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Neapolitan Dreams
significative e scelte opere di differente carattere e taglio degli artisti partenopei Maria Pia Daidone, Carmine Dello Ioio, Mario Fortunato e Luciana Mascia
Comunicato stampa
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Scheda della mostra “Neapolitan dreams”
a cura di Maurizio Vitiello
Maria Pia Daidone conta in Campania numerosissime mostre, ed, in particolare, in varie località della penisola sorrentina: ad esempio, a luglio del 2002 ha concretizzato la monografica “Birilli Mediterranei” al “Palazzo Comunale” di Vico Equense, ad agosto del 2003 nel prestigioso “Museo Mineralogico Campano - Fondazione Discepolo”, sempre della Città di Vico Equense, sapientemente diretto da Umberto Celentano, ha, con “Sagome per un trittico”, delineato e motivato le stimate ricerche e tra dicembre 2004 e gennaio 2005 ha esposto con “Sagome Mediterranee”, mostra “glocal”, un momento di transito contemporaneo adeguato al luogo dato dal Museo Archeologico “Silio Italico”, dipendente per la cura scientifica dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici di Napoli e Caserta, tappa finale del circuito espositivo nella Città di Vico Equense, che l’ha saputa ben accogliere ed apprezzare totalmente, dalle amministrazioni agli artisti peninsulari, sino ai “viaggiatori” e agli “uomini di cultura”, che frequentano la “riviera campana” o la “costa diva”. L’artista ha, ultimamente, esposto alla “Libreria Guida” di Capua dove è riuscita, con “Sagome Capuane”, a condensare, saggiamente e con motivata partecipazione, l’orizzonte culturale del suo profilo di intendimenti visivi, in un contesto di indubbio valore. L’artista, invitata dall’Assessorato per le Pari Opportunità della Regione Campania ha partecipato, poi, dal 7 al 13 marzo 2005, alla rassegna di arti visive, con altre bravissime artiste, nell’ambito delle manifestazione intitolata “La Città delle Donne”. Ha esposto, quasi in contemporanea, “Sagome Minime” (26 maggio – 31 luglio), a “Il Pilastro” di Santa Maria Capua Vetere, spazio diretto da Gennaro Stanislao, e con “Sagome svelate” (11 giugno – 13 luglio), alla “Neoartgallery” di Roma, diretta da Angelo Andriuolo e Giorgio Bertozzi. La mostra, intitolata “Orme e Sagome”, allestita a “Studio Aperto” di Fornacelle di Vico Equense Fornacelle (25 – 30 giugno 2005), ha concluso un soggiorno. Sono stati presenti gli ultimi lavori, in tecnica mista, dell’artista partenopea, che così ha salutato Fornacelle, appartata frazione di Vico Equense, dove è stata sei anni ed ha incontrato artisti ed operatori in vacanza. Le opere di Maria Pia Daidone provengono dall’icasticità del mondo antico e si offrono nella qualità di una teoria di dettagli antropologici contemporanei di rilievo.
Oggi queste magiche sagome, esposte a Roma a “La Cuba d’oro”, di recentissima datazione, su cui insistono anche segni, segnacoli, segnature, graffi, incisioni, strofinature, accostamenti di sacro e profano, raccolgono le vertigini del nostro tempo e ci rimandano a tempi antichi, in cui un graffito si poneva come primo elemento segnico-simbolico di interpretazione e comunicazione sociale. Il ventaglio di definizioni dell’artista consacra un “plafond” visivo di caratura storica, che accoglie nella sua estensione rilievi epocali e caratteri attuali. Vediamo, ora, in quest’ultima situazione espositiva degli interessanti lavori di proporzioni medie, che vivono sull’onda di alcuni colori, quali l’ocra, il nero, il blu, il rosso eletti dall’artista a momentanei vettori cromatici della sua lunga ricerca, che già appassiona, da tempo, collezionisti ed attenti critici di rilievo nazionale. La grande artista partenopea è sempre più in ascesa, perché sempre più invitata ad esporre fuori Italia, dove riscuote unanimi consensi ed apprezzamenti.
Da ricordare, infine, che la singolare ed unica “Sagoma-Totò”, dedicata al grandissimo artista, consegnata alla figlia Liliana de Curtis alla “Neoartgallery” di Roma, entrerà a far parte del costituendo museo dedicato a Totò, definito il “principe del sorriso”, in allestimento al Palazzo dello Spagnolo, nella zona dei Vergini, a Napoli.
