batteria davanti ad un panorama urbano lontano e imperturbabile.
Il rapporto tra privato e pubblico, come anche la sovrapposizione tra la dimensione reale e virtuale si attua nelle installazioni interattive di Giuseppe Stampone, Sinestesia, 2003, e Insert Art, 2006, poiché i naviganti di internet possono interagire con le opere in mostra al PAN sul territorio di Second Life, collegandosi all’isola Solstizio, in cui sarà ricreata un’installazione con le due opere. E’ possibile raggiungere l’isola seguendo queste coordinate:
http://slurl.com/secondlife/solstizio/146/123/23/
La relazione tra l’opera d’arte e la sua pubblica diffusione trova testimonianza nella storica raccolta di video Identifications, 1970, di Gerry Schum, che per la prima volta trasmette azioni di Land Art nel palinsesto televisivo della TV tedesca, ispirando più di trent’anni dopo l’esperimento artistico di Kuba Bakowski, che, grazie alle sue incursioni in TV Zero Zones, 2004, riesce addirittura ad impossessarsi dello spazio televisivo, capovolgendo il ruolo statico dello spettatore portandolo ad interagire direttamente con il dispositivo tecnologico. Nel suo Beautiful World, 2006, Mieke Gerritzen, racconta le mutazioni del mondo globalizzato in cui scritte e immagini assumono valori universali che vanno oltre la semiologia classica, mentre Vedovamazzei nell’opera Communist Dictators, 2007, espongono 18 disegni di dittatori comunisti dal sorriso smagliante, e il disfacimento della loro stessa immagine, svelando la realtà nascosta dietro quel sorriso. La grande struttura architettonica di Sopra, 2008, realizzata specificamente al PAN dall’artista tedesco Michael Beutler, ricrea uno spazio utopico, aereo e inconsueto, adattandosi agli ambienti del museo e utilizzando un semplice materiale edile. Nella Zone C, 2008, Niklas Goldbach racconta la sommessa e stridente contraddizione delle periferie cittadine, richiamate, seppur in maniera teatrale e decisamente meno malinconica, dal progetto-scultura di Kaarina Kaikkonen, un gioco di linee e colori dal sapore vagamente partenopeo, che suggerisce un’inattesa illusione di profondità tipica delle “architetture” rinascimentali. I pensieri di Sissi si “librano” in The Feeling of The Room Is Still Warm From A Fight The Night Before (Voliare II), una fitta trama di fili d’acciaio che mette in contrapposizione la levità del volo e l’impossibilità a spiccarlo, l’inconsistenza di un ordito e il peso della materia di cui si compone.
Alla dimensione cosmopolita di Spazio settantotto, Parigi, 2008, e Spazio settantasei, Hong Kong, 2008, Lorenza Lucchi Basili affida la sua riflessione sul limite indecifrabile che separa lo spazio pubblico e quello privato. E ancora, Cesare Pietroiusti, che consegna la sua azione artistica a Quelli che non c’entrano, coinvolgendo “gente normale”, eccezionalmente protagonista di una performance all’insegna della condivisione dello spazio pubblico. Le contaminazioni fra interno e esterno sono il fil rouge del lavoro dell’artista napoletana Melita Rotondo, che realizza per il PAN un’Aria incondizionata, 2008, alla ricerca di uno spazio assoluto e senza riserve, mentre Sabrina Mezzaqui, nella sua opera I giusti, 2004, occupa la superficie del museo con un mantello-manifesto, a cui delega il compito di aiutarci a ricordare la straordinaria normalità degli esseri speciali. Declinati al femminile i lavori di Kate Gilmore e di Janaina Tschäpe: la prima, nella sua performance With Open Arms, 2005, esprime il suo desiderio di acclamazione personale; la seconda, con il video, Camaleoas, 2002, insieme alle autrici-protagoniste, confeziona una sorta di docu-fiction al femminile, dove ogni donna può riconoscersi ed identificarsi.
Gli artisti di My Space. Cosa vuol dire ‘pubblico’? offrono spunti per una riflessione sfaccettata sulla dicotomia fra “privato” e “pubblico”: dagli elementi fisici, come lo spazio inteso nella sua accezione di nido familiare, piazza aperta o sistema urbanistico, la gamma tematica si estende al comportamento individuale (dall’introverso quasi “invisibile” al performer che si offre al pubblico in modo estremo e senza filtri, fino alla possibilità di diventare una “star”, anche ma non solo tramite i diversi media) fino ai ruoli differenti attributi a uomini e donne. Più che dare risposte gli artisti, stimolano dibattiti immaginari di tipo sociologico e urbanistico, ispirano ricerche architettoniche e più in generale estetiche , sollecitando una riflessione su opportunità e limiti legati al genere.
Nella mostra tre linee di ricerca disegnano altrettante modalità di interpretazione del tema: il concetto di pubblico osservato attraverso la dualità tra l’affermazione dello spazio personale e l’approccio urbanistico; il concetto di pubblico attraverso la comunicazione telematica, la condivisione orizzontale del sapere, internet come spazio di interazione globale, i networks come forma di partecipazione collettiva. Infine la riflessione sul rapporto del ruolo pubblico e privato dell’uomo e della donna configura lo spazio d’azione e l’appartenenza al genere maschile o a quello femminile, ruoli definiti sia nella cultura occidentale che in quella orientale.
