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Nero. Racconti dall’oscurità
I quattro giovani artisti Filippo Saccà, Orio Geleng, Mario Lucchesi e Sara Spizzichino replicano la mostra dedicata al Nero
Comunicato stampa
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Tivoli, Scuderie Estensi. I quattro giovani artisti Filippo Saccà, Orio Geleng, Mario Lucchesi e Sara Spizzichino, patrocinati dal Comune di Tivoli, replicano la mostra dedicata al Nero. Già anticipata a settembre, al Complesso Monumentale di Sant’Annunziata [Quasi Nero, anteprima dall’oscurità] ora viene presentata nella sua interezza nelle imponenti Scuderie Estensi. La mostra sarà aperta al pubblico dal 1 marzo alle ore 17, e sarà visitabile fino al 6 marzo 2009.
Perché una mostra sul nero? Simbolo di oscurità sin dai tempi antichi, presagio fatale di forze incontrollabili che agiscono sull’uomo in modo indelebile, il nero ha alle sue spalle una storia funesta raccontata dalla società.
Quattro artisti si confrontano celebrando il nero. E ognuno di loro lo interpreta, lo comprende, e in un certo senso lo chiarisce, sottoponendo agli occhi dello spettatore una visione nuova e stimolante. La tematica dell’inconscio, l’esplorazione della propria identità, la paura della perdita di questa, e la divulgazione delle nostre tensioni attraverso la metafora arte: tutto questo viene sezionato dai quattro autori, che fanno dell’oscurità una condizione di assoluta fertilità da cui ogni nuovo progetto di vita diviene potenzialmente possibile, presentando l’inconscio attraverso la celebrazione dei suoi lati oscuri.
Filippo Saccà instaura con la tela un rapporto dialettico che arriva ad una dimensione fisica: il suo corpo si fa oggetto in favore di un’esperienza artistica totale, memore della pittura d’azione americana. Il tema dell’inconscio resta inglobato all’interno dell’uomo in un susseguirsi di evoluzioni che viaggiano con l’evolversi della società: Saccà si nutre di immagini sempre nuove che appartengono a tutti e che esplodono nella tela come i pensieri cupi nella mente, facendosi linguaggio e materia, e assumendo una bellezza che diventa sublime perché fatta di gioia e disperazione. Clyfford Still considera presuntuosa e irrilevante ogni richiesta di comunicazione, perché dentro l’area visibile del quadro si muove l’invisibile ombra del nostro inconscio, che partecipa soggettivamente alla visione, proiettandosi come paura, speranza, inquietudine o gioia. Ciò che conta è che col tempo non si impari ciò che ci è stato insegnato a vedere: l’inconscio è una valigia in disordine che non dovremmo mai riordinare, per perseverare, in mezzo alla confusione, nella ricerca di qualcosa che somigli al nostro pensiero. Nelle parole di Saccà:“Non è un argomento nuovo quello della dimensione inconscia: già Pollock, Rothko e Hofmann sessant’anni fa lo avevano affrontato. Il fatto è che credo che l’arte non sia più una questione di novità - anche perché ora siamo pieni di false novità e di veri ciarlatani -, ma credo sia solo una questione di espressione di noi stessi.”
L’inconscio dunque porta a cercare similitudini tra il nostro pensiero e il mezzo per raccontarlo. Per fare questo Orio Geleng torna all’Origine: una situazione iniziale, remota e oscura che vive incontrollata nel ricordo intangibile dell’origine dell’universo. Il grande contraccolpo scatenato dall’assestamento di pianeti e orizzonti stellari viene ripetuto in forma di pittura e prende vita attraverso le composizioni cromatiche, che oscillano nello spazio – in questo senso pittorico – alla ricerca di un assetto armonico. E’ l’evoluzione del tutto, scandita nell’accomodarsi vicendevolmente: un’entità si sposta lentamente verso l’altra, raggiungendo la propria dimensione, il proprio spazio – in questo senso stellare – e una stabilità dopo la grande esplosione. In questo contesto domina lo spazio nero – il buco -, un’entità densa e invisibile, di cui sappiamo solo indirettamente e che attrae tutto verso di sé dando vita all’Orizzonte degli Eventi: una situazione di confine dove non arrivano luce e materia, una terra di nessuno dove la scienza non può più calcolare. Da qui, secondo Geleng, partono tutte le evoluzioni possibili come Dio, la vita, l’universo in espansione: ciò che non può darci risposta certa riguardo la propria origine ed esistenza.