Carmine Dello Ioio con la mostra acerrana, intitolata “Mani”, ha incontrato pubblico e “addetti ai lavori” dell’area tra Caserta e Napoli e si sono imposte riflessioni su una pittura con note intriganti. Infatti ad Acerra, a “Il Ritrovo dell’arte”, diretto con competenza, passione ed entusiasmo da Mimmo Fatigati, è stato possibile visionare gli ultimi lavori in tecnica mista di quest’emergente giovane operatore tra l’11 ed il 26 settembre 2005. (Da ricordare che è ancora in corso, nel frattempo, l’interessante iniziativa che vede coinvolto il giovane e promettente artista Carmine Dello Ioio, intitolata “Insieme sul terrazzo”, che resterà aperta sino a lunedì 31 ottobre 2005. Quest’evento vede in rassegna una significativa serie di opere del giovane artista campano nel piccolo accogliente spazio esterno dello “Studio Dello Ioio” (Via Benedetto Brin, 32 80053 Castellammare di Stabia – Napoli; tel. 339/209.18.16). Ritornando sulla mostra di Acerra, hanno distinto il lavoro del giovane operatore Carmine Dello Ioio parallelismi abbinati, aperture flessibili e iati inediti, che sostanziano elaborazioni fondamentalmente ludiche e dichiaratamente leggibili. L’artista, che ha mosso i primi passi artistici sulla costiera sorrentino-amalfitana, presenta oggi a Roma a “La Cuba d’Oro”, diretta da Nella Giambarresi, vari e diversi lavori recenti, ad olio ed in tecnica mista, in cui si possono cogliere sottili allusioni al mondo attuale. Sulla sua pittura si è espressa la giornalista Maresa Galli, direttore del quotidiano “on line” ed anche periodico cartaceo “Il Brigante”, che sull’artista ha espresso queste brevi considerazioni: “Lo studio è piccolo e ricco di immaginazione, tra il loft newyorkese, la soffitta parigina, ma la vista dà sulle barche e l’azzurro della piccola baia di Castellammare di Stabia. Carmine Dello Ioio, pittore emergente, giovane ma con già all’attivo numerose personali e diversi riconoscimenti, nato a Gragnano, vive e opera a Castellammare. Artista poliedrico, scenografo, decoratore, esperto-conservatore di beni culturali, ha realizzato un cortometraggio e diversi progetti con l’associazione “Terre Scosse”. Ha trovato nella pittura la sua chiave espressiva, il suo motivo d’essere. Nel suo studio che affaccia sul mare, con un’affettuosa gattina che osserva tutte le fasi di realizzazione delle opere, Dello Ioio conserva grandi tele dai temi più diversi, da Giovanni Paolo II, un viso fatto di luce, forte come il suo messaggio al mondo, alle parti del corpo, in primo luogo le mani. Una pittura velata di erotismo, particolari che colpiscono, colori accesi e personali, il ricorso alla tecnica mista per il suo sguardo sul contemporaneo. Colpiscono un volto di donna, Bush e Saddam, una splendida tela d’ispirazione marina, ma anche il periodo del “visivismo”, con i colori più caldi a raccontare emozioni. Una ricerca poetica e insieme realistica, per uno sguardo in continuo movimento al mondo dell’apparire che apre altre porte. Ed alcune di esse sono labirintiche, come l’immaginazione, fervida, sempre a caccia di stimoli, ed altre dis-velano, lasciando anche spazio alla mente che si sofferma sull’uso del colore, frammenti di ancestrali richiami. Il futuro è archeologia dell’immaginario.”
Ma anche lo scrittore e studioso Stefano Arcella ha voluto puntualizzare sulla ricerca di una sintesi fra il sentire e il pensare dell’artista campano, in questi termini: ”L’incontro con l’artista, nel suo suggestivo studio fra le acque e i monti di Castellammare di Stabia, suscita la sensazione di affrontare la dimensione di una ricerca artistica in evoluzione, volta ad un equilibrio, ad una centratura creativa che l’artista aspira a realizzare. Forse è la fase più avvincente, quella in cui si manifestano varie spinte creative, ispirazioni tutte molto intriganti, non ancora integrate fra loro in un’armonia compositiva. Nei dipinti “La mano” (olio su tela, 2005) e “Il braccio” (olio, smalto e bitume, 2005) i particolari anatomici del corpo umano sono rappresentati con densità volumetrica. La sensibilità dell’artista è polarizzata sul “particolare” che è amplificato e trasformato. Il posteriore femminile all’interno di uno schermo televisivo, nella sua consistenza volumetrica, lascia trasparire una sottile ironia verso la pandemia del sesso che caratterizza i media nel nostro tempo; tale vis polemica richiama, implicitamente, il senso di un rapporto più naturale ed autentico con la femminilità e la sessualità, l’anelito ad un mondo più genuino rispetto ai modelli artificiosi che la società dell’immagine tende ad inculcare con una subdola violenza psicologica. Nel messaggio di questa composizione colgo un’intima relazione fra il soggetto dell’artista – che è anche una polemica di costume con una spiccata valenza antropologica, ossia la tensione verso un tipo umano più libero da condizionamenti mediatici – e la scelta del luogo del suo studio, un luogo che, nella sua freschezza naturale, esprime questa ansia d’autenticità che connota la psicologia dell’autore. Nell’opera “La mano” il senso della pienezza volumetrica trasfigura la mano in un muscolo. L’attenzione ai particolari anatomici sfuma in una trasfigurazione che ha del surreale, una muscolosità che avverto quale elaborazione cerebrale, costruzione della mente dell’artista, che tende ad