Cronologicamente si inizia con le storiche performance di Vito Acconci (Visions of a Disappearance, 1973, Claim Excerpts, 1971 Reception Room, 1973-2004), dove l’artista mette in scena una specie di terapia per affrontare le proprie paure spingendo, fino ai limiti del paradosso, la pubblica esposizione; Nico Vascellari divide la ribalta con il suo nucleo familiare in Nico & The Vascellaris, proponendoci uno spaccato delle dinamiche del proprio privato. In versione solitaria nel video Tinica, 2004, l’artista turco Fikret Atay affronta l’attualissima problematica dell’ambiente proponendoci un assolo mozzafiato di batteria davanti ad un panorama urbano lontano e imperturbabile.
Il rapporto tra privato e pubblico, come anche la sovrapposizione tra la dimensione reale e virtuale si attua nelle installazioni interattive di Giuseppe Stampone, Sinestesia, 2003, e Insert Art, 2006, poiché i naviganti di internet possono interagire con le opere in mostra al PAN sul territorio di Second Life, collegandosi all’isola Solstizio, in cui sarà ricreata un’installazione con le due opere. E’ possibile raggiungere l’isola seguendo queste coordinate:
http://slurl.com/secondlife/solstizio/146/123/23/
La relazione tra l’opera d’arte e la sua pubblica diffusione trova testimonianza nella storica raccolta di video Identifications, 1970, di Gerry Schum, che per la prima volta trasmette azioni di Land Art nel palinsesto televisivo della TV tedesca, ispirando più di trent’anni dopo l’esperimento artistico di Kuba Bakowski, che, grazie alle sue incursioni in TV Zero Zones, 2004, riesce addirittura ad impossessarsi dello spazio televisivo, capovolgendo il ruolo statico dello spettatore portandolo ad interagire direttamente con il dispositivo tecnologico. Nel suo Beautiful World, 2006, Mieke Gerritzen, racconta le mutazioni del mondo globalizzato in cui scritte e immagini assumono valori universali che vanno oltre la semiologia classica, mentre Vedovamazzei nell’opera Communist Dictators, 2007, espongono 18 disegni di dittatori comunisti dal sorriso smagliante, e il disfacimento della loro stessa immagine, svelando la realtà nascosta dietro quel sorriso. La grande struttura architettonica di Sopra, 2008, realizzata specificamente al PAN dall’artista tedesco Michael Beutler, ricrea uno spazio utopico, aereo e inconsueto, adattandosi agli ambienti del museo e utilizzando un semplice materiale edile. Nella Zone C, 2008, Niklas Goldbach racconta la sommessa e stridente contraddizione delle periferie cittadine, richiamate, seppur in maniera teatrale e decisamente meno malinconica, dal progetto-scultura di Kaarina Kaikkonen, un gioco di linee e colori dal sapore vagamente partenopeo, che suggerisce un’inattesa illusione di profondità tipica delle “architetture” rinascimentali. I pensieri di Sissi si “librano” in The Feeling of The Room Is Still Warm From A Fight The Night Before (Voliare II), una fitta trama di fili d’acciaio che mette in contrapposizione la levità del volo e l’impossibilità a spiccarlo, l’inconsistenza di un ordito e il peso della materia di cui si compone.
Alla dimensione cosmopolita di Spazio settantotto, Parigi, 2008, e Spazio settantasei, Hong Kong, 2008, Lorenza Lucchi Basili affida la sua riflessione sul limite indecifrabile che separa lo spazio pubblico e quello privato. E ancora, Cesare Pietroiusti, che consegna la sua azione artistica a Quelli che non c’entrano, coinvolgendo “gente normale”, eccezionalmente protagonista di una performance all’insegna della condivisione dello spazio pubblico. Le contaminazioni fra interno e esterno sono il fil rouge del lavoro dell’artista napoletana Melita Rotondo, che realizza per il PAN un’Aria incondizionata, 2008, alla ricerca di uno spazio assoluto e senza riserve, mentre Sabrina Mezzaqui, nella sua opera I giusti, 2004, occupa la superficie del museo con un mantello-manifesto, a cui delega il compito di aiutarci a ricordare la straordinaria normalità degli esseri speciali. Declinati al femminile i lavori di Kate Gilmore e di Janaina Tschäpe: la prima, nella sua performance With Open Arms, 2005, esprime il suo desiderio di acclamazione personale; la seconda, con il video, Camaleoas, 2002, insieme alle autrici-protagoniste, confeziona una sorta di docu-fiction al femminile, dove ogni donna può riconoscersi ed identificarsi.
13
dicembre 2008
My Space. Cosa vuol dire pubblico?
Dal 13 dicembre 2008 al 20 aprile 2009
arte contemporanea
Location
PAN – PALAZZO DELLE ARTI DI NAPOLI
Napoli, Via Dei Mille, 60, (Napoli)
Napoli, Via Dei Mille, 60, (Napoli)
Orario di apertura
feriali: 9.30 - 19.30, festivi: 9.30 - 14.00
chiuso il martedì
Vernissage
13 Dicembre 2008, ore 19
Sito web
slurl.com/secondlife/solstizio/146/123/23/
Autore
Curatore