Mentre Mario Lucchesi si muove entro il perimetro di un numero limitato di colori, l’elemento portante tra questi resta il nero, così convincente nella sua forza, da consolidare le posizioni e la presenza degli altri. E’ un lavoro indivisibile dalla musica: in un suo quadro il controluce è da considerarsi come un contrappunto, una combinazione di melodie che fa del suo linguaggio eterogeneo un motivo musicale che vive di contrasti all’interno della tela. La responsabilità del nero in questo caso è di trovarsi di fronte a tutto restando nell’ombra, e attraverso questa illuminare il resto, confinato alle sue spalle. Cosa accadrebbe in questo caso se il nero non ci fosse? Perderemmo la nostra terza dimensione: quella della profondità, dello spazio che fa propagare il suono, e insieme a tutto questo perderemmo la musica, e con lei il colore, in sostanza ogni cosa. Nella mancanza di un solo elemento, immediatamente anche gli altri perderebbero valore. Come un accordo, le vibrazioni suscitate dall’armonia di elementi diversi toccano la nostra emotività, facendoci sentire parte di un tutto, che sa funzionare insieme come una grande esecuzione sonora, in cui ad ogni accordo musicale ne corrisponde uno cromatico, non meno importante.
E’ un lavoro a tappe, quello presentato da Sara Spizzichino. L’artista romana, infatti, presenta una miscellanea del suo lavoro, che ha da sempre avuto l’oscurità come comun denominatore. Nella prima parte - prevalentemente pittorica – l’assenza di colore ottiene una dimensione che si fa talmente propria, da trasformare se stessa autonomamente, nascendo dall’acqua per diventare ombra di una combustione: un evento già compiuto che ha lasciato il segno del suo divenire. Dimensione alternativa, che viene riproposta nelle sue serigrafie, attraverso l’ombra: una verità esistente su un piano parallelo che non ha la dimensione tangibile del reale. In ultimo viene proposta una parte di Wonderland, già esposto in parte a Tivoli nella mostra d’anteprima Quasi Nero, ospitata dal Complesso Monumentale di Sant’Annunziata, e in versione completa proprio alle Scuderie Estensi per Europa Femminile Plurale (marzo/aprile 2008). Anche quando l’artista cambia linguaggio (pittorico prima, fotografico poi), l’oscurità resta, e viene trattata come fatto concreto: la tana del coniglio è un ambiente oscuro paragonato alla coscienza. Recentemente (febbraio 2009) il suo ultimo lavoro Blood è stato presentato alla Temple University, e prossimamente (aprile 2009) Wonderland sarà in mostra alla Casa Internazionale delle Donne, a Roma (Dislocazioni - The changing face of the Mediterranean: migrant women’s creativity & constraint). E' tra i quattro artisti italiani selezionati dalla Springacademy per la realizzazione di un progetto che verrà presentato in primavera al Museo di Roma in Trastevere (Art & Rome: place of memory, place of vision).
La mostra vuole essere una metafora che invita ad andare oltre le apparenze e i luoghi comuni. Un suggerimento ad oltrepassare la soglia che divide l'educazione che ci è stata attribuita, dalla nostra individualità critica per natura, ciascuno abbandonandosi alla propria esperienza della visione. Perché niente ha un significato assoluto. In assenza di luce l'occhio riposa per vedere nuovamente: il nero porta con sé la promessa del giorno, dopo la notte.
Perché una mostra sul nero? Simbolo di oscurità sin dai tempi antichi, presagio fatale di forze incontrollabili che agiscono sull’uomo in modo indelebile, il nero ha alle sue spalle una storia funesta raccontata dalla società.
Quattro artisti si confrontano celebrando il nero. E ognuno di loro lo interpreta, lo comprende, e in un certo senso lo chiarisce, sottoponendo agli occhi dello spettatore una visione nuova e stimolante. La tematica dell’inconscio, l’esplorazione della propria identità, la paura della perdita di questa, e la divulgazione delle nostre tensioni attraverso la metafora arte: tutto questo viene sezionato dai quattro autori, che fanno dell’oscurità una condizione di assoluta fertilità da cui ogni nuovo progetto di vita diviene potenzialmente possibile, presentando l’inconscio attraverso la celebrazione dei suoi lati oscuri.
Filippo Saccà instaura con la tela un rapporto dialettico che arriva ad una dimensione fisica: il suo corpo si fa oggetto in favore di un’esperienza artistica totale, memore della pittura d’azione americana. Il tema dell’inconscio resta inglobato all’interno dell’uomo in un susseguirsi di evoluzioni che viaggiano con l’evolversi della società: Saccà si nutre di immagini sempre nuove che appartengono a tutti e che esplodono nella tela come i pensieri cupi nella mente, facendosi linguaggio e materia, e assumendo una bellezza che diventa sublime perché fatta di gioia e disperazione. Clyfford Still considera presuntuosa e irrilevante ogni richiesta di comunicazione, perché dentro l’area visibile del quadro si muove l’invisibile ombra del nostro inconscio, che partecipa soggettivamente alla visione, proiettandosi come paura, speranza, inquietudine o gioia. Ciò che conta è che col tempo non si impari ciò che ci è stato insegnato a vedere: l’inconscio è una valigia in disordine che non dovremmo mai riordinare, per perseverare, in mezzo alla confusione, nella ricerca di qualcosa che somigli al nostro pensiero. Nelle parole di Saccà:“Non è un argomento nuovo quello della dimensione inconscia: già Pollock, Rothko e Hofmann sessant’anni fa lo avevano affrontato. Il fatto è che credo che l’arte non sia più una questione di novità - anche perché ora siamo pieni di false novità e di veri ciarlatani -, ma credo sia solo una questione di espressione di noi stessi.”