esprimere il senso della forza e del vigore, in una versione molto fisicizzata. Accanto a questa vena creativa ne affiora un’altra, che colgo nella capacità di disegnare i volti quale specchio dell’anima, una vena fresca, autentica, limpida, che s’impone per la sua immediatezza, la sua spontaneità istintiva. In “Arabo muto” (olio su tela, 2005) l’uomo, con l’abbigliamento islamico, esprime un animus pensoso, un sentimento d’angoscia irrisolta. Il volto è sospeso fra essere e non-essere; esso c’è e non c’è, coperto in parte da una mano mentre al fianco, un altro volto è volutamente incompleto, spezzato dal limite della tela, un “non finito” molto moderno, sullo sfondo scorgendosi i volti sfumati e perplessi di altri arabi, il cui sguardo si perde nell’infinito. Espressione efficace che parla di una crisi di civiltà, di un senso d’identità sofferta nel rapporto dell’Islam col mondo occidentale. In “Mostrum” (olio su tela, 2005) si estrinseca il sentimento di una tensione interna, di uno sforzo nell’agonismo che genera uno stile figurativo che sembra realistico, ma è sfumato da un velo di nebbia che l’artista abilmente realizza con una gradazione cromatica fra il verde ed un blu molto diluito, Si percepisce, anche in questo caso, la pienezza del corpo umano, lo studio dell’anatomia, la trasfigurazione volumetrica. In quest’elemento d’amplificazione, unitamente alla percezione del reale, filtrata da quel velo nebbioso, si avverte l’entrare in gioco delle impressioni, per cui il reale è sublimato mediante la sensibilità dell’autore. L’auspicio che si può esprimere è che Dello Ioio trovi la giusta sintesi, il punto d’equilibrio fra spontaneità creatrice ed elaborazione mentale, fra “cuore” e cervello, fra istinto ed intelletto. L’unione dei volti espressivi con le mani in densità volumetrica, con tutte le possibili varianti sul tema, potrebbe essere, forse, una possibile soluzione artistica per integrare questi due stimoli creativi che affiorano dall’animo del pittore.“
In conclusione, su quanto espresso da Maresa Galli e da Stefano Arcella concordiamo perfettamente e pensiamo che il giovane operatore di Gragnano, ma con studio a Castellammare di Stabia, sappia ora orientarsi per non perdere la bussola della creatività e sappia ora cosa tagliare. Scegliere la “cifra estetica” da portare avanti, senza indugio, tra le varie chiavi di lettura, che sino ad oggi ha “girato” sulla realtà circostante, è per Carmine dello Ioio fondamentale.
Crediamo che i suoi lavori, in particolare quelli che ci raccontano tratti dell’Islam, siano molto sentiti. Vite descritte da volti rugosi ci sottolineano sentimenti e crepuscoli infiniti. Espressioni rapite per parlare di crisi e di civiltà, per rimettere in discussione rapporti, mai chiari o chiariti, tra popoli. Il mondo orientale ed il mondo occidentale devono assolutamente dialogare; è imprescindibile esigenza della civiltà umana e Carmine Dello Ioio, che frequenta la scena della vita ed è vicino a molti artisti dello spettacolo che in scena ci vanno per riassumere le realtà odierne, sa bene che i confronti oggi sono serrati. Le indicazioni della sua pittura rimettono in discussione i nostri pensieri contemporanei, divisi tra religioni obsolete e laicismi ad oltranza, tra governi precari e scenari politici in dissolvenza incrociata, determinata dalla germinazione di nuovi partiti.
Mario Fortunato è un artista su cui molti critici hanno scritto e prima che approdasse a Roma, a “la Cuba d’Oro”, abbiamo riletto ed assorbito quello che hanno redatto. Preferiamo scrivere con calma e non staccare lo sguardo da quel “fil rouge”, che, nonostante tutto, resta e resterà sempre nascosto, ma che netto e consistente marca sicuro ed inderogabile una linea di permanenza del mistero e della luce. Quel “fil rouge”, che noi abbiamo visto, intravisto, subodorato, capito o immaginato di vedere, consiste in quella linea di rifugio sottile da cui non si può prescindere. E’ un concentrato lineare di amore per il mondo tutto, ancora ed ala di aspettative attente, affettuosamente delicate e sornioni, cordiali con il mondo. L’artista prende la vita a prestito per capire di sé e degli uomini e delle donne che conosce. Il suo rapporto con l’arte è un pretesto per leggere di sé e degli altri, nonché possibilità d’interpretare il mondo come va e della domanda se ha senso proseguire oppure è meglio scendere alla prossima fermata. Ma guardiamo dagli anni Sessanta ad oggi. Le opere degli anni Sessanta ci balzarono agli occhi quando le visionammo in una galleria vomerese. Ci colpì un’opera eccellente, intitolata “Pensiero moderno”. Si tratta, in realtà, di una carta di piccole dimensioni, del 1962, che crediamo sia stata, con altre prove della stessa serie, una tessitura, tra le tessiture fondamentali, sorgiva, autentica, brillante per caratura estetica e per consapevole freschezza di gesto dell’artista. Tutti i suoi lavori, di codice e chiave informale, che sono seguiti nel corso degli anni Sessanta e sino ai primi degli anni Settanta, sono stati precisati da significative elaborazioni. L’artista, proprio in questo periodo, ha significativamente prodotto acquatinte, acqueforti ed altre ed ulteriori incisioni, superando, nel 1965, un avvelenamento epatico dovuto a manipolazioni, sin troppo disinvolte, delle lastre in bacinelle con