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Nicolò Tomaini – Habeas Corpus: sommario di decomposizione
La mostra propone una selezione di opere dell’artista lecchese Nicolò Tomaini e offre una panoramica completa ed esaustiva di tutti i principali percorsi che nella sua breve ma intensa esperienza ne hanno contrassegnato la ricerca.
Comunicato stampa
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La mostra propone una selezione di opere dell’artista lecchese Nicolò Tomaini e offre una panoramica completa ed esaustiva di tutti i principali percorsi che nella sua breve ma intensa esperienza ne hanno contrassegnato la ricerca.
Poco più che trentenne, nei dieci anni di sperimentazione artistica ha saputo cogliere alcuni degli aspetti più angosciosi dell’epoca in cui gli è toccato di vivere: l’invadenza sempre più ossessiva con cui le nuove tecnologie si sono impadronite del controllo della comunicazione tra le persone che private della possibilità di rapportarsi direttamente le une con le altre, annegano in un tempo vuoto contemplando le immagini che scorrono veloci davanti ai loro occhi.
Già nelle prime opere il discorso è assai chiaro. Le icone dei social (Facebook, twitter) si trasformano nei simboli di passate dittature o in strumenti di morte, gli smartphone si affiancano a selci e tavolette di argilla impresse da caratteri cuneiformi, oppure formano la base di simbolici crocifissi, o ancora divengono supporto di lettere che formano brevi parole («EGO», «INRI») a sottolineare il ruolo che tali strumenti hanno assunto nella società.
Successivamente l’indagine si incentra ancor più sulla comunicazione: la macchina prende il controllo dell’idea, della creazione, la degrada a icona predefinita: nei monocromi il colore non è più il risultato della ricerca cromatica dell’artista che invade la superfice dell’opera, ma è rappresentato dal logo del programma Paint riprodotto in un angolo della tela, lasciata invece completamente vuota a ricordare che basta un comando per riempire di colore un intero spazio; per realizzare ritratti di personaggi illustri (scrittori, intellettuali) viene riprodotta sulla tavola la videata della relativa pagina di wikipedia, mentre la cronistoria dell’attività di messaggeria diviene Ritratto di amanti, a sottolineare come un rapporto amoroso si condensa ormai in un asciutto scambio di brevi frasi digitalizzate. Nella serie Le 120 giornate di Sodoma si intravedono, chiuse dentro pacchi da spedizione, opere d’arte ridotte a gadget da vendere, acquistare, inviare o ricevere.
La mediazione della tecnologia si impadronisce poi del tutto della percezione dell’immagine, che deve adattarsi ai tempi e ai processi imposti dai media. Il tema è indagato con interventi su opere originali (vecchi ritratti o paesaggi), che vengono in parte ricoperte per riprodurre l’effetto del caricamento sullo schermo del computer, o su cui sono riportate frecce e barre di scorrimento, o – nella serie Petrolio – pubblicità di siti di incontri o gadget sessuali. Lo stesso intento hanno gli studio for a loading, in cui le immagini di noti capolavori del passato sono impresse su lastre di metacrilato trasparente, fissate nella fase del “caricamento” sullo schermo, e quindi tanto sfuocate da essere appena riconoscibili; altre volte tali immagini sono realizzate dipingendole manualmente sugli schermi di veri tablet, inane tentativo di riportare in primo piano la manualità artigianale. Nella più recente serie Silicio il quadro si divide in una parte in cui l’opera originale è materialmente scomposta, come in fase di annullamento, e una in cui sono riportati i caratteri digitali del codice sorgente che contiene gli algoritmi di distruzione dell’immagine.
Dai lavori di Tomaini, dalle sue varie sperimentazioni, emerge insomma la rivendicazione dell’importanza della soggettività, della capacità personale di inventare e di sentire, che pur nelle difficili condizioni di questa epoca rimangono necessità quasi fisiche, irrinunciabili esigenze dell’umano.
Accompagna la mostra un catalogo edito da Vanillaedizioni (48 pagg.), con i testi istituzionali e un saggio critico di Filippo Mollea Ceirano.