L’inconscio dunque porta a cercare similitudini tra il nostro pensiero e il mezzo per raccontarlo. Per fare questo Orio Geleng torna all’Origine: una situazione iniziale, remota e oscura che vive incontrollata nel ricordo intangibile dell’origine dell’universo. Il grande contraccolpo scatenato dall’assestamento di pianeti e orizzonti stellari viene ripetuto in forma di pittura e prende vita attraverso le composizioni cromatiche, che oscillano nello spazio – in questo senso pittorico – alla ricerca di un assetto armonico. E’ l’evoluzione del tutto, scandita nell’accomodarsi vicendevolmente: un’entità si sposta lentamente verso l’altra, raggiungendo la propria dimensione, il proprio spazio – in questo senso stellare – e una stabilità dopo la grande esplosione. In questo contesto domina lo spazio nero – il buco -, un’entità densa e invisibile, di cui sappiamo solo indirettamente e che attrae tutto verso di sé dando vita all’Orizzonte degli Eventi: una situazione di confine dove non arrivano luce e materia, una terra di nessuno dove la scienza non può più calcolare. Da qui, secondo Geleng, partono tutte le evoluzioni possibili come Dio, la vita, l’universo in espansione: ciò che non può darci risposta certa riguardo la propria origine ed esistenza.
Mentre Mario Lucchesi si muove entro il perimetro di un numero limitato di colori, l’elemento portante tra questi resta il nero, così convincente nella sua forza, da consolidare le posizioni e la presenza degli altri. E’ un lavoro indivisibile dalla musica: in un suo quadro il controluce è da considerarsi come un contrappunto, una combinazione di melodie che fa del suo linguaggio eterogeneo un motivo musicale che vive di contrasti all’interno della tela. La responsabilità del nero in questo caso è di trovarsi di fronte a tutto restando nell’ombra, e attraverso questa illuminare il resto, confinato alle sue spalle. Cosa accadrebbe in questo caso se il nero non ci fosse? Perderemmo la nostra terza dimensione: quella della profondità, dello spazio che fa propagare il suono, e insieme a tutto questo perderemmo la musica, e con lei il colore, in sostanza ogni cosa. Nella mancanza di un solo elemento, immediatamente anche gli altri perderebbero valore. Come un accordo, le vibrazioni suscitate dall’armonia di elementi diversi toccano la nostra emotività, facendoci sentire parte di un tutto, che sa funzionare insieme come una grande esecuzione sonora, in cui ad ogni accordo musicale ne corrisponde uno cromatico, non meno importante.
E’ un lavoro a tappe, quello presentato da Sara Spizzichino. L’artista romana, infatti, presenta una miscellanea del suo lavoro, che ha da sempre avuto l’oscurità come comun denominatore. Nella prima parte - prevalentemente pittorica – l’assenza di colore ottiene una dimensione che si fa talmente propria, da trasformare se stessa autonomamente, nascendo dall’acqua per diventare ombra di una combustione: un evento già compiuto che ha lasciato il segno del suo divenire. Dimensione alternativa, che viene riproposta nelle sue serigrafie, attraverso l’ombra: una verità esistente su un piano parallelo che non ha la dimensione tangibile del reale. In ultimo viene proposta una parte di Wonderland, già esposto in parte a Tivoli nella mostra d’anteprima Quasi Nero, ospitata dal Complesso Monumentale di Sant’Annunziata, e in versione completa proprio alle Scuderie Estensi per Europa Femminile Plurale (marzo/aprile 2008). Anche quando l’artista cambia linguaggio (pittorico prima, fotografico poi), l’oscurità resta, e viene trattata come fatto concreto: la tana del coniglio è un ambiente oscuro paragonato alla coscienza. Recentemente (febbraio 2009) il suo ultimo lavoro Blood è stato presentato alla Temple University, e prossimamente (aprile 2009) Wonderland sarà in mostra alla Casa Internazionale delle Donne, a Roma (Dislocazioni - The changing face of the Mediterranean: migrant women’s creativity & constraint). E' tra i quattro artisti italiani selezionati dalla Springacademy per la realizzazione di un progetto che verrà presentato in primavera al Museo di Roma in Trastevere (Art & Rome: place of memory, place of vision).
La mostra vuole essere una metafora che invita ad andare oltre le apparenze e i luoghi comuni. Un suggerimento ad oltrepassare la soglia che divide l'educazione che ci è stata attribuita, dalla nostra individualità critica per natura, ciascuno abbandonandosi alla propria esperienza della visione. Perché niente ha un significato assoluto. In assenza di luce l'occhio riposa per vedere nuovamente: il nero porta con sé la promessa del giorno, dopo la notte.
01
marzo 2009
Nero. Racconti dall’oscurità
Dal primo al 06 marzo 2009
giovane arte
Location
SCUDERIE ESTENSI
Tivoli, Piazza Garibaldi, (Roma)
Tivoli, Piazza Garibaldi, (Roma)
Orario di apertura
Tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19
Vernissage
1 Marzo 2009, ore 17
Autore