acidi corrosivi e devastanti. Le significazioni visive di Mario Fortunato sono sempre piaciute in Europa ed in America e se la memoria non c’inganna alcune sue opere grafiche risultano presenti al Museo d’Arte Moderna di Hartford, in Connecticut. All’epoca fu preferita e gradita una teoria che riproponeva ispirate tarlatane, che chi è del mestiere sa che servono a pulire le lastre. Le acquisizioni di questo museo sono avvenute nel lontano 1974 grazie alla richiesta di una speciale commissione composta da bambini. Le direzioni museali succedutesi facevano scegliere i lavori degli artisti a disincantati ed esperti fanciulli e fanciulle. Ma dai successi a un bel giorno in cui Mario Fortunato si blocca e si autodimette da artista dopo aver visto la mostra di Picasso a New York. Fascino e malia dell’arte picassiana vincono la temerarietà sino ad allora espressa dall’artista, che, richiamato da un’imprescindibile esigenza della sua anima, ritiene di doversi fermare per riflettere e per porre una pausa tra sé e le vicende artistiche. Per un lungo periodo, difatti, non produce, non dipinge. Sceglie l’ombra del ritiro, una serenità pacata dal silenzio, festa intima dell’anima. Poi, riprende man mano e riscopre le architetture fantastiche, le grandi vedute e con speciale dedizione cura particolari “still life”. Poi, con collages a metà degli anni Ottanta studia Braque, Picasso, Léger, Gris, Severini e tutto ciò che gli può piacere da un Eugenio Carmi ad un Volaire. Attualmente le intelaiature, le incastellature, le impalcature, le strutture determinate dalla mano felice, accorta e meditativa di Mario Fortunato sezionano una rete di enucleazioni e di elaborazioni. In una liturgia sommessa elabora un “framework” dopo l’altro. Rimandi a Napoli, alla mediterraneità, all’architettura che gli è sempre piaciuta come ordine e materia dello spirito che indaga lo spazio, alla solarità delle donne conosciute vengono a porsi come spessori d’indagine. Ogni composizione che Mario Fortunato presenta è, in realtà, un unico multiplo, realizzato con la diffusione cromatica dovuta al plotter, che viene fatto derivare da un originale cartaceo, sezionato da riquadri a doppia finestra. Tutti i tasselli visivi di Mario Fortunato combinano finestre spazio-temporali e ribalte segnico-visive per comprendere se è il caso di affrontare viaggi epocali. Di rimando in rimando, di richiamo in richiamo, di ricordo in ricordo, di sospiro in sospiro, di vertigine in vertigine le immagini di Mario Fortunato sondano tanti perché ed il senso vitale dell’esistenza. L’uomo corre da solo, può anche salire con tanti amici ed amiche su “un autobus per utopia”, ma dinnanzi ad una corsa pluralista ed infinita potrebbe anche preferire una corsa saggia con la chance periscopica di scoprire l’amicizia e di interpretare il mondo su cui viaggia. La sua attuale fabbricazione pittorica è una realtà interessante ed accattivante. Il senso della scoperta domina gli scenari inconsueti che l’osservazione, misuratissima ed ormai esperta, di Mario Fortunato costruisce. Paesaggi dai forti sapori esotici, insolite visioni d'insieme, scenografie purgate da assilli contemporanei, macchie di coralità estreme, scenari esuberanti, architetture minime dai simbolismi occulti e dai risvolti esoterici guadagnano lo spazio della dimensione data. La mano di Mario Fortunato inscrive sull'area trattata preziosismi e calibrati segni. Queste due caratterizzazioni producono tessiture di panorami immaginati. E da queste suggestive tessiture emergono visibilità estreme, riconducibili ad una volontà sospesa tra segreti ed emozioni. Scatti silenti incontrano impalcature segnate ed intervallate da luminescenze. Tensioni ed intensità fanno vibrare brani raffinati che agglomerano fremiti memoriali e scarti di surrealtà. Mario Fortunato dettaglia segni e con sequenze vitali riesce a produrre illustrate immaginazioni, che si ricombinano con fertili atmosfere serene e sospese icasticità.
Luciana Mascia è ben felice di quest’esposizione romana a “La Cuba d’Oro” e, così, ritorna nel giro espositivo.
Ordina in modulari e sottese filigrane temi figurativi e con rapidi e contrastati tese espressioinistiche rende all’attento occhio del pubblico una gamma di sfumature che vanno dall’avion alllo smeraldo.
L’artista ha continuato in sordina a dipingere, dopo una teoria di mostre negli anni Ottanta in ottime gallerie napoletane, e ricordiamo anche un successo alla sede dell’Associazione Culturale “AcomeArte”, alla Riviera di Chiaja a Napoli, diretta e guidata dal compianto bravissimo artista Pasquale Forgione.
La pittura di Luciana Mascia integra molteplici piani di figurazioni composite in alternate modulazioni espressionistiche dai toni forti, decisi e dagli accostamenti equilibrati.
Ha esposto, riscuotendo successo, nel novero delle iniziative del “Maggio dei Monumenti”, dell’edizione 2004, alla mostra “Percorsi a confronto”, allestita nel “Corridoio dei Maestri” dell’Istituto Professionale per l’Industria e per l’Artigianato “Alfonso Casanova”, che ha sede nell’ex Convento di San Domenico Maggiore, insieme ad altre valenti artiste europee, quali: Anna Bertoldo, Luigia Criscio, Maria Pia Daidone, Stefania di Vincenzo, Wanda Fiscina, Isabelle Lemaitre, Teresa Mangiacapra, Daria Musso, Nuccia Pulpo, Clara Rezzuti, Gisela Robert.
