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Nanni Angeli – La ‘janna a lianti
La mostra è un’indagine visiva dedicata al mondo dello “stazzo”, cellula territoriale e socio-economica della campagna gallurese fino alla prima metà degli anni Sessanta. Nato al principio degli anni ’90, il progetto è diventato ricerca sistematica al ritorno dell’autore neel’Isola.
Comunicato stampa
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ORGANICA
Museo di arte ambientale nel Parco del Limbara
Spazio CEDAP | Tempio Pausania (SS)
23.07.2023 | 24.08.2023
La ‘janna a lianti
a cura di Riccardo Mura
È uno sguardo raro, quello di Nanni Angeli, forse unico. Per La ’janna a lianti, dopo una lunga permanenza a Bologna, Angeli torna nei sentieri della sua memoria di bambino e ragazzo nato e cresciuto in Gallura, quei sentieri reali e metaforici che hanno preso al laccio le traiettorie dello sguardo dell’ignaro futuro fotografo, addomesticandolo a riconoscere la bellezza – a volte palese, più spesso nascosta tra i detriti – degli stazzi galluresi. È lo sguardo di un testimone che si fa carico della responsabilità di documentare quel che resta, quel che fugge o rovina, ma anche quel che arriva e s’innesta, a volte in modo selvaggio, sulle sopravvivenze di una civiltà che nei secoli ha attecchito silenziosa e discreta in questo angolo di Mediterraneo. Le immagini de La ’janna a lianti conferiscono a chi le osserva il privilegio di un punto di vista interno, profondo, oggettivo e al tempo stesso amorevole sugli stazzi della Gallura.
Un punto di vista interno, da autoctono, quindi per un verso facilitato dalla familiarità con questi luoghi, le persone che li abitano e lavorano, un’idea chiara degli elementi forti e imprescindibili del paesaggio, e anche la non scontata capacità di saper percorrere un territorio tanto vasto quanto frammentato. Ma per un altro verso, proprio il fatto di aver a che fare con la propria terra e la propria gente è un’insidia che potrebbe traviare l’artista, portandolo a farsi carico del bisogno di riscatto e rivincita di una cultura in decadenza, magari estetizzando architetture, oggetti, volti e paesaggi, o addirittura scivolando sul pittoresco e la superficialità di una Sardegna da cartolina. Nanni Angeli non ci casca e riesce a sfruttare al meglio il suo sguardo indigeno per cogliere il paesaggio reale nella sua complessità.
Dunque il suo è anche un punto di vista oggettivo, disincantato. Non c’è solo la vita, ma anche la morte dello stazzo. Però sono come due momenti dello stesso respiro: non si possono scindere, pena l’apnea. Infatti non ci sono foto idilliache alternate a foto di degrado: in ogni istantanea la campagna gallurese fiorisce e sfiorisce: l’acqua rimargina le ferite delle cave di granito; la terracotta sta accanto alla plastica; in una stanza devastata dal tempo persiste il calore di tracce di vita; nella solitudine di un uomo, il rosso dei fiori; rottami di ferro consolati dal verde del prato; il sorriso e l’ombra nei visi degli anziani; una preziosa decorazione su un intonaco sbrecciato…
Ecco, nelle immagini di Nanni Angeli non c’è nessuna morte nera e spettrale che incombe sui colori della vita, ma piuttosto un senso di ineluttabile e pacifica caducità che soffia sulla ruggine e scorre dentro le crepe e le rughe. In questo senso lo sguardo è profondo: i simbolismi non sono banali, le emozioni sono contrastanti, stratificate e compresenti. Non c’è minimalismo: abbondano gli elementi e le traiettorie che li uniscono, li tengono insieme, li fanno resistere con e contro il mondo che cambia inesorabile. In questo la luce svolge un ruolo importante: squarcia, inonda, dà profondità, vivifica, non scaccia i fantasmi ma almeno li rende innocui.
Tanto che persino il grande spettro sembra rallentare la sua marcia inesorabile.
E questa è forse la manifestazione più decisa del punto di vista amorevole di Nanni Angeli. Con l’uso sapiente della luce, lo sguardo oggettivo e profondo, l’attenzione alla densità del paesaggio reale, la scelta delle persone e dei contesti da ritrarre, l’artista testimonia e redime la cultura degli stazzi, accettandola per quella che è nei primi anni Duemila, mostrandocela nella sua intima e intrinseca dignità. Amandola, e facendo sì che questo amore pervada ogni immagine, anche la più apparentemente malinconica, e susciti in chi ha il privilegio di osservarla il desiderio di essere lì, a nutrirsi di una cultura che continua in qualche modo a vivere e per questo continua ad aver bisogno di uomini e donne che ne abbiano cura.