Poco più che trentenne, nei dieci anni di sperimentazione artistica ha saputo cogliere alcuni degli aspetti più angosciosi dell’epoca in cui gli è toccato di vivere: l’invadenza sempre più ossessiva con cui le nuove tecnologie si sono impadronite del controllo della comunicazione tra le persone che private della possibilità di rapportarsi direttamente le une con le altre, annegano in un tempo vuoto contemplando le immagini che scorrono veloci davanti ai loro occhi.
Già nelle prime opere il discorso è assai chiaro. Le icone dei social (Facebook, twitter) si trasformano nei simboli di passate dittature o in strumenti di morte, gli smartphone si affiancano a selci e tavolette di argilla impresse da caratteri cuneiformi, oppure formano la base di simbolici crocifissi, o ancora divengono supporto di lettere che formano brevi parole («EGO», «INRI») a sottolineare il ruolo che tali strumenti hanno assunto nella società.
Successivamente l’indagine si incentra ancor più sulla comunicazione: la macchina prende il controllo dell’idea, della creazione, la degrada a icona predefinita: nei monocromi il colore non è più il risultato della ricerca cromatica dell’artista che invade la superfice dell’opera, ma è rappresentato dal logo del programma Paint riprodotto in un angolo della tela, lasciata invece completamente vuota a ricordare che basta un comando per riempire di colore un intero spazio; per realizzare ritratti di personaggi illustri (scrittori, intellettuali) viene riprodotta sulla tavola la videata della relativa pagina di wikipedia, mentre la cronistoria dell’attività di messaggeria diviene Ritratto di amanti, a sottolineare come un rapporto amoroso si condensa ormai in un asciutto scambio di brevi frasi digitalizzate. Nella serie Le 120 giornate di Sodoma si intravedono, chiuse dentro pacchi da spedizione, opere d’arte ridotte a gadget da vendere, acquistare, inviare o ricevere.
La mediazione della tecnologia si impadronisce poi del tutto della percezione dell’immagine, che deve adattarsi ai tempi e ai processi imposti dai media. Il tema è indagato con interventi su opere originali (vecchi ritratti o paesaggi), che vengono in parte ricoperte per riprodurre l’effetto del caricamento sullo schermo del computer, o su cui sono riportate frecce e barre di scorrimento, o – nella serie Petrolio – pubblicità di siti di incontri o gadget sessuali. Lo stesso intento hanno gli studio for a loading, in cui le immagini di noti capolavori del passato sono impresse su lastre di metacrilato trasparente, fissate nella fase del “caricamento” sullo schermo, e quindi tanto sfuocate da essere appena riconoscibili; altre volte tali immagini sono realizzate dipingendole manualmente sugli schermi di veri tablet, inane tentativo di riportare in primo piano la manualità artigianale. Nella più recente serie Silicio il quadro si divide in una parte in cui l’opera originale è materialmente scomposta, come in fase di annullamento, e una in cui sono riportati i caratteri digitali del codice sorgente che contiene gli algoritmi di distruzione dell’immagine.
Dai lavori di Tomaini, dalle sue varie sperimentazioni, emerge insomma la rivendicazione dell’importanza della soggettività, della capacità personale di inventare e di sentire, che pur nelle difficili condizioni di questa epoca rimangono necessità quasi fisiche, irrinunciabili esigenze dell’umano.
Accompagna la mostra un catalogo edito da Vanillaedizioni (48 pagg.), con i testi istituzionali e un saggio critico di Filippo Mollea Ceirano.
22
maggio 2021
Nicolò Tomaini – Habeas Corpus: sommario di decomposizione
Dal 22 maggio all'undici luglio 2021
arte contemporanea
Location
PALAZZO DELLE PAURE
Lecco, Piazza XX Settembre, 22, (Lecco)
Lecco, Piazza XX Settembre, 22, (Lecco)
Biglietti
€ 2
Orario di apertura
martedì 10-13
mercoledì e giovedì 14-18
venerdì, sabato e domenica 10-18
Vernissage
22 Maggio 2021, ore 18
Editore
Vanillaedizioni
Autore
Curatore
Autore testo critico
Allestimento
SabinaMelesi
MarcoTomaini
Progetto grafico
Patrocini