Maurizio Vitiello
a cura di Maurizio Vitiello
Maria Pia Daidone conta in Campania numerosissime mostre, ed, in particolare, in varie località della penisola sorrentina: ad esempio, a luglio del 2002 ha concretizzato la monografica “Birilli Mediterranei” al “Palazzo Comunale” di Vico Equense, ad agosto del 2003 nel prestigioso “Museo Mineralogico Campano - Fondazione Discepolo”, sempre della Città di Vico Equense, sapientemente diretto da Umberto Celentano, ha, con “Sagome per un trittico”, delineato e motivato le stimate ricerche e tra dicembre 2004 e gennaio 2005 ha esposto con “Sagome Mediterranee”, mostra “glocal”, un momento di transito contemporaneo adeguato al luogo dato dal Museo Archeologico “Silio Italico”, dipendente per la cura scientifica dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici di Napoli e Caserta, tappa finale del circuito espositivo nella Città di Vico Equense, che l’ha saputa ben accogliere ed apprezzare totalmente, dalle amministrazioni agli artisti peninsulari, sino ai “viaggiatori” e agli “uomini di cultura”, che frequentano la “riviera campana” o la “costa diva”. L’artista ha, ultimamente, esposto alla “Libreria Guida” di Capua dove è riuscita, con “Sagome Capuane”, a condensare, saggiamente e con motivata partecipazione, l’orizzonte culturale del suo profilo di intendimenti visivi, in un contesto di indubbio valore. L’artista, invitata dall’Assessorato per le Pari Opportunità della Regione Campania ha partecipato, poi, dal 7 al 13 marzo 2005, alla rassegna di arti visive, con altre bravissime artiste, nell’ambito delle manifestazione intitolata “La Città delle Donne”. Ha esposto, quasi in contemporanea, “Sagome Minime” (26 maggio – 31 luglio), a “Il Pilastro” di Santa Maria Capua Vetere, spazio diretto da Gennaro Stanislao, e con “Sagome svelate” (11 giugno – 13 luglio), alla “Neoartgallery” di Roma, diretta da Angelo Andriuolo e Giorgio Bertozzi. La mostra, intitolata “Orme e Sagome”, allestita a “Studio Aperto” di Fornacelle di Vico Equense Fornacelle (25 – 30 giugno 2005), ha concluso un soggiorno. Sono stati presenti gli ultimi lavori, in tecnica mista, dell’artista partenopea, che così ha salutato Fornacelle, appartata frazione di Vico Equense, dove è stata sei anni ed ha incontrato artisti ed operatori in vacanza. Le opere di Maria Pia Daidone provengono dall’icasticità del mondo antico e si offrono nella qualità di una teoria di dettagli antropologici contemporanei di rilievo.
Oggi queste magiche sagome, esposte a Roma a “La Cuba d’oro”, di recentissima datazione, su cui insistono anche segni, segnacoli, segnature, graffi, incisioni, strofinature, accostamenti di sacro e profano, raccolgono le vertigini del nostro tempo e ci rimandano a tempi antichi, in cui un graffito si poneva come primo elemento segnico-simbolico di interpretazione e comunicazione sociale. Il ventaglio di definizioni dell’artista consacra un “plafond” visivo di caratura storica, che accoglie nella sua estensione rilievi epocali e caratteri attuali. Vediamo, ora, in quest’ultima situazione espositiva degli interessanti lavori di proporzioni medie, che vivono sull’onda di alcuni colori, quali l’ocra, il nero, il blu, il rosso eletti dall’artista a momentanei vettori cromatici della sua lunga ricerca, che già appassiona, da tempo, collezionisti ed attenti critici di rilievo nazionale. La grande artista partenopea è sempre più in ascesa, perché sempre più invitata ad esporre fuori Italia, dove riscuote unanimi consensi ed apprezzamenti.
Da ricordare, infine, che la singolare ed unica “Sagoma-Totò”, dedicata al grandissimo artista, consegnata alla figlia Liliana de Curtis alla “Neoartgallery” di Roma, entrerà a far parte del costituendo museo dedicato a Totò, definito il “principe del sorriso”, in allestimento al Palazzo dello Spagnolo, nella zona dei Vergini, a Napoli.