Riccardo Mura
Museo di arte ambientale nel Parco del Limbara
Spazio CEDAP | Tempio Pausania (SS)
23.07.2023 | 24.08.2023
La ‘janna a lianti
a cura di Riccardo Mura
È uno sguardo raro, quello di Nanni Angeli, forse unico. Per La ’janna a lianti, dopo una lunga permanenza a Bologna, Angeli torna nei sentieri della sua memoria di bambino e ragazzo nato e cresciuto in Gallura, quei sentieri reali e metaforici che hanno preso al laccio le traiettorie dello sguardo dell’ignaro futuro fotografo, addomesticandolo a riconoscere la bellezza – a volte palese, più spesso nascosta tra i detriti – degli stazzi galluresi. È lo sguardo di un testimone che si fa carico della responsabilità di documentare quel che resta, quel che fugge o rovina, ma anche quel che arriva e s’innesta, a volte in modo selvaggio, sulle sopravvivenze di una civiltà che nei secoli ha attecchito silenziosa e discreta in questo angolo di Mediterraneo. Le immagini de La ’janna a lianti conferiscono a chi le osserva il privilegio di un punto di vista interno, profondo, oggettivo e al tempo stesso amorevole sugli stazzi della Gallura.
Un punto di vista interno, da autoctono, quindi per un verso facilitato dalla familiarità con questi luoghi, le persone che li abitano e lavorano, un’idea chiara degli elementi forti e imprescindibili del paesaggio, e anche la non scontata capacità di saper percorrere un territorio tanto vasto quanto frammentato. Ma per un altro verso, proprio il fatto di aver a che fare con la propria terra e la propria gente è un’insidia che potrebbe traviare l’artista, portandolo a farsi carico del bisogno di riscatto e rivincita di una cultura in decadenza, magari estetizzando architetture, oggetti, volti e paesaggi, o addirittura scivolando sul pittoresco e la superficialità di una Sardegna da cartolina. Nanni Angeli non ci casca e riesce a sfruttare al meglio il suo sguardo indigeno per cogliere il paesaggio reale nella sua complessità.
Dunque il suo è anche un punto di vista oggettivo, disincantato. Non c’è solo la vita, ma anche la morte dello stazzo. Però sono come due momenti dello stesso respiro: non si possono scindere, pena l’apnea. Infatti non ci sono foto idilliache alternate a foto di degrado: in ogni istantanea la campagna gallurese fiorisce e sfiorisce: l’acqua rimargina le ferite delle cave di granito; la terracotta sta accanto alla plastica; in una stanza devastata dal tempo persiste il calore di tracce di vita; nella solitudine di un uomo, il rosso dei fiori; rottami di ferro consolati dal verde del prato; il sorriso e l’ombra nei visi degli anziani; una preziosa decorazione su un intonaco sbrecciato…
Ecco, nelle immagini di Nanni Angeli non c’è nessuna morte nera e spettrale che incombe sui colori della vita, ma piuttosto un senso di ineluttabile e pacifica caducità che soffia sulla ruggine e scorre dentro le crepe e le rughe. In questo senso lo sguardo è profondo: i simbolismi non sono banali, le emozioni sono contrastanti, stratificate e compresenti. Non c’è minimalismo: abbondano gli elementi e le traiettorie che li uniscono, li tengono insieme, li fanno resistere con e contro il mondo che cambia inesorabile. In questo la luce svolge un ruolo importante: squarcia, inonda, dà profondità, vivifica, non scaccia i fantasmi ma almeno li rende innocui.
Tanto che persino il grande spettro sembra rallentare la sua marcia inesorabile.
E questa è forse la manifestazione più decisa del punto di vista amorevole di Nanni Angeli. Con l’uso sapiente della luce, lo sguardo oggettivo e profondo, l’attenzione alla densità del paesaggio reale, la scelta delle persone e dei contesti da ritrarre, l’artista testimonia e redime la cultura degli stazzi, accettandola per quella che è nei primi anni Duemila, mostrandocela nella sua intima e intrinseca dignità. Amandola, e facendo sì che questo amore pervada ogni immagine, anche la più apparentemente malinconica, e susciti in chi ha il privilegio di osservarla il desiderio di essere lì, a nutrirsi di una cultura che continua in qualche modo a vivere e per questo continua ad aver bisogno di uomini e donne che ne abbiano cura.
Riccardo Mura
23
luglio 2023
Nanni Angeli – La ‘janna a lianti
Dal 23 luglio al 24 agosto 2023
fotografia
Location
Museo di arte ambientale Organica
Tempio Pausania, Strada Statale 392 del Lago del Coghinas, (SS)
Tempio Pausania, Strada Statale 392 del Lago del Coghinas, (SS)
Orario di apertura
da martedì a giovedì: dalle 12 alle 17 e da venerdì a domenica: dalle 12 alle 18 chiusura: lunedì
Vernissage
23 Luglio 2023, ore 11:00
Autore
Curatore
Allestimento
Sponsor
Patrocini