Carmine Dello Ioio con la mostra acerrana, intitolata “Mani”, ha incontrato pubblico e “addetti ai lavori” dell’area tra Caserta e Napoli e si sono imposte riflessioni su una pittura con note intriganti. Infatti ad Acerra, a “Il Ritrovo dell’arte”, diretto con competenza, passione ed entusiasmo da Mimmo Fatigati, è stato possibile visionare gli ultimi lavori in tecnica mista di quest’emergente giovane operatore tra l’11 ed il 26 settembre 2005. (Da ricordare che è ancora in corso, nel frattempo, l’interessante iniziativa che vede coinvolto il giovane e promettente artista Carmine Dello Ioio, intitolata “Insieme sul terrazzo”, che resterà aperta sino a lunedì 31 ottobre 2005. Quest’evento vede in rassegna una significativa serie di opere del giovane artista campano nel piccolo accogliente spazio esterno dello “Studio Dello Ioio” (Via Benedetto Brin, 32 80053 Castellammare di Stabia – Napoli; tel. 339/209.18.16). Ritornando sulla mostra di Acerra, hanno distinto il lavoro del giovane operatore Carmine Dello Ioio parallelismi abbinati, aperture flessibili e iati inediti, che sostanziano elaborazioni fondamentalmente ludiche e dichiaratamente leggibili. L’artista, che ha mosso i primi passi artistici sulla costiera sorrentino-amalfitana, presenta oggi a Roma a “La Cuba d’Oro”, diretta da Nella Giambarresi, vari e diversi lavori recenti, ad olio ed in tecnica mista, in cui si possono cogliere sottili allusioni al mondo attuale. Sulla sua pittura si è espressa la giornalista Maresa Galli, direttore del quotidiano “on line” ed anche periodico cartaceo “Il Brigante”, che sull’artista ha espresso queste brevi considerazioni: “Lo studio è piccolo e ricco di immaginazione, tra il loft newyorkese, la soffitta parigina, ma la vista dà sulle barche e l’azzurro della piccola baia di Castellammare di Stabia. Carmine Dello Ioio, pittore emergente, giovane ma con già all’attivo numerose personali e diversi riconoscimenti, nato a Gragnano, vive e opera a Castellammare. Artista poliedrico, scenografo, decoratore, esperto-conservatore di beni culturali, ha realizzato un cortometraggio e diversi progetti con l’associazione “Terre Scosse”. Ha trovato nella pittura la sua chiave espressiva, il suo motivo d’essere. Nel suo studio che affaccia sul mare, con un’affettuosa gattina che osserva tutte le fasi di realizzazione delle opere, Dello Ioio conserva grandi tele dai temi più diversi, da Giovanni Paolo II, un viso fatto di luce, forte come il suo messaggio al mondo, alle parti del corpo, in primo luogo le mani. Una pittura velata di erotismo, particolari che colpiscono, colori accesi e personali, il ricorso alla tecnica mista per il suo sguardo sul contemporaneo. Colpiscono un volto di donna, Bush e Saddam, una splendida tela d’ispirazione marina, ma anche il periodo del “visivismo”, con i colori più caldi a raccontare emozioni. Una ricerca poetica e insieme realistica, per uno sguardo in continuo movimento al mondo dell’apparire che apre altre porte. Ed alcune di esse sono labirintiche, come l’immaginazione, fervida, sempre a caccia di stimoli, ed altre dis-velano, lasciando anche spazio alla mente che si sofferma sull’uso del colore, frammenti di ancestrali richiami. Il futuro è archeologia dell’immaginario.”
Ma anche lo scrittore e studioso Stefano Arcella ha voluto puntualizzare sulla ricerca di una sintesi fra il sentire e il pensare dell’artista campano, in questi termini: ”L’incontro con l’artista, nel suo suggestivo studio fra le acque e i monti di Castellammare di Stabia, suscita la sensazione di affrontare la dimensione di una ricerca artistica in evoluzione, volta ad un equilibrio, ad una centratura creativa che l’artista aspira a realizzare. Forse è la fase più avvincente, quella in cui si manifestano varie spinte creative, ispirazioni tutte molto intriganti, non ancora integrate fra loro in un’armonia compositiva. Nei dipinti “La mano” (olio su tela, 2005) e “Il braccio” (olio, smalto e bitume, 2005) i particolari anatomici del corpo umano sono rappresentati con densità volumetrica. La sensibilità dell’artista è polarizzata sul “particolare” che è amplificato e trasformato. Il posteriore femminile all’interno di uno schermo televisivo, nella sua consistenza volumetrica, lascia trasparire una sottile ironia verso la pandemia del sesso che caratterizza i media nel nostro tempo; tale vis polemica richiama, implicitamente, il senso di un rapporto più naturale ed autentico con la femminilità e la sessualità, l’anelito ad un mondo più genuino rispetto ai modelli artificiosi che la società dell’immagine tende ad inculcare con una subdola violenza psicologica. Nel messaggio di questa composizione colgo un’intima relazione fra il soggetto dell’artista – che è anche una polemica di costume con una spiccata valenza antropologica, ossia la tensione verso un tipo umano più libero da condizionamenti mediatici – e la scelta del luogo del suo studio, un luogo che, nella sua freschezza naturale, esprime questa ansia d’autenticità che connota la psicologia dell’autore. Nell’opera “La mano” il senso della pienezza volumetrica trasfigura la mano in un muscolo. L’attenzione ai particolari anatomici sfuma in una trasfigurazione che ha del surreale, una muscolosità che avverto quale elaborazione cerebrale, costruzione della mente dell’artista, che tende ad esprimere il senso della forza e del vigore, in una versione molto fisicizzata. Accanto a questa vena creativa ne affiora un’altra, che colgo nella capacità di disegnare i volti quale specchio dell’anima, una vena fresca, autentica, limpida, che s’impone per la sua immediatezza, la sua spontaneità istintiva. In “Arabo muto” (olio su tela, 2005) l’uomo, con l’abbigliamento islamico, esprime un animus pensoso, un sentimento d’angoscia irrisolta. Il volto è sospeso fra essere e non-essere; esso c’è e non c’è, coperto in parte da una mano mentre al fianco, un altro volto è volutamente incompleto, spezzato dal limite della tela, un “non finito” molto moderno, sullo sfondo scorgendosi i volti sfumati e perplessi di altri arabi, il cui sguardo si perde nell’infinito. Espressione efficace che parla di una crisi di civiltà, di un senso d’identità sofferta nel rapporto dell’Islam col mondo occidentale. In “Mostrum” (olio su tela, 2005) si estrinseca il sentimento di una tensione interna, di uno sforzo nell’agonismo che genera uno stile figurativo che sembra realistico, ma è sfumato da un velo di nebbia che l’artista abilmente realizza con una gradazione cromatica fra il verde ed un blu molto diluito, Si percepisce, anche in questo caso, la pienezza del corpo umano, lo studio dell’anatomia, la trasfigurazione volumetrica. In quest’elemento d’amplificazione, unitamente alla percezione del reale, filtrata da quel velo nebbioso, si avverte l’entrare in gioco delle impressioni, per cui il reale è sublimato mediante la sensibilità dell’autore. L’auspicio che si può esprimere è che Dello Ioio trovi la giusta sintesi, il punto d’equilibrio fra spontaneità creatrice ed elaborazione mentale, fra “cuore” e cervello, fra istinto ed intelletto. L’unione dei volti espressivi con le mani in densità volumetrica, con tutte le possibili varianti sul tema, potrebbe essere, forse, una possibile soluzione artistica per integrare questi due stimoli creativi che affiorano dall’animo del pittore.“
In conclusione, su quanto espresso da Maresa Galli e da Stefano Arcella concordiamo perfettamente e pensiamo che il giovane operatore di Gragnano, ma con studio a Castellammare di Stabia, sappia ora orientarsi per non perdere la bussola della creatività e sappia ora cosa tagliare. Scegliere la “cifra estetica” da portare avanti, senza indugio, tra le varie chiavi di lettura, che sino ad oggi ha “girato” sulla realtà circostante, è per Carmine dello Ioio fondamentale.
Crediamo che i suoi lavori, in particolare quelli che ci raccontano tratti dell’Islam, siano molto sentiti. Vite descritte da volti rugosi ci sottolineano sentimenti e crepuscoli infiniti. Espressioni rapite per parlare di crisi e di civiltà, per rimettere in discussione rapporti, mai chiari o chiariti, tra popoli. Il mondo orientale ed il mondo occidentale devono assolutamente dialogare; è imprescindibile esigenza della civiltà umana e Carmine Dello Ioio, che frequenta la scena della vita ed è vicino a molti artisti dello spettacolo che in scena ci vanno per riassumere le realtà odierne, sa bene che i confronti oggi sono serrati. Le indicazioni della sua pittura rimettono in discussione i nostri pensieri contemporanei, divisi tra religioni obsolete e laicismi ad oltranza, tra governi precari e scenari politici in dissolvenza incrociata, determinata dalla germinazione di nuovi partiti.
Mario Fortunato è un artista su cui molti critici hanno scritto e prima che approdasse a Roma, a “la Cuba d’Oro”, abbiamo riletto ed assorbito quello che hanno redatto. Preferiamo scrivere con calma e non staccare lo sguardo da quel “fil rouge”, che, nonostante tutto, resta e resterà sempre nascosto, ma che netto e consistente marca sicuro ed inderogabile una linea di permanenza del mistero e della luce. Quel “fil rouge”, che noi abbiamo visto, intravisto, subodorato, capito o immaginato di vedere, consiste in quella linea di rifugio sottile da cui non si può prescindere. E’ un concentrato lineare di amore per il mondo tutto, ancora ed ala di aspettative attente, affettuosamente delicate e sornioni, cordiali con il mondo. L’artista prende la vita a prestito per capire di sé e degli uomini e delle donne che conosce. Il suo rapporto con l’arte è un pretesto per leggere di sé e degli altri, nonché possibilità d’interpretare il mondo come va e della domanda se ha senso proseguire oppure è meglio scendere alla prossima fermata. Ma guardiamo dagli anni Sessanta ad oggi. Le opere degli anni Sessanta ci balzarono agli occhi quando le visionammo in una galleria vomerese. Ci colpì un’opera eccellente, intitolata “Pensiero moderno”. Si tratta, in realtà, di una carta di piccole dimensioni, del 1962, che crediamo sia stata, con altre prove della stessa serie, una tessitura, tra le tessiture fondamentali, sorgiva, autentica, brillante per caratura estetica e per consapevole freschezza di gesto dell’artista. Tutti i suoi lavori, di codice e chiave informale, che sono seguiti nel corso degli anni Sessanta e sino ai primi degli anni Settanta, sono stati precisati da significative elaborazioni. L’artista, proprio in questo periodo, ha significativamente prodotto acquatinte, acqueforti ed altre ed ulteriori incisioni, superando, nel 1965, un avvelenamento epatico dovuto a manipolazioni, sin troppo disinvolte, delle lastre in bacinelle con acidi corrosivi e devastanti. Le significazioni visive di Mario Fortunato sono sempre piaciute in Europa ed in America e se la memoria non c’inganna alcune sue opere grafiche risultano presenti al Museo d’Arte Moderna di Hartford, in Connecticut. All’epoca fu preferita e gradita una teoria che riproponeva ispirate tarlatane, che chi è del mestiere sa che servono a pulire le lastre. Le acquisizioni di questo museo sono avvenute nel lontano 1974 grazie alla richiesta di una speciale commissione composta da bambini. Le direzioni museali succedutesi facevano scegliere i lavori degli artisti a disincantati ed esperti fanciulli e fanciulle. Ma dai successi a un bel giorno in cui Mario Fortunato si blocca e si autodimette da artista dopo aver visto la mostra di Picasso a New York. Fascino e malia dell’arte picassiana vincono la temerarietà sino ad allora espressa dall’artista, che, richiamato da un’imprescindibile esigenza della sua anima, ritiene di doversi fermare per riflettere e per porre una pausa tra sé e le vicende artistiche. Per un lungo periodo, difatti, non produce, non dipinge. Sceglie l’ombra del ritiro, una serenità pacata dal silenzio, festa intima dell’anima. Poi, riprende man mano e riscopre le architetture fantastiche, le grandi vedute e con speciale dedizione cura particolari “still life”. Poi, con collages a metà degli anni Ottanta studia Braque, Picasso, Léger, Gris, Severini e tutto ciò che gli può piacere da un Eugenio Carmi ad un Volaire. Attualmente le intelaiature, le incastellature, le impalcature, le strutture determinate dalla mano felice, accorta e meditativa di Mario Fortunato sezionano una rete di enucleazioni e di elaborazioni. In una liturgia sommessa elabora un “framework” dopo l’altro. Rimandi a Napoli, alla mediterraneità, all’architettura che gli è sempre piaciuta come ordine e materia dello spirito che indaga lo spazio, alla solarità delle donne conosciute vengono a porsi come spessori d’indagine. Ogni composizione che Mario Fortunato presenta è, in realtà, un unico multiplo, realizzato con la diffusione cromatica dovuta al plotter, che viene fatto derivare da un originale cartaceo, sezionato da riquadri a doppia finestra. Tutti i tasselli visivi di Mario Fortunato combinano finestre spazio-temporali e ribalte segnico-visive per comprendere se è il caso di affrontare viaggi epocali. Di rimando in rimando, di richiamo in richiamo, di ricordo in ricordo, di sospiro in sospiro, di vertigine in vertigine le immagini di Mario Fortunato sondano tanti perché ed il senso vitale dell’esistenza. L’uomo corre da solo, può anche salire con tanti amici ed amiche su “un autobus per utopia”, ma dinnanzi ad una corsa pluralista ed infinita potrebbe anche preferire una corsa saggia con la chance periscopica di scoprire l’amicizia e di interpretare il mondo su cui viaggia. La sua attuale fabbricazione pittorica è una realtà interessante ed accattivante. Il senso della scoperta domina gli scenari inconsueti che l’osservazione, misuratissima ed ormai esperta, di Mario Fortunato costruisce. Paesaggi dai forti sapori esotici, insolite visioni d'insieme, scenografie purgate da assilli contemporanei, macchie di coralità estreme, scenari esuberanti, architetture minime dai simbolismi occulti e dai risvolti esoterici guadagnano lo spazio della dimensione data. La mano di Mario Fortunato inscrive sull'area trattata preziosismi e calibrati segni. Queste due caratterizzazioni producono tessiture di panorami immaginati. E da queste suggestive tessiture emergono visibilità estreme, riconducibili ad una volontà sospesa tra segreti ed emozioni. Scatti silenti incontrano impalcature segnate ed intervallate da luminescenze. Tensioni ed intensità fanno vibrare brani raffinati che agglomerano fremiti memoriali e scarti di surrealtà. Mario Fortunato dettaglia segni e con sequenze vitali riesce a produrre illustrate immaginazioni, che si ricombinano con fertili atmosfere serene e sospese icasticità.
Luciana Mascia è ben felice di quest’esposizione romana a “La Cuba d’Oro” e, così, ritorna nel giro espositivo.
Ordina in modulari e sottese filigrane temi figurativi e con rapidi e contrastati tese espressioinistiche rende all’attento occhio del pubblico una gamma di sfumature che vanno dall’avion alllo smeraldo.
L’artista ha continuato in sordina a dipingere, dopo una teoria di mostre negli anni Ottanta in ottime gallerie napoletane, e ricordiamo anche un successo alla sede dell’Associazione Culturale “AcomeArte”, alla Riviera di Chiaja a Napoli, diretta e guidata dal compianto bravissimo artista Pasquale Forgione.
La pittura di Luciana Mascia integra molteplici piani di figurazioni composite in alternate modulazioni espressionistiche dai toni forti, decisi e dagli accostamenti equilibrati.
Ha esposto, riscuotendo successo, nel novero delle iniziative del “Maggio dei Monumenti”, dell’edizione 2004, alla mostra “Percorsi a confronto”, allestita nel “Corridoio dei Maestri” dell’Istituto Professionale per l’Industria e per l’Artigianato “Alfonso Casanova”, che ha sede nell’ex Convento di San Domenico Maggiore, insieme ad altre valenti artiste europee, quali: Anna Bertoldo, Luigia Criscio, Maria Pia Daidone, Stefania di Vincenzo, Wanda Fiscina, Isabelle Lemaitre, Teresa Mangiacapra, Daria Musso, Nuccia Pulpo, Clara Rezzuti, Gisela Robert.
Maurizio Vitiello
20
ottobre 2005
Neapolitan Dreams
Dal 20 ottobre al 03 novembre 2005
arte contemporanea
Location
GALLERIA LA CUBA D’ORO
Roma, Via Della Pelliccia, 10, (Roma)
Roma, Via Della Pelliccia, 10, (Roma)
Orario di apertura
da martedì a sabato 17-20
Vernissage
20 Ottobre 2005, ore 18
Autore